Cass. pen., sez. I, sentenza 11/04/2018, n. 16139

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 11/04/2018, n. 16139
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16139
Data del deposito : 11 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da B G, nato a Pisa il 07/05/1972 avverso la sentenza del 10/02/2016 della Corte militare di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere A T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L M F, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla omessa valutazione dell'attenuante della provocazione, con rigetto del ricorso nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 maggio 2015 il Tribunale militare di Verona ha dichiarato G B, maresciallo capo in servizio presso il Nucleo antisofisticazione e sanità dei Carabinieri di Genova, responsabile dei reato di minaccia e ingiuria a inferiore continuata e aggravata, di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 47 n. 4 e 196, primo e secondo comma, cod. pen. mit. pace, e lo ha condannato, nel concorso delle circostanze attenuanti generiche, dell'attenuante del militare di ottima condotta (art. 48, ultimo comma, cod. pen. mil. pace) e di quella dei modi non convenienti usati da altro militare (art. 48, primo comma, n. 3 cod. pen. mil . pace), prevalenti sulle contestate circostanze aggravanti, alla pena di mesi due e giorni cinque di reclusione militare, concedendo allo stesso i benefici di cui agii artt. 163 e 175 cod. pen. mil. pace. Con la stessa sentenza il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di G M, appuntato scelto presso il medesimo Nucleo, in ordine ai reati di diffamazione e di minaccia, di cui agli artt. 227 e 229 cod. pen. mil. pace, così riqualificati i fatti di reato contestati, per difetto della condizione di procedibilità, rappresentata dalla richiesta di procedimento penale.

2. Con sentenza del 10 febbraio 2016 la Corte militare dì appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, che ha confermato nel resto, ha assolto G M, per insussistenza del fatto, dal reato di minaccia.

3. Secondo la ricostruzione dei fatti operata con la sentenza di primo grado, l'appuntato G M il 5 marzo 2014 era stato convocato nell'ufficio del maresciallo G B per avere chiesto al comandante Francesco Enrico Pala di potersi assentare per recarsi presso un'officina e il detto B per l'autorizzazione concessa doveva sostituirlo nei servizio di piantone. B aveva rivolto all'inferiore le frasi riportate in imputazione, con evidente riferimento al fatto che sia il detto inferiore sia il comandante Pala erano di origini sarde, e M aveva risposto pronunciando a sua volta le frasi pure indicate in imputazione. Il Tribunale, che aveva dato conto, riportandone i contenuti, della deposizione del teste maresciallo capo Giovanni Ottonello, unico presente, dei testi Giuliani, Moro, Bracco, Loglisci, Reitano, Vanesio e Mannina, che, pur non presenti in ufficio, avevano potuto ascoltare, essendo nelle immediate vicinanze, le frasi pronunciate ad alta voce, e dei testi V, Bochicchio e T, che erano all'esterno dell'ufficio, aveva individuato due momenti della vicenda, nel primo dei quali erano state pronunciate alcune espressioni (consistite in lamentele concernenti la mancata esistenza di un rapporto di parentela) da M, che aveva pronunciate le altre solo dopo essere uscito dall'ufficio e mentre si allontanava, senza che rilevassero in contrario le dichiarazioni del teste Annbrosino, e aveva ritenuto sussistenti i fatti, che, riqualificati quanto a M, erano stati ritenuti correttamente qualificati nei confronti di B, poiché le espressioni usate, che fondate su ragioni di servizio, erano intrinsecamente offensive dell'onore del destinatario e avevano valenza intimidatoria.

4. La Corte di appello, richiamata analiticamente la vicenda processuale e illustrate le censure svolte con gli atti di appello, rilevava, a ragione della decisione, che: - le espressioni contestate agli imputati avevano trovato la loro causa, e non una semplice occasione, in ragioni direttamente connesse al servizio, per la dipendenza diretta e univoca tra l'azione di B e la predisposizione del turno di servizio e tra il richiamo fatto a M dai superiore e la predisposizione del detto turno;
- le espressioni profferite da M erano state rivolte al superiore, mentre egli si stava allontanando, come sfogo conseguente alle offese e alle minacce ricevute dal superiore e la loro percezione da parte di terzi era stata correttamente posta a base della operata riqualificazione come diffamazione del reato contestato di insubordinazione con ingiuria;
- quanto al reato di insubordinazione con minaccia, la riqualificazione del reato in minaccia, operata dal Tribunale, pur non condivisibile, non poteva essere modificata, in mancanza di impugnazione sul punto, per l'assorbente rilievo che da detta imputazione l'imputato M doveva essere assolto per non essere emersi elementi idonei ad affermare che la minaccia profferita dallo stesso fosse stata percepita da B, avuto riguardo alle dichiarazioni dei testi presenti, non superate da quelle implicitamente contrarie dei testi V, Bochicchio e T;
- dette ultime dichiarazioni, in particolare, erano state contraddette in modo esplicito da numerosi altri testi, meglio posizionati sin dall'inizio della discussione, oltre a essere state rese da testi sopraggiunti dall'esterno quando la discussione tra B e M stava già terminando e M si stava allontanando, senza che i testi avessero riferito di avere ragioni per andare nell'ufficio di B;
- tali considerazioni giustificavano anche il rigetto dell'appello di B con riguardo al motivo prospettato circa la illogicità della motivazione, non avendo mai il Tribunale dubitato della riconducibilità dei fatti contestati a ragioni di servizio e disciplina e con riguardo alla dedotta inattendibilità dei testi V e Bochicchio, mentre tutti i testi avevano concordemente confermato di avere udito le espressioni pronunciate dall'imputato;
- neppure era fondato il motivo di appello prospettato dall'appellante B con riferimento alla mancata valutazione della particolare tenuità dei fatti, sotto il profilo della mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 171 n. 2 cod. pen. mil. pace e sotto il profilo della mancata applicazione dell'art. 131- bis cod. pen., non potendo ritenersi blanda l'offesa recata agli interessi protetti, perché rivolta a più persone (superiore e inferiore), perché del tutto infondata e perché accompagnata da un comportamento minaccioso;
- non era applicabile l'attenuante di cui all'art. 171 n. 3 cod. pen. mil . pace, concernente esplicitamente le diverse ipotesi delittuose di cui agii artt. 168 e 169 cod. pen. mil. pace;
- alla riferibilità delle condotte contestate a B a cause attinenti al servizio e alla disciplina militare seguiva l'assorbimento di ogni questione posta dall'appellante con riferimento all'applicabilità delle esimenti della ritorsione e della provocazione, attinenti solo alla non ricorrente ipotesi di ingiuria di cui all'art. 226 cod. pen. mil . pace.
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