Cass. civ., sez. I, sentenza 13/09/2002, n. 13412
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Costituisce "prodotto alimentare preconfezionato" quello che corrisponde alle caratteristiche stabilite dalla disposizione dell'art. 1, secondo comma, lett. b) del D.Lgs. n. 109 del 1992 senza che abbia rilievo qualsiasi riferimento al luogo di confezionamento. Ne consegue che tale prodotto, sia esso imballato all'interno dello stesso esercizio di vendita o in un luogo diverso, deve indicare in etichetta il termine minimo di conservazione con la conseguenza che, ai sensi delle lettere "b" e "d" della predetta disposizione normativa, la differenza tra prodotto alimentare "preconfezionato" e prodotto "preincartato" - per il primo dei quali soltanto esiste l'obbligo di indicazione del termine minimo di conservazione - non va individuata in ragione del luogo in cui avviene l'imballaggio, bensì delle caratteristiche dell'imballaggio stesso).
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. A SGGIO - Presidente -
Dott. G CUCCIO - Consigliere -
Dott. G V A. MAGNO - rel. Consigliere -
Dott. F FTE - Consigliere -
Dott. V RSI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
B L, nella qualità di legale rappresentanze p.t. della s.r.l. Centri Commerciali Moderni Piacenza Nord, elettivamente domiciliato in Roma, via G. B. Vico, n. 9, presso l'avvocato R M, rappresentato e difeso dall'avvocato G A, giusta procura speciale a margine del ricorso
- ricorrente -
contro
UPICA Ufficio Provinciale Industria, Commercio e Artigianato di Lodi, in persona del legale rappresentante p.t., domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 15/99, depositata il 1.4.1999, del pretore di Lodi, sezione distaccata di Codogno. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/02 dal Relatore Cons. Dott. G V A M;
Udito, per il ricorrente, l'Avvocato L, per delega;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ltino A R, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 24.6.1998, B L, legale rappresentante della s.r.l. Centri Commerciali Moderni Piacenza Nord, esercente ipermercato "Auchan" in S. Rocco al Porto, propose opposizione davanti al pretore di Lodi, sezione distaccata di Codogno, avverso l'ordinanza ingiunzione emessa dall'ufficio provinciale per l'industria, commercio e artigianato (U.P.I.C.A.) di Lodi in data 4.5.1998, notificata il 25.5.1998, con la quale veniva ingiunto il pagamento della somma di Lire 6.000.000 per la violazione dell'articolo 3, co. 1, lett. d), D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, consistente - come accertato in data 27.2.1997 dai carabinieri del nucleo anti-sofisticazioni (N.A.S.) di Cremona - nella messa in vendita di alcune confezioni di carne, esposte in un bancone frigorifero a disposizione dei clienti, con etichetta priva dell'indicazione del termine minimo di conservazione. Chiedeva l'opponente che l'ingiunzione fosse dichiarata nulla o revocata, per carenza di motivazione e per insussistenza della violazione contestata.
L'ufficio opposto, costituendosi in giudizio, contestò le deduzioni avversarie, siccome infondate in fatto ed in diritto, e chiese il rigetto del ricorso.
Il pretore, con sentenza depositata il 1.4.1999, ritenuta l'insussistenza, stante il richiamo ai rapporti del N.A.S., del lamentato difetto di motivazione dell'ordinanza ingiunzione e l'infondatezza delle altre argomentazioni poste a base dell'opposizione, rigettò il ricorso e compensò le spese processuali.
Avverso tale sentenza B L, nella suddetta qualità, propone ricorso per cassazione, ritualmente notificato, articolato in due motivi. Resiste, mediante controricorso, l'U.P.I.C.A. di Lodi, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due motivi del ricorso - concernenti violazione di legge ed omissione o insufficienza e contraddittorietà della motivazione - vanno opportunamente trattati in unico contesto argomentativo, stante la loro stretta connessione logica e giuridica.
Sostiene il ricorrente che il pretore ha male interpretato ed applicato la normativa in materia (D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, di attuazione delle direttive europee 89/395/CE e 89/396/CE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), omettendo altresì di motivare, o fornendo una motivazione insufficiente e contraddittoria, in ordine alla differenza, posta dalla legge, fra prodotti preconfezionati e preincartati, con riferimento all'obbligo - sussistente solo per i primi - di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione. In particolare, il giudice di merito avrebbe, secondo il ricorrente, illegittimamente attribuito rilievo, nell'operare tale differenza, alle diverse caratteristiche dell'involucro, anziché al diverso luogo di confezionamento;avrebbe, quindi, disatteso senza ragione e senza adeguata motivazione le circolari 27.4.1993, n. 140, del ministero dell'industria, e n. 53/1993 della regione Lombardia, a mente delle quali sarebbe da considerare preincartato (e quindi sfuggirebbe alla necessità dell'indicazione della data di scadenza) anche il prodotto avente i caratteri di preconfezionato, quando l'operazione di preconfezionamento sia eseguita nello stesso punto di vendita.
Per conseguenza di tale inesatta interpretazione, il giudice di merito avrebbe applicato ad un prodotto alimentare imballato nello stesso esercizio commerciale, e perciò da ritenere, secondo la tesi difensiva, "preincartato", la disposizione relativa all'indicazione di scadenza in etichetta, riguardante invece soltanto i prodotti impacchettati in luogo diverso dall'esercizio di vendita, descritti dalla legge come "preconfezionati".
Il ricorso è infondato.
Le circostanze di fatto che definiscono il caso concreto sono pacifiche tra le parti: in un banco frigorifero di esposizione dell'ipermercato Auchan di S. Rocco al Porto, all'atto dell'ispezione compiuta dai carabinieri del N.A.S., erano offerte in vendita direttamente ai clienti trenta confezioni di carne macinata equina e sei di trippa bovina, consistenti in altrettante vaschette di idoneo materiale contenenti il prodotto alimentare, interamente ricoperto e protetto da una pellicola trasparente, con sovrastante etichetta che, fra diverse indicazioni, non riportava quella attinente alla scadenza (c.d. "termine minimo di conservazione", da intendere come termine massimo per la sicurezza dell'uso alimentare).
L'unica questione controversa riguarda l'interpretazione del combinato disposto degli articoli 3, lett. d), e 1, secondo comma, lett. b) e d), del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, che ha dato attuazione alle direttive CE 89/395 e 89/396: la prima di tali norme, infatti, include l'indicazione del "termine minimo di conservazione" fra i dati obbligatori da inserire nell'etichetta apposta sui prodotti preconfezionati;la seconda norma citata, alle lettere b) e d), pone la distinzione fra prodotti alimentari "preconfezionati" (la cui etichetta deve indicare, fra l'altro, il suddetto termine di scadenza) e "preincartati" (per i quali tale indicazione non è necessaria). Più precisamente, quindi, la discussione s'incentra sull'esatto contenuto e significato dell'espressione normativa "prodotto alimentare preconfezionato".
Le caratteristiche del "prodotto alimentare preconfezionato", secondo l'articolo 1, co. 2, lett. b, cit., sono le seguenti: destinazione ad essere presentato "come tale" (cioè senza ulteriori manipolazioni e modifiche, di contenuto o di confezionamento) al consumatore;
inclusione, avvenuta prima della presentazione alla vendita, del prodotto alimentare in un imballaggio;attitudine dell'imballaggio, intero o parziale, ad impedire modifiche del contenuto, se non attraverso l'apertura o l'alterazione della stessa confezione. In questo senso, durante il periodo di vigenza del D.P.R. 18 maggio 1982, n. 322, contenente analoghe indicazioni, Cass. nn. 10179/1997,
9755/1996, 9212/1992. In conformità alla lett. d) della stessa norma, il "prodotto alimentare preincartato" ha invece, come unica peculiarità, quella di essere stato posto o avvolto in un involucro (di cui non sono specificate le caratteristiche) nello stesso esercizio di vendita. Nell'interpretare queste disposizioni si deve, anzitutto, aver riguardo al fatto che esse sono inserite in un provvedimento delegato, inteso a dare attuazione a direttive comunitarie dal cui contenuto, pertanto, non possono discostarsi (Cass. n. 10821/1995). Sotto l'aspetto della conformità alle direttive comunitarie, tendenti ad uniformare le legislazioni dei paesi membri in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari senza scendere in particolari sottodistinzioni - e quindi sotto l'aspetto della ratio legis sembra evidente che qualsiasi specificazione e distinzione di ipotesi normative, come quelle ora considerate, deve trovare unica o principale giustificazione nella maggior tutela del consumatore. In questa ottica, l'indicazione in etichetta della data entro la quale il prodotto può essere consumato senza pericolo per la salute del consumatore ("termine minimo di conservazione") è giustamente richiesta per gli alimenti preconfezionati che vengono acquistati, per così dire, "a scatola chiusa", essendo protetti da un imballaggio a prova di rottura;
diversamente si deve opinare riguardo agli alimenti preincartati, il cui involucro non ha la stessa conformazione ne' le stesse finalità. In questa visuale interpretativa, il luogo di esecuzione del confezionamento non riveste significato ed importanza tali da giustificare, insieme con la differenza fra "preconfezionato" e "preincartato" (peraltro non prevista nella direttiva CE all'epoca vigente), la limitazione dell'obbligo d'indicazione della scadenza a quei soli prodotti che, pur avendo uguali caratteristiche d'imballo, si distinguerebbero dagli altri soltanto per essere stati confezionati in luogo diverso.
