Cass. civ., SS.UU., sentenza 15/01/2015, n. 604

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In tema di azioni nunciatorie nei confronti della P.A., sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando l'attore denunci attività materiali dell'amministrazione che possano recare pregiudizio a beni di cui egli si assume proprietario o possessore e il "petitum" sostanziale della domanda tuteli un diritto soggettivo, come nel caso in cui l'attore deduca la mancata esecuzione dell'ordinanza comunale di demolizione di un fabbricato pericolante che sovrasti la sua proprietà.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 15/01/2015, n. 604
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 604
Data del deposito : 15 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Primo Presidente f.f. -
Dott. S G - Presidente di Sez. -
Dott. R R - Presidente di Sez. -
Dott. R V - Consigliere -
Dott. M V - rel. Consigliere -
Dott. V R - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 19330-2013 proposto da:
C L, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

BROFFERIO

7, presso lo studio dell'avvocato M G, rappresentata e difesa dall'avvocato M V, per delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
CUNE DI T, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FRANCESCO VALESIO

1, presso lo studio dell'avvocato P E, rappresentato e difeso dall'avvocato D P R, per delega a margine del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 193/2013 della CORTE D'APPELLO di POTENZA, depositata il 06/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2014 dal Consigliere Dott. V M;

uditi gli avvocati E MTE per delega dell'avvocato Vincenzo Montagna, Eugenio PACE per delega dell'avvocato Roberto De Paola;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

APICE

Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Matera sezione distaccata di Rotondella depositato il 23-10-1992 C Lucia proponeva denuncia di danno temuto, assumendo di essere proprietaria di un immobile sito in Tursi, corso Vittorio Emanuele 2, sottostante ad un fabbricato fatiscente - in comproprietà tra più persone specificamente indicate - le condizioni del quale avevano comportato infiltrazioni di acqua nel locale dell'esponente, con conseguente necessità di evacuazione;
aggiungeva che la condizione di pericolo era stata riconosciuta dal Sindaco di Tursi che aveva emesso, previa apposita istruttoria, una ordinanza di demolizione con comminatoria, in caso di inadempimento, di esecuzione di ufficio;
peraltro la demolizione non era stata eseguita, ne' il Comune aveva provveduto alla esecuzione di ufficio.
La ricorrente chiedeva quindi l'adozione di tutti i provvedimenti necessari per l'eliminazione dei danni, con obbligo ai suddetti comproprietari "e con effetti nei confronti del Sindaco di Tursi e del Comune di Tursi" di eseguire la demolizione, nonché tutti i lavori volti a prevenire l'aggravamento dei danni stessi. Le controparti non si costituivano in giudizio (il ricorso ed il decreto di fissazione di udienza erano notificati anche al Comune di Tursi).
Il Pretore con ordinanza del 15-4-1993 disponeva la demolizione del fabbricato di proprietà dei resistenti, se già non eseguita dalla autorità amministrativa, disponeva l'esecuzione di una serie di lavori, come suggeriti dal CTU, al fine di rimuovere le conseguenze dannose dello stato di abbandono dell'immobile, ed assegnava termine per la riassunzione della causa dinanzi al Tribunale di Matera. La C quindi citava in riassunzione dinanzi al suddetto Tribunale i comproprietari dell'immobile in questione (ovvero Di Noia Teresa, Missanelli Pietro Antonio, Missanelli Teresa, Cosma Giovanni, e gli eredi di Missanelli Concetta Maria Immacolata, Lacanna Giovanni, Filippo ed Antonio), nonché il Comune di Tursi, chiedendo accogliersi le conclusioni formulate nel ricorso introduttivo e convalidarsi il provvedimento cautelare. Si costituivano in giudizio i convenuti, tra i quali il Comune di Tursi, che chiedeva dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva, ed in subordine rigettarsi la domanda;
assumeva che aveva adottato tutte le iniziative del caso, sino a procedere alla esecuzione della disposta demolizione, e che quindi non vi era alcuna necessità di riassumere il processo nei suoi confronti. Con sentenza parziale del 10-9-2005 il Tribunale adito rigettava la domanda nei confronti del Comune di Tursi che "estrometteva dal giudizio", condannando l'attrice al pagamento delle spese di giudizio in favore del convenuto, e rimetteva la causa sul ruolo per l'espletamento di una CTU.
Proposta impugnazione avverso tale sentenza dalla C cui resisteva il Comune di Tursi la Corte di Appello di Potenza con sentenza del 6-6-2013 ha rigettato l'impugnazione ed ha condannato l'appellante al rimborso delle spese del grado.
La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile il terzo motivo con il quale la C aveva dedotto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in quanto il suo accoglimento avrebbe comportato comunque la soccombenza dell'appellante medesima, che si identificava con la parte attrice;
il motivo in esame era dunque paradossale, poiché con esso la C aveva chiesto la propria soccombenza, sia pure per una ragione diversa da quella sancita dalla sentenza appellata.
Con riferimento al primo motivo, il giudice di appello ha affermato che la sentenza appellata era consentita dall'art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5;
si trattava infatti di sentenza definitiva, avendo definito
il giudizio tra le parti in causa statuendo anche sulle relative spese, ed avendo disposto l'ulteriore istruzione nei confronti delle altre parti, previa implicita separazione delle relative cause. La sentenza impugnata ha poi escluso la sussistenza di una qualsiasi responsabilità del Comune nei confronti della C, posto che il suddetto ente pubblico aveva provveduto dapprima ad emettere una ordinanza di demolizione, come riconosciuto dalla stessa attrice nel ricorso introduttivo, e successivamente a farla eseguire in danno dei destinatari, come si evinceva dalla Delib. Giunta 28 maggio 1993 con cui era stato liquidato il compenso alla ditta che aveva eseguito la demolizione, con riserva di ripetizione verso i proprietari "pro quota";
pertanto il rigetto della domanda era condivisibile, mentre l'estromissione del Comune di Tursi dal giudizio era impropria e superflua.
Infine la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile il motivo con il quale l'appellante si era doluta della condanna alle spese e dell'importo delle medesime;
in ordine al primo profilo di censura, ha affermato che non si riscontrava, ne' era stata dedotta, alcuna ragione per derogare al principio della soccombenza in materia di regolamentazione delle spese di giudizio, mentre la doglianza relativa all'importo delle spese era assolutamente generica. Per la cassazione di tale sentenza la C ha proposto un ricorso articolato in quattro motivi cui il Comune di Tursi ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di specialità della procura apposta a margine del ricorso stesso per l'assenza di qualsiasi riferimento al giudizio di legittimità. L'eccezione deve essere disattesa, costituendo principio consolidato di questa Corte che in tema di ricorso per cassazione il requisito della specialità della procura prescritto dall'art. 365 c.p.c. deve ritenersi soddisfatto qualora, pur non contenendo uno specifico richiamo al ricorso, essa sia stata apposta in calce o a margine dello stesso (come appunto nella fattispecie), in modo da porsi in relazione fisica con l'atto cui inerisce e da formare con esso un documento unitario.
Sempre in via preliminare deve rilevarsi un profilo di inammissibilità di tutti i motivi nella parte in cui con essi si denunciano vizi di motivazione su di un punto decisivo della controversia, trascurando di considerare che nella fattispecie, in presenza di una sentenza di appello pubblicata il 6-6-2013, si applica "ratione temporis" il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54
convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ai sensi del menzionato art. 54, comma 3 alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione), che ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciarle per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (Cass. S.U. 7- 4-2014 n. 8053);
è invero evidente che la ricorrente non ha assolutamente denunciato un vizio di tale natura in nessuno dei motivi formulati.
Tanto premesso, si rileva che con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione ed omessa applicazione dell'art. 37 c.p.c., violazione dei principi generali in tema di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, violazione della L. n. 1034 del 1971, art. 5 e dell'art. 25 Cost., violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto inammissibile per difetto di interesse la censura dell'appellante in ordine all'invocato difetto di giurisdizione del giudice ordinario;

in proposito sostiene che le sentenze di primo grado possono sempre essere impugnate per difetto di giurisdizione, e che per ciascuna parte processuale costituisce incontrovertibile interesse avere una valida decisione da parte del giudice che ha giurisdizione in materia secondo precetto costituzionale.
Ciò posto, la Co afferma che non rientrano nella giurisdizione ordinaria le azioni di nunciazione proposte contro la pubblica amministrazione, e che ricorre la giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento, come nella fattispecie, a comportamenti omissivi inerenti l'uso del territorio (omessa esecuzione di una ordinanza di demolizione di un fabbricato pericolante sovrastante la proprietà dell'esponente), ovvero in generale alla inosservanza delle regole imposte dalla prudenza e dalle cautele tecniche alla salvaguardia dei diritti dei terzi. Il motivo è ammissibile, ma infondato.
Sotto un primo profilo, invero, contrariamente all'assunto della Corte territoriale, sussisteva l'interesse della C a sollevare la enunciata questione di giurisdizione, considerato che l'appellante era rimasta soccombente all'esito del giudizio di primo grado, e che quindi essa aveva nella sostanza dedotto che la sua domanda era stata rigettata da un giudice privo di giurisdizione. Tuttavia la censura sollevata con il motivo in esame è infondata, atteso che la domanda proposta dalla C nei confronti anche del Comune di Tursi aveva ad oggetto la tutela dell'immobile di sua proprietà, soggetto ad infiltrazioni provenienti dal sovrastante fabbricato, lamentando nei confronti della suddetta amministrazione pubblica non già l'emissione di atti o provvedimenti ricollegabili all'esercizio di poteri discrezionali ad essa spettanti, ma soltanto la mancata adozione della demolizione del suddetto fabbricato onde rimuovere la causa della grave situazione di pericolo riguardante il proprio immobile;
invero in tema di azioni nunciatorie nei confronti della P.A. sussiste la giurisdizione del giudice ordinario ogni qual volta si denuncino attività materiali della P.A. che possano recare pregiudizio a beni di cui il privato assume essere proprietario o possessore, e, in relazione al "petitum" sostanziale della sottostante pretesa di merito, la domanda risulti diretta a tutelare una posizione di diritto soggettivo (Cass. S.U. 28-2-2007 n. 4633), come appunto nella fattispecie.
Deve quindi dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario. Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5, nullità della decisione gravata ed insufficiente e contraddittoria motivazione, premesso che il giudice di primo grado aveva emesso una decisione parziale in palese violazione della suddetta disposizione, rileva che la statuizione sul punto della Corte territoriale, che ha ritenuto esservi stata una implicita separazione della causa proposta nei confronti del Comune di Tursi da quella proposta nei confronti delle altre parti, non ha considerato che l'articolo sopra enunciato con il richiamo all'art. 103 c.p.c., comma 2 e art. 104 c.p.c., comma 2 si riferisce solo alla possibilità di separazione delle cause riunite, e non già al frazionamento di una decisione unica;
nella specie, invero, la controversia aveva ad oggetto un'azione nunciatoria per danno temuto seguita dall'emissione del provvedimento cautelare e dalla conclusione della fase sommaria nei confronti di tutti i resistenti, Comune di Tursi compreso, e dalla riassunzione della causa davanti al Tribunale di Matera quale giudice competente per la fase di merito sempre nei confronti di tutte le controparti. Il motivo è infondato.
Il giudice di appello ha rilevato che la sentenza appellata era consentita dall'art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5, e che si trattava di sentenza definitiva, avendo definito il giudizio tra la C ed il Comune di Tursi, statuendo anche sulle relative spese, ed avendo disposto per l'ulteriore trattazione nei confronti delle altre parti, previa implicita separazione delle cause.
Tale convincimento deve essere condiviso.
Deve premettersi che nel giudizio di primo grado ricorreva una ipotesi di litisconsorzio facoltativo (passivo) ai sensi dell'art. 103 c.p.c., comma 1, sussistente quando la pluralità di parti è
determinata originariamente dalla proposizione congiunta di domande connesse nei confronti di più soggetti;
in tale ipotesi il procedimento ha uno svolgimento unitario, ma le cause, tra loro scindibili, sebbene trattate congiuntamente, mantengono una loro autonomia;
correttamente quindi il Tribunale ha definito il giudizio tra l'attrice ed il Comune di Tursi ex art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5 (che richiama l'art. 103 c.p.c., comma 2, che appunto prevede la possibilità per il giudice, nel corso dell'istruzione o nella decisione, di disporre la separazione delle cause) pronunciando anche sulle spese del giudizio stesso, ritenendo matura la decisione in ordine alla causa pendente tra le suddette parti, e disponendo per il prosieguo istruttorie riguardo alla causa introdotta dalla C nei confronti delle altre parti.
