Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 22/11/2003, n. 17794

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Massime1

Anche prima della entrata in vigore del regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle forme di assunzione nei pubblici impieghi, di cui al D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, il quale contiene norme sui termini di durata dei pubblici concorsi, la pubblica amministrazione può essere ritenuta responsabile del pregiudizio subito a causa della durata delle operazioni concorsuali, quando questa ecceda i limiti di ragionevolezza da valutare alla stregua di tutte le circostanze del caso e, segnatamente, del livello di professionalità da selezionare e del numero di partecipanti in relazione a quello dei posti messi a concorso. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, con motivazione assertiva e senza alcun riferimento al numero dei partecipanti al concorso per un posto di operaio generico manutentore, aveva ritenuto ragionevole la durata del concorso, protrattosi per quattordici mesi).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 22/11/2003, n. 17794
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17794
Data del deposito : 22 novembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. T V - Presidente -
Dott. DELL'

ANNO

Paolino - Consigliere -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
Dott. C F - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso proposto da:
G C, elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE BRUNO PELIZZI

21, presso lo studio dell'avvocato M, T S, rappresentato e difeso dall'avvocato E D L, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
COMUNE DI MA DI SOMMA;



- intimato -


e sul 2^ ricorso n. 1586/2002 proposto da:
COMUNE MA DI SOMMA, in persona del legale rappresentante "pro tempore", elettivamente domiciliato in

ROMA VIA PORTUENSE

104, presso D A A, rappresentato e difeso dall'avvocato G V, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
G C, elettivamente domiciliato in

ROMA VLE BRUNO PELIZZI

21, presso lo studio dell'avvocato M T S, rappresentato e difeso dall'avvocato E D L, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sent. n. 1207/01 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 10 ottobre 2001 - R.G.N. 953/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 aprile 2003 dal consigliere Dott. Filippo CURCURUTO;

udito l'Avvocato DI LORENZO;

udito l'Avvocato VIOLANTE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ciro G convenne in giudizio il Comune di Massa di Somma dinanzi al Tribunale di Nota, affinché fosse dichiarata l'illegittimità del licenziamento intimatogli dal convenuto, con condanna di questo a riassumerlo, a pagargli i ratei di stipendio dalla data del recesso, ed a risarcirgli tutti i danni connessi alla mancata esplicazione dell'attività lavorativa, ivi compreso quello biologico. A fondamento della domanda il G espose che:
era risultato vincitore del concorso bandito dal convenuto per un posto di operaio generico manutentore, riservato alle categorie protette ex legge n. 482 del 1968, la cui graduatoria era stata approvata dalla giunta comunale con deliberazione del 15 luglio 1993;

tale deliberazione era stata impugnata da altro candidato, che ne aveva fatta valere l'illegittimità per contrasto con l'articolo 7 del decreto legislativo n. 509 del 1988, termine del quale
l'iscrizione nell'elenco degli invalidi civili richiede un'invalidità superiore al 45% mentre esso G sarebbe stato invalido solo nella misura del 37%;

la delibera era stata annullata dal giudice amministrativo, sul rilievo che il G, in possesso dei requisiti alla data del bando, li aveva perduti successivamente, non rientrando la misura della sua invalidità in quelle, più elevate, stabilite dal cit. decreto legislativo n. 509 del 1988;