Si deve convenire, d'altra parte, che il testo normativo non obbliga ad una interpretazione difforme da quella sopra indicata, ricavabile dalla mens legis, con preminente riferimento al legislatore europeo. Infatti la legge non richiede che lo speciale imballaggio del prodotto "preconfezionato" sia eseguito in luogo diverso dall'esercizio commerciale in cui viene venduto. Il confezionamento nello stesso luogo di vendita è bensì richiesto (art.1/2/d) per il prodotto "preincartato": ma non è prescritto, ne' deriva da necessità logica, che l'impacchettamento del prodotto "preconfezionato" debba essere eseguito, pur senza un'espressa previsione legislativa, in luogo diverso da quello di vendita. Fermo restando che, legalmente, prodotto "preincartato" è quello posto o avvolto nell'involucro all'interno dello stesso esercizio di vendita, il prodotto "preconfezionato" può essere invece liberamente imballato nello stesso luogo o in luogo diverso, nulla disponendo la legge in proposito.
Il riferimento al luogo di confezionamento, pertanto, è estraneo alla ratio della direttiva comunitaria, è inconferente rispetto al principio di tutela del consumatore ed è escluso dalla disposizione dell'articolo 1, secondo comma, lett. b) del D.Lgs. n. 109/1992, che non contempla, fra gli elementi caratterizzanti il prodotto alimentare preconfezionato, quello del luogo d'imballaggio. In conclusione, è prodotto alimentare preconfezionato quello che corrisponde alle caratteristiche stabilite nella norma da ultimo citata, escluso qualsiasi riferimento al luogo di confezionamento. Tali caratteristiche sussistevano nel caso concreto, secondo l'apprezzamento correttamente motivato, e quindi incensurabile (Cass. n. 5094/1997), del giudice di merito. Sussisteva, pertanto, anche
l'obbligo di indicare in etichetta il "termine minimo di conservazione".
La sentenza impugnata è esente, per le ragioni esposte, dal vizio di violazione di legge e, relativamente a questo profilo, anche da quello di motivazione giacché, richiamando esplicitamente i rilievi contenuti nel verbale dei carabinieri del N.A.S., il pretore espone che le confezioni in questione erano destinate alla vendita "come tali", chiuse in un imballaggio trasparente che impediva la manipolazione del contenuto senza apertura o alterazione dell'involucro;che quindi possedevano, a suo giudizio, le caratteristiche legali tipiche dei prodotti preconfezionati. Sotto altro profilo, il ricorrente ritiene che il pretore sia incorso in vizio di motivazione, laddove ha ritenuto - asseritamente, senza darne debita ragione - di disattendere una circolare del ministero dell'industria ed una della regione Lombardia (sopra citate), a mente delle quali sarebbero "preincartati" (non preconfezionati, e perciò non soggetti all'obbligo d'indicazione della data di scadenza) i prodotti alimentari che subiscano l'operazione di confezionamento nello stesso esercizio di vendita.
Il rilievo è parimenti infondato, giacché il giudice di merito, dopo avere genericamente premesso che le istruzioni amministrative non sono vincolanti per l'autorità giudiziaria, non omette di chiarire specificamente le ragioni per cui ritiene "che quanto contenuto nella citata circolare non sia conforme al dettato del D.Lgs. 109/92", argomentando in particolare sulla illegittimità del criterio di distinzione, fra prodotti preconfezionati e preincartati, basato sul diverso luogo di confezionamento. Non è pertanto ravvisabile il lamentato vizio di motivazione ne' quello di violazione di legge, per le ragioni sopra esposte in merito al criterio legale di distinzione fra le due categorie di confezioni. Il ricorrente tuttavia ha ragione di lamentare l'errore interpretativo contenuto nella sentenza impugnata, laddove si afferma che, per alimento "preincartato", debba intendersi quello non imballato "prima" di essere posto in vendita, bensì avvolto in un involucro (non sigillato) dallo stesso venditore, soltanto dopo l'indicazione e la scelta del prodotto (sfuso) da parte del consumatore.
Così opinando si introduce, secondo il ricorrente, un fattore temporale di distinzione - che la legge, usando in entrambe le ipotesi il prefisso "pre" (pre-incartato e pre-confezionato), mostra di non ammettere - ed un'indebita commistione fra i concetti - che la legge tiene distinti - di prodotto "preincartato" e di prodotto "sfuso".
Questo specifico profilo di censura è fondato, poiché s'inserisce nel quadro dell'interpretazione data alle norme in esame, secondo cui la categoria dei prodotti alimentari preconfezionati si distingue dall'altra non per fattori di tipo locale (dove è fatto il preconfezionamento) o temporale (quando è fatto), ma soltanto in virtù delle specifiche caratteristiche risultanti dal testo normativo, attinenti al diverso tipo ed alla diversa funzione dell'imballaggio, nell'ottica della tutela del consumatore. Limitatamente a questo profilo, la motivazione della sentenza impugnata va quindi corretta, nei sensi suespressi, in base all'articolo 384, secondo comma, c.p.c., essendo il dispositivo conforme al diritto.
Peraltro il ricorso, per tutte le ragioni esposte, deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.