Con il terzo motivo la C, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1172 e 2697 c.c. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso ogni responsabilità del Comune di Tursi nei confronti dell'esponente, senza nulla argomentare in ordine all'eccepito e documentato comportamento omissivo del suddetto ente pubblico relativamente alla ingiustificata ritardata esecuzione di un proprio provvedimento ablatorio di natura indifferibile ed urgente, ed alla mancata osservanza dell'ordinanza di demolizione del Pretore di Rotondella del 17-4-1993, con conseguenti danni per l'esponente. Il motivo è infondato.
Come già esposto più sopra, la Corte territoriale ha escluso qualsiasi responsabilità del Comune di Tursi nei confronti della C, avendo dapprima provveduto ad emettere una ordinanza di demolizione, come ammesso dalla stessa attrice nel ricorso introduttivo, e poi a farla eseguire in danno dei destinatari, come si evinceva dalla Delib. Giunta 28 maggio 1993, con la quale era stato liquidato il compenso alla ditta che aveva eseguito la demolizione con riserva di ripetizione verso i proprietari "prò quota";
orbene, avendo il giudice di appello indicato puntualmente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, laddove comunque la ricorrente non censura specificatamente le suddette argomentazioni rese dalla sentenza impugnata, limitandosi a prospettare genericamente una diversa valutazione delle risultanze istruttorie ad essa più favorevoli.
Con il quarto motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e delle tariffe forensi approvate con decreti del Ministro di Giustizia del 24-11-1990, del 5- 10-2004 e dell'8-4-2004 nonché vizio di motivazione, assume anzitutto che la Corte territoriale, nel ritenere applicabile il principio della soccombenza in ordine alla regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado, non ha considerato che la domanda di nunciazione con la richiesta di provvedimenti cautelari e risarcitori era stata proposta soltanto nei confronti dei proprietari dell'edificio pericolante, con soli effetti nei confronti nel Comune di Tursi, al quale era stato notificato il ricorso, in quanto aveva adottato un autonomo provvedimento di demolizione sul medesimo cespite oggetto della presente controversia;
inoltre la riassunzione della causa dinanzi al giudice competente per il merito anche nei confronti dell'ente locale si era resa ineludibile per una corretta integrità del contraddittorio.
Sotto ulteriore profilo, inerente all'importo delle spese liquidate dal primo giudice in favore del predetto Comune ed a carico dell'esponente, la C afferma che il Tribunale di Matera non ha fatto riferimento al valore della causa determinato ai sensi dell'art. 15 c.p.c., trattandosi di controversia inerente ad un cespite immobiliare urbano nel procedimento nunciatorio a cognizione sommaria che, unitamente al procedimento di merito a cognizione piena, costituiscono due fasi di un unico grado di giudizio;
aggiunge che la somma liquidata dal Tribunale per le spese, pari ad Euro 6.028,75, aveva superato notevolmente i massimi tariffari applicabili "ratione temporis".
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto, con riferimento alla doglianza della C per essere stata condannata al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, che non vi era e neppure era stata dedotta alcuna ragione per derogare al principio della soccombenza, ritenendo irrilevante la circostanza che con sentenza n. 367 del 2006 il Tribunale di Matera - definendo il residuo giudizio con la condanna degli altri convenuti - aveva compensato le spese, posto che la C avrebbe potuto impugnare tale diversa decisione, mentre non poteva farla valere per invocare la deroga in proprio favore al principio della soccombenza;
il giudice di appello ha poi ritenuto assolutamente generica la denunciata violazione delle tariffe professionali.
Orbene le argomentazioni svolte dalla ricorrente in ordine alla sua condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado nei confronti del Comune di Tursi devono essere disattese, in quanto la C ha convenuto la suddetta pubblica amministrazione nel giudizio di riassunzione dinanzi al Tribunale di Matera ritenendola evidentemente corresponsabile dei danni subiti relativamente al proprio immobile, onde la statuizione impugnata sul punto è conforme al principio della soccombenza.
Quanto poi alla dedotta violazione delle tariffe professionali forensi, il motivo non solleva alcuna censura specifica al rilievo del giudice di appello in ordine alla assoluta genericità di tale doglianza, onde anche sotto tale profilo esso deve essere disatteso. In definitiva il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

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