passata in giudicato la sentenza di annullamento, il Comune di Massa di Somma, con nota del 10 maggio 2000, dopo sette anni di lavoro, lo aveva estromesso dal posto di lavoro.
Nella resistenza del Comune convenuto, il Tribunale rigettava la domanda.
Su appello del G, contrastato dal Comune, la Corte d'Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'ente, ed osservando quanto segue, per ciò che ancora rileva.
Premesso che il giudicato formatosi sul punto precludeva il riesame nel merito delle questioni, che avevano già costituito oggetto di esame da parte del giudice amministrativo, ed osservato che, a stretto rigore, il Comune non aveva licenziato l'appellante ma aveva dichiarato nullo il rapporto di lavoro con lo stesso intercorso, per il venir meno del presupposto per la sua valida costituzione, ossia l'approvazione della graduatoria e la nomina in servizio del G come vincitore del concorso, contenute nella delibera 15 luglio 1993, la Corte d'Appello ha precisato che ad essa competeva solo di verificare se il conseguente provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro fosse o no sorretto, secondo i generali principi giuslavoristici, da giusta causa o giustificato motivo. Al riguardo, secondo la Corte, non aveva anzitutto alcun rilievo la questione di illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo n. 509 del 1988, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, sollevata dall'appellante, perché, stante la
preclusione del giudicato, l'eventuale declaratoria di illegittimità non avrebbe comportato la reviviscenza della delibera annullata. Quindi, non poteva esservi dubbio che, eliminata la delibera di nomina del G quale vincitore del concorso, il Comune non poteva far altro che risolvere il suo rapporto di lavoro, ormai non più sorretto dal presupposto della nomina in servizio a seguito di concorso, indispensabile in materia di pubblico impiego. Quanto alla responsabilità del Comune, essa era da escludere sia sotto il profilo dell'articolo 2043 c.c., che dell'articolo 36, comma 8, del decreto legislativo n. 29 del 1993, non potendo addebitarsi al
Comune alcuna condotta illecita o colposa ne' in ordine ai tempi osservati nell'espletamento delle operazioni concorsuali ne' in ordine all'omessa verifica dello stato invalidante dei concorrenti, e quindi del G, alla luce delle nuove tabelle di invalidità entrate in vigore nelle more del concorso stesso.
In primo luogo, infatti, i tempi di espletamento del concorso bandito con delibera 6 marzo 1992 e conclusosi con l'approvazione della graduatoria e la nomina del vincitore il 15 luglio 1993, ossia circa un anno e quattro mesi dopo, non erano affatto irragionevoli. Inoltre, non era previsto alcun termine per il completamento delle operazioni concorsuali ed, in particolare non vi era alcuna norma che facesse carico al Comune di completarle nel termine massimo del 13 marzo 1993, data di entrata in vigore delle nuove tabelle di invalidità, onde non correre il rischio che, per la retroattività delle nuove tabelle, aspiranti idonei cessassero di esser tali. Sarebbe stato, semmai, onere dell'interessato, dopo la modifica delle tabelle, attivarsi per la conferma del proprio stato invalidante, anche alla luce della diversa percentuale minima richiesta per il diritto all'iscrizione negli elenchi. Dei resto, lo stesso decreto legislativo n. 509 del 1988, nell'articolo 7, aveva previsto un
meccanismo transitorio per gli invalidi civili iscritti negli elenchi di cui all'articolo 19 della legge n. 482 del 1968, stabilendo che i soggetti con grado di invalidità inferiore al 46% conservassero il diritto all'iscrizione per un periodo di dodici mesi decorrente dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale. Il G avrebbe dunque potuto attivarsi per il riconoscimento di una invalidità tale da consentirgli la conferma del diritto alla iscrizione negli elenchi, ma, non avendolo fatto, non poteva pretendere di far ricadere sul Comune le conseguenze di un comportamento addebitabile esclusivamente a se stesso. Neppure poteva dirsi che l'ente fosse venuto meno ad uno specifico obbligo di sottoporre G a visita medica prima dell'avviamento al lavoro, per verificare la persistenza dello stato invalidante nella misura minima richiesta. Infatti, in primo luogo, a norma dell'art. 9 del decreto legge n. 463 del 1983, tale obbligo era imposto agli Uffici Provinciali del Lavoro della Massima Occupazione e non all'ente presso cui avviene l'avviamento. In secondo luogo, un accertamento disposto dal Comune non avrebbe comunque potuto conseguire il risultato di includere il G negli elenchi con una percentuale superiore al 45%, essendo tale attività rimessa unicamente alla competente commissione medico-legale. Infine, circa la specie di responsabilità delineata nell'articolo 36, comma 8, del decreto legislativo n. 29 del 1993, la Corte ha osservato che la
norma prevede solo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno cagionatogli dalla prestazione lavorativa resa in violazione di norme imperative. Sennonché, nella specie, le prestazioni espletate dal G tra l'assunzione e la risoluzione del rapporto erano state regolarmente retribuite, ne' in riferimento alle stesse era stata avanzata alcuna rivendicazione.
Ciro G chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di quattro motivi.
Il Comune di Massa di Somma resiste con controricorso e, con ricorso incidentale, contesta la giurisdizione del giudice ordinario. Il ricorso incidentale è stato deciso dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 28 gennaio 2003, n. 1238, e la causa viene ora dinanzi a questa sezione per l'esame delle residue questioni ed i provvedimenti sulle spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione degli articoli 2 e 7 del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, nonché del Decreto Ministeriale 5 febbraio 1992, entrato in vigore il 13 marzo 1992, il
ricorrente addebita alla sentenza impugnata l'errore di aver ritenuto che nessun termine di completamento del concorso fosse previsto nel bando o in altra fonte normativa.
I passaggi argomentativi della censura possono ricostruirsi come segue. Il bando di concorso risale al 6 marzo 1992, data in cui è in vigore l'articolo 7 del D.Lgs. n. 509 del 1988, il quale stabilisce che coloro che, come i G, hanno un grado di invalidità inferiore al 46%, "conservano tale diritto per un periodo di dodici mesi decorrente dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 2, comma 1," della stessa legge.
Questo decreto è stato emanato il 26 febbraio 1992, ed è entrato in vigore il 13 marzo successivo, sì che il G a norma dell'articolo menzionato, risultava iscritto come invalido fino al 13 marzo 1993.
Il Comune, avendo bandito il concorso ai sensi della vecchia normativa e richiesto il certificato d'iscrizione di invalidità secondo le percentuali precedenti, era certamente tenuto a rispettare il periodo di tempo stabilito, ossia l'anno di "vacatio" previsto proprio per l'esaurimento della procedura e delle pratiche in corso, non potendo non sapere che, con il decorso dell'anno, diventavano automaticamente illegittimi tutti gli atti nel frattempo posti in essere, a partire dall'atto di approvazione degli ammessi al concorso, i quali, come il G, rischiavano di perdere ogni requisito al decorrere dell'anno.
Con il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione dell'articolo 6, comma 1, della Convenzione dei diritti dell'uomo, (da identificare, a quel che sembra, in assenza di più puntuali indicazioni, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848) nonché motivazione assurda e contraddittoria, il ricorrente addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che il menzionato art. 6, comma 1, della convenzione si deve considerare violato quando il ritardo di una procedura, che non presenta alcuna complessità, oltre il termine ragionevole previsto da tale disposizione cagiona danno al cittadino, e di non aver rilevato che la violazione di legge commessa dal Comune, non osservando il periodo di "vacatio", prescinde certamente dall'onere posto, peraltro erroneamente, a carico del G, secondo cui era quest'ultimo a doversi presentare entro l'anno al controllo della invalidità al fine della nuova iscrizione, dal momento che, se anche il G si fosse attivato in tal senso, qualora egli fosse stato ritenuto non più invalido e quindi non legittimato il concorso, il danno da lui subito sarebbe stato pur sempre ed esclusivamente cagionato dalla condotta del Comune, che, protraendo la durata del concorso oltre il termine del 13 marzo 1993, dopo il quale entravano in vigore le nuove tabelle, ne aveva determinata la inidoneità alla nomina quale vincitore. Sotto altro profilo, secondo il ricorrente, la Corte d'Appello aveva a torto ritenuto non colposa la condotta dell'ente, che aveva impiegato un anno e mezzo per espletare un concorso per la assunzione di un operaio, pur sapendo che il G avrebbe perso il requisito di legittimazione dopo il 13 marzo 1993, data entro la quale con un minimo di diligenza si sarebbe potuto portare a termine il concorso. Contrariamente all'opinione della Corte di merito, si era, quindi, in presenza di una colpa di particolare intensità, quale colpa con previsione dell'evento.
Con il terzo motivo di ricorso, denunziando violazione dell'articolo 9 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 il ricorrente addebita
alla sentenza impugnata grave illogicità nell'aver posto l'onere del controllo dell'invalidità secondo le nuove tabelle a carico del G e non del Comune e della commissione esaminatrice comunale. Secondo il ricorrente, il controllo avrebbe dovuto esser effettuato dal Comune per due ragioni: per non far diventare automaticamente invalido il concorso e tutti gli atti relativi, facendo colposamente decorrere il termine del 13 marzo 1993, con conseguente perdita del requisito di invalidità di chi era nelle condizioni del G, la cui percentuale di invalidità del 38% era chiaramente rilevabile dal certificato allegato agli atti del concorso;
e perché la legge citata, nella costante interpretazione del giudice amministrativo, in caso di inerzia degli Uffici provinciali del lavoro, pone l'onere del controllo proprio a carico del Comune.
Con il quarto, ed ultimo, motivo di ricorso il ricorrente addebita alla sentenza impugnata di avere ritenuto irrilevante la questione di costituzionalità degli articoli 2 e 7 del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, sul valore retroattivo delle nuove tabelle di invalidità,
entrato in vigore a seguito del decreto ministeriale 26 febbraio 1992. Secondo il ricorrente, il richiamo, fatto dalla sentenza, al
principio di inapplicabilità della pronunzia d'incostituzionalità alle situazioni esaurite per effetto del giudicato, sarebbe improprio, perché, discutendosi nella specie non dell'approvazione della graduatoria ma della legittimità o meno del licenziamento, il giudicato formatosi sulle deliberazioni costituenti il presupposto del licenziamento non riguardava quest'ultimo, sì che non può parlarsi di situazione che abbia interamente esaurito i propri effetti.
I primi due motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Nei limiti che seguono, essi sono fondati. Premesso che la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia è ormai acquisita, dopo la decisione 28 gennaio 2003, n. 1231 delle Sezioni Unite, già richiamata, il tema che i due motivi sottopongono alla Corte è quello del danno derivante al partecipante ad un concorso per la nomina di un pubblico dipendente, dal protrarsi delle operazioni concorsuali.
Del ritardo nello svolgimento di siffatte procedure ha avuto modo di occuparsi la giurisprudenza amministrativa, che ha considerato fonte di possibile pregiudizio degli interessi dei partecipanti, la patologica lentezza del procedimento concorsuale, ricollegando a tale premessa conseguenze diverse a seconda delle varie situazioni, ma unificate dal comune obiettivo di eliminare o almeno ridurre l'area della lesione subita dagli interessati. Così, ad es., nel caso di un concorso riservato al personale dipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione, protrattosi anormalmente, è stata ritenuta illegittima, per difetto di motivazione, la nomina dei vincitori da una data che, senza tener conto di tale anomalia, era stata fissata in epoca posteriore a quella di nomina di vincitori di altri analoghi concorsi successivi, ed il vizio della motivazione è stato ricollegato proprio alla mancata considerazione "della lesione derivante agli interessati dalla patologica lentezza del procedimento concorsuale" (Cons. Stato, VI Sez. 5 ottobre 1984, n. 592). Analogamente, sul rilievo che l'esercizio del potere discrezionale di cui disponeva l'amministrazione per l'espletamento dei concorsi previsti dalla legge 3 novembre 1961, n. 1255 - che aveva istituito una riserva, a favore del personale già in servizio presso le università, dei posti del ruolo delle segreterie universitarie, istituito con la legge stessa - non aveva risposto ai necessari requisiti di legittimità e di coerenza per quel che attiene ai profili cronologici ed, in particolare, per il grave ritardo, con cui si era proceduto all'espletamento dei concorsi, che non rispondeva non solo all'interesse di dipendenti, ma neanche all'interesse pubblico ad un rapido espletamento della procedura concorsuale, si è ritenuto che essendo derivata dall'illegittimo comportamento dell'amministrazione la lesione della legittima aspettativa di carriera dei dipendenti, con conseguente vantaggio di altri dipendenti immessi in servizio in epoca successiva, nonché l'impedimento allo sviluppo della carriera ed al riconoscimento dell'avvenuto svolgimento delle funzioni per i dipendenti ammessi a partecipare ai concorsi di cui alla legge n. 1255 cit., fosse illegittimo il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza dei vincitori di detti concorsi diretta ad ottenere la ricostruzione di carriera (Cons. Stato Sez. 6^ 18 ottobre 1977, n. 794;
e, nello stesso ordine concettuale, Cons. Stato, Sez. 6^, 16 gennaio 1976, n. 1). Anche la giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di esaminare l'argomento di cui si tratta, e le indicazioni da essa fornite, benché funzionali all'esame della questione della giurisdizione, sono nondimeno utili per un esatto inquadramento dei termini di questa controversia.
È, quindi, opportuno ricordare che la controversia con la quale un soggetto, assunto con decorrenza da una certa data soltanto a seguito dell'annullamento da parte del giudice amministrativo del provvedimento comunale che lo collocava al terzo posto nella graduatoria di un concorso a due posti di bidella, lamentando la tardività dell'assunzione, proponga contro il comune domanda di risarcimento dei danni commisurati all'importo della differenza fra le retribuzioni perdute nel periodo antecedente l'assunzione tardiva l'"aliunde perceptum", rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, alla stregua del criterio del cosiddetto "petitum" sostanziale, cioè della "causa petendi" della domanda (costituita dall'intriseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, siccome individuata dal giudice e determinata in relazione alla sostanziale protezione ad essa accordata in astratto dal diritto positivo). Infatti, l'oggetto della detta controversia non è una situazione giuridica nascente da un rapporto di impiego già in atto, ma si fonda sull'assenza della sua tempestiva costituzione, restando in tal modo estraneo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, già esistente in materia di pubblico impiego, nella quale ricadevano le sole controversie inerenti a rapporti di impiego già costituiti. Ne consegue che, nella specie, la questione della natura della situazione soggettiva fatta valere dal suddetto soggetto, che si assume lesa dal comportamento del comune e riguardo alla quale si assume verificato il danno lamentato, non vertendosi in ipotesi di giurisdizione esclusiva (rispetto alla quale soltanto la questione della natura della situazione assume rilievo ai fini dell'individuazione della giurisdizione, essendo strumentale all'identificazione della materia a quella giurisdizione devoluta), attiene esclusivamente al merito della vicenda giurisdizionale, competendo, in generale, al giudice ordinario adì to con una controversia avente ad oggetto una pretesa risarcitoria accertare se la situazione giuridica soggettiva fatta valere sia tale da determinare l'insorgere di un'obbligazione risarcitoria (Cass. Sez. Un. 19 novembre 1999, n. 799). Si deve, peraltro, ulteriormente sottolineare, per quanto interessa la presente decisione, che nella sentenza appena citata le Sezioni Unite hanno anche rimarcato come l'eventuale qualificazione della posizione dell'attore in termini di interesse legittimo, non avrebbe potuto comportare di per sè la non configurabilità del diritto al risarcimento, sottolineando poi che, ad ogni modo, pur accolta l'idea di tale non configurabilità, non se ne sarebbe potuto inferire ragione per la declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario: precisazione particolarmente utile nel caso in esame, poiché la affermata giurisdizione sulla controversia, non esime, come s'è detto, dalla indagine circa la possibilità di dar rilievo sul piano risarcitorio alla situazione giuridica fatta valere, in relazione alla consistenza di quest'ultima.
Fatte tali premesse, è da osservare che la sentenza ora impugnata, nel disattendere la tesi del G che ricollegava alla lunghezza anomala del procedimento concorsuale le conseguenze negative da lui subite in connessione con le nuove percentuali di invalidità, ha affermato, in sostanza, che non vi era alcun comportamento colposo del Comune, perché nessun termine per il completamento del concorso era previsto nel bando o in altra normativa, e perché ad ogni modo i tempi, di circa un anno e quattro mesi, per il completamento delle operazioni non potevano affatto considerarsi irragionevoli. La prima ragione, nei termini prospettati dal giudice di merito, non può esser condivisa. È evidente che, se sulla base di una regola esplicita, il concorso di cui si tratta avesse dovuto concludersi entro un determinato termine, il problema qui esaminato non avrebbe avuto ragion d'essere. Ma la questione va posta diversamente, e deve esser correlata con la seconda affermazione fatta dalla Corte territoriale.
