Cass. civ., sez. II, sentenza 29/07/2004, n. 14368

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 29/07/2004, n. 14368
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14368
Data del deposito : 29 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. N G - rel. Consigliere -
Dott. S O - Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INGEGNERI NICOLÒ, MANGRAVITI GIUSEPPA, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA VECCHIA CASSIA

77, presso lo studio dell'avvocato S F, difesi dall'avvocato E S, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


contro
G I, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA CERNAIA

43, presso lo studio dell'avvocato R R, difesa dall'avvocato G C, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 464/00 della Corte d'Appello di MESSINA, depositata il 28/11/00;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 12/03/04 dal Consigliere Dott. G N;

udito l'Avvocato S E, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. U F che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del proposto ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Messina, innanzi al quale era stata riassunta la causa instauratasi davanti al pretore del luogo a seguito di denuncia di nuova opera presentata, con ricorso in data 7 giugno 1983, dai coniugi Nicolo Ingegneri e Giuseppa Mangraviti, i quali lamentavano, tra l'altro, che Ida G, ristrutturando un immobile limitrofo al proprio fondo, aveva realizzato vedute a distanza inferiore a quella legale, in parziale accoglimento della domanda dispose la regolarizzazione delle finestre lucifere e l'eliminazione della veduta esercitata dalla terrazza dell'immobile della convenuta. La G propose gravame e la Corte d'Appello di Messina, con sentenza resa in data 28 novembre 2000, in parziale riforma della decisione impugnata, ha facultato l'appellante, in alternativa a quanto disposto dal Tribunale, ad arretrare di cm. 16 la veduta dal terrazzo e le altre aperture, qualificate sempre come luci irregolari.
Premesso, con riferimento alle luci, che la G non aveva provato in alcun modo l'assunto secondi cui essa era titolare di un diritto di veduta e che le aperture, per l'esistenza di grate fisse e per la distanza dei davanzali rispetto al piano di calpestio, non potevano che essere qualificate come lucifere, il giudice d'appello ha ritenuto che il "cunettone di scolo" esistente tra il fabbricato della G ed il fondo degli appellati facesse parte del fondo di proprietà della G, sicché si riduceva a soli sedici centimetri la misura necessaria ad integrare la distanza di mt. 1,50 dalla veduta esercitabile dal terrazzo della G e dalle aperture qualificate come lucifere rispetto al fondo dei coniugi Ingegneri-Mangraviti.
Al convincimento dell'appartenenza al fondo G del "cunettone di scolo", che gli appellati sostenevano fare parte del proprio fondo, la corte di merito è pervenuta, pur dando atto delle conclusioni perplesse cui era giunto il C.T.U., valorizzando, in primo luogo, il dato relativo all'estensione della superficie dei due fondi, dei quali il fondo della G, comprensivo della superficie del "cunettone di scolo" più si avvicinava alla misura di mq. 45 circa risultante dall'atto di acquisto della G od a quella di mq. 45, 94 desumibile dalla misurazione risultante da un progetto. Inoltre, come osservato dal C.T.U., la Corte d'Appello ha valorizzata la consuetudine, invalsa al tempo della realizzazione dell'immobile poi trasferito alla G, di riservare aree di pertinenza allo scolo delle acque provenienti dalle coperture, sottolineando la circostanza che, all'epoca, il fondo degli appellati era libero da costruzioni.
A fronte di tali rilievi - ha soggiunto il giudice d'appello - diveniva poco significativo e, per fondi di modestissime dimensioni, inattendibile l'unico dato contrario - quello relativo ai confini - emergente dalle ricerche catastali.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i coniugi Ingegneri-Mangraviti, affidandosi a otto motivi.
Resiste con controricorso la G.
V'è memoria difensiva per i richiedenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 167 e 705 cod. proc. civ., 900, 901, 902 e 905 cod. civ. e dei "regolamenti comunali"
nonché per contraddittorietà della motivazione, adducendo che erroneamente il giudice ha riconosciuta alla G la facoltà d'appello di arretrare di sedici centimetri la veduta esercitabile dal terrazzo sia perché la G non ne aveva fatta richiesta, essendosi limitata a chiedere il riconoscimento del diritto di veduta dalle finestre della parete ubicata nel retro del suo immobile nonché del suo diritto di proprietà sul "cunettone di scolo", sia perché la stessa sentenza impugnata nega il diritto di veduta della G.
In ogni caso - soggiungono i ricorrenti - la facoltà suddetta non poteva essere riconosciuta, non avendo, il giudice d'appello, accertato il diritto di proprietà della G sul "cunettone di scolo", diritto che, peraltro, non poteva essere accertato, dal momento che la relativa domanda riconvenzionale era stata proposta, in violazione dell'art. 167 cod. proc. civ., oltre la prima difesa e che, ai sensi dell'art. 705 cod. proc. civ. una siffatta domanda non era neppure proponibile.
I ricorrenti adducono, inoltre, che, poiché le aperture non erano dotate di alcuna delle caratteristiche tipiche delle vedute, non potevano che essere qualificate come luci irregolari e, come tali, erano solo suscettibili di regolarizzazione ai sensi degli artt. 901 e 902 cod. civ. senza la possibilità della singolare alternativa di arretramento concessa dal giudice d'appello, che, peraltro, contraddice la confermata statuizione di condanna alla regolarizzazione.
Da ultimo, si sostiene che, prescrivendo i regolamenti locali la maggiore distanza di mt. 5 dal confine, l'arretramento del parapetto della terrazza sarebbe dovuto essere non inferiore a mt. 3,66. Le varie censure in cui si articola il motivo esposto non sono fondate.
Osserva il Collegio che: a) contrariamente a quanto, sostengono i ricorrenti, non v'era bisogno di una domanda della convenuta perché il giudice potesse riconoscerle, in alternativa all'obbligo di eliminare le vedute, la facoltà di arretrarle della misura necessaria ad integrare la distanza di mt. 1,50 prescritta dall'art. 905, co. 1, cod. civ.. Poiché la domanda era diretta
all'eliminazione delle i vedute, in quanto esercitate da distanza inferiore a quella di legge, la statuizione che conserte l'arretramento delle vedute, senza la necessità di eliminarle, è perfettamente in linea con la domanda, sicché non v'era bisogno di una specifica richiesta della convenuta;

b) in realtà, il dispositivo della sentenza impugnata non è formalmente corretto nella parte in cui, nello statuire la facoltà alternativa, per l'appellante, parla di "vedute", non già, come avrebbe dovuto, della sola veduta esercitabile dal terrazzo, dal momento che le aperture erano state qualificate come luci irregolari;

si tratta, però, solo di un'imprecisione, che la lettura della motivazione della stessa sentenza consente di chiarire agevolmente da escludere, pertanto, la denunciata contraddittorietà tra dispositivo e motivazione della sentenza, anche perché nel corso della motivazione la statuizione della decisione di primo grado, con la quale la G veniva condannata alla regolarizzazione delle luci, viene espressamente confermata;

c) contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, la Corte d'Appello ritiene che il "cunettone di scolo" faccia parte del fondo della G e che, pertanto, si appartenga a costei. Essa, peraltro, poteva operare tale accertamento, non occorrendo, al riguardo, un'apposita domanda della convenuta, in quanto l'accertamento della proprietà sul "cunettone di scolo" si poneva come passaggio logico ineludibile al fine di stabilire se tra il fabbricato della G, dal quale si esercitava la veduta, ed il fondo dei ricorrenti v'era la prescritta distanza di mt. 1,50;
si trattava, dunque, di accertamento incidentale necessario ai fini del decidere. Nè siffatto accertamento violava l'art. 705 cod. proc. civ., poiché la domanda proposta dai coniugi attori non fu
qualificata come possessoria, tant'è che la causa fu rimessa, senza impugnazione da alcuna delle parti, al Tribunale, ritenuto competente;

d) l'ultimo rilievo è inammissibile, non indicandosi dai ricorrenti le norme dei "regolamenti locali" che prescriverebbero la maggiore distanza da essi indicata;
sul punto, peraltro, deve ritenersi formato il giudicato interno, essendosi, nel corso del giudizio di primo grado, discusso solo della violazione della distanza di mt. 1,50 prescritta dall'art. 905, co. 1, cod. civ. e non essendo stata impugnata la sentenza di primo grado con riferimento alla parte che riteneva violata la norma codicistica.
I motivi secondo, terzo e quarto, essendo intimamente collegati tra loro, possono essere esaminate congiuntamente.
Col secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 950, 2697 e 382 cod. civ., osservando che l'attribuzione alla G della proprietà del "cunettone di scolo" è in contrasto, in primo luogo, con la misura del fondo G risultante dall'atto di acquisto della convenuta e sostanzialmente coincidente con la misura risultante dal progetto della stessa G;
essa è, inoltre, contraddetta dalla confinazione risultante da tutti gli atti, nei quali il fondo G risulta confinare col fondo dei coniugi Ingegneri - Mangraviti.
Sostengono, inoltre, i ricorrenti che la decisione impugnata, sul punto in esame, è frutto di travisamento dei fatti, poiché, contrariamente a quanto ritenuto dal C.T.U. e fatto proprio dalla Corte d'Appello, il loro fondo non misurerebbe mq. 90, bensì mq. 205.
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 950, 2697 cod. civ., 194 e 115 cod. proc. civ., rilevando che la domanda riconvenzionale di
rivendicazione del "cunettone di scolo" proposta dalla G non era risultata provata, sia perché nei titoli di acquisto della G non si fa cenno del "cunettone di scolo" sia perché la G avrebbe dovuto indicare il titolo sul quale fondava il suo preteso diritto sia perché i confini, indicati negli atti, notoriamente costituenti elemento decisivo per l'attribuzione della proprietà, deponevano per la fondatezza della loro tesi sia, infine, perché i dati catastali, utilizzabili ai sensi dell'art. 950, ult. co., cod. civ., confermavano tale tesi.
Col quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 817, 818, 908 e 832 cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, adducendo che "L'attribuzione della proprietà del cunettone alla G nasce dall'erronea interpretazione e travisamento delle conclusioni, e dal contenuto della stessa sentenza, la quale a pag. 5 precisa che la conclusione non è tranquillante perché è in contrasto con gli elementi evidenziati nella C.T.U.". I ricorrenti, da un canto, contestano che il designato C.T.U. in secondo grado sia pervenuto alla conclusione che il cunettone faccia parte del fondo G, dall'altro assumono che la sentenza impugnata accoglie acriticamente le risultanze di detta consulenza, