Cass. pen., sez. V, sentenza 13/03/2023, n. 10670

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 13/03/2023, n. 10670
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10670
Data del deposito : 13 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: ANASTASI GIUSEPPE MARIA nato a CASTELLUMBERTO il 24/11/1953 avverso la sentenza del 14/09/2021 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere P B;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NICOLA LETTIERI, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l'Avv. A M, per il ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 14 settembre 2021 dalla Corte di appello di Torino, che, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città che aveva condannato a dieci mesi di reclusione G M A per il reato di cui all'art. 479 cod. pen. L'addebito riguarda il falso ideologico attribuito dall'imputato, quale ingegnere autore del collaudo tecnico-amministrativo degli interventi di riqualificazione della scuola elementare S. Allende di San Mauro Torinese, nella relazione di collaudo con cui si attestava — secondo i Giudici di merito — l'esecuzione di lavori di fatto non effettuati o effettuati in maniera differente da quanto previsto dal progetto esecutivo. Va precisato che erano stati tratti a giudizio anche M T e L G, rispettivamente direttore dei lavori e RUP delle medesime opere, per i diversi reati di falso ideologico (capo B) e abuso di ufficio (capo A) in relazione all'attestazione dell'esecuzione dei lavori di cui al reato ascritto ad A ed al conseguente pagamento a favore dell'impresa affidataria. In primo grado, i predetti erano stati assolti dal reato di cui all'art. 323 cod. pen. perché il fatto non costituisce reato e, quanto ad uno dei SAL reputati falsi, anche in ordine al reato di cui all'art. 479 cod. pen., con la formula 'perché il fatto non sussiste'. L'addebito residuo di falso ideologico nei loro confronti è stato dichiarato prescritto in appello.

2. Contro la decisione della Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia, che ha affidato le proprie doglianze a tre motivi.

2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione dell'art. 479 cod. pen. in relazione al d.P.R. 207 del 2010 e vizio di motivazione. Secondo l'art. 227 d.P.R. cit., i difetti e le mancanze nell'esecuzione dei lavori possono essere ripianati — laddove di poca entità e riparabili in breve tempo — con prescrizioni all'esecutore dei lavori da eseguirsi entro un certo termine ovvero, se i difetti e le mancanze non pregiudicano la stabilità dell'opera e la regolarità del servizio cui l'intervento è strumentale, l'importo che per loro dovrebbe essere corrisposto — determinato dall'organo di collaudo nel suo certificato — può essere detratto dal credito dell'esecutore. Tali attività di segnalazione erano state puntualmente svolte dall'imputato e rendicontate nel certificato di collaudo, nella relazione di collaudo, nei verbali di visita di collaudo e nella relazione sulle riserve. Ciò nonostante, i Giudici di merito hanno valorizzato solo la frase di stile riportata negli atti di collaudo attestante l'avvenuta esecuzione delle opere secondo il progetto e le varianti approvate, pretermettendo la richiesta dell'appellante di un'analisi integrale degli atti di collaudo. La Corte di merito — aggiunge il ricorrente — non aveva indicato quale avrebbe dovuto essere il comportamento alternativo lecito.

2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza del dolo della fattispecie nonché vizio di motivazione sul punto. Il ricorrente insiste, anche ai fini della prova del dolo generico del reato, sull'inconciliabilità tra la volontà di attestare il falso e la segnalazione, nell'intero incarto del collaudo, di tutte le difformità e carenze della ditta, con conseguente adozione dei provvedimenti correttivi e rigetto di tutte le riserve dell'impresa, fatto da cui era nato addirittura un contenzioso tra stazione appaltante e impresa, vinto dalla prima. A fronte di ventinove pagine in cui erano segnalate tutte le difformità, è stato dato rilievo all'unica, infelice frase che l'imputato aveva lasciato lì per leggerezza. La sentenza impugnata avrebbe risposto all'obiezione in maniera tautologica, contradditoria — laddove, in precedenza, aveva parlato di "irresponsabilità" del prevenuto — e carente perché non ha affrontato il tema difensivo dell'assenza di secondi fini, sviluppato non già per trasformare il dolo da generico a specifico, ma per smentire la ritenuta sussistenza del coefficiente soggettivo della fattispecie.
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