In proposito è opportuno tener presente che, nella sua assolutezza, la tesi secondo cui non vi è alcun termine per lo svolgimento delle procedure concorsuali di assunzione o di Sezione, non corrisponde al diritto ora vigente, poiché a seguito del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 "Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi"), "prima dell'inizio delle prove concorsuali, la commissione, considerato il numero dei concorrenti, stabilisce il termine del procedimento concorsuale e lo rende pubblico" (art. 11, comma 1, del D.P.R. cit.) e "le procedure concorsuali devono concludersi entro sei mesi dalla data di effettuazione delle prove scritte o, se trattasi di concorsi per titolo, dalla data della prima convocazione" (art. 11, comma 5, D.P.R. cit). Ora, se è vero che il concorso cui partecipò il G non poteva esser soggetto alle due precise regole appena indicate, perché svoltosi prima della loro entrata in vigore, non pare tuttavia seriamente contestabile che, anche in assenza di tali regole, un concorso per la nomina di un pubblico dipendente non potesse legittimamente svolgersi con ritardi ingiustificati pena la lesione anche degli interessi pubblici che, attraverso la procedura, dovrebbero trovare soddisfazione: il che, come s'è visto, è profilo ben presente anche nella giurisprudenza amministrativa, ne' potrebbe esser altrimenti, se solo si considerano i principi anche costituzionali, quale in specie quello del buon andamento (art. 97 Cost.), che devono presiedere ai comportamenti delle pubbliche amministrazioni.
Il problema è allora quello di accertare se, in concreto, nello svolgimento delle operazioni concorsuali, si sia superata la soglia della ragionevolezza.
Su questo punto la risposta negativa data dalla sentenza è inadeguata e, in sostanza, meramente assertiva, limitandosi essa ad affermare che quattordici mesi sono un termine di durata niente affatto irragionevole. Ma la incongruità della motivazione risulta immediata già ove si considerino il modesto livello della professionalità da selezionare (operaio generico manutentore) e la unicità del posto da assegnare, elementi totalmente pretermessi. Naturalmente i suddetti elementi, che deporrebbero di per sè per operazioni concorsuali tutt'altro che complesse, potrebbero esser bilanciati in senso inverso da altre circostanze, delle quali però nella decisione della Corte non vi è traccia. In particolare, nel rendere ragione della durata del concorso, un peso notevole avrebbe potuto avere il numero di partecipanti (criterio assunto, non per caso, quale parametro normativo nel cit. art. 11 del D.P.R. n. 487 del 1994). Ma anche di tale fattore la sentenza tace completamente.
In conclusione, non essendo contestato il pregiudizio subito dal G per effetto del licenziamento, la sua domanda risarcitoria è stata rigettata sotto il profilo dell'assenza di un comportamento colpevole della amministrazione comunale, per mancanza di un parametro normativo cui collegarlo. Per contro, tenendo presente che la regola non sempre può esser identificata in uno specifico enunciato, ma va ricostruita alla stregua di una complessiva considerazione dell'ordinamento, o, più realisticamente, del particolare settore o sottosettore di questo, costituente lo specifico campo di riferimento normativo, deve dirsi che la condotta del Comune di Massa di Somma avrebbe dovuto esser valutata alla stregua del principio per cui anche prima dell'entrata in vigore del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, ("Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi") il quale contiene, fra l'altro, norme sui termini di durata dei pubblici concorsi, la Pubblica Amministrazione può esser ritenuta responsabile del pregiudizio subito a causa della durata delle operazioni concorsuali, quando questa ecceda i limiti di ragionevolezza da valutare alla stregua di tutte le circostanze del caso, e segnatamente del livello delle professionalità da selezionare e del numero dei partecipanti in relazione a quello dei posti messo a concorso.
L'accoglimento, nei precisi limiti indicati, dei due motivi in esame determina l'assorbimento degli altri.
Si impone quindi la cassazione della sentenza, con rinvio ad altro giudice di appello che riesaminerà la causa sulla base delle indicazioni e delle direttive di cui sopra e in particolare del principio di diritto appena enunziato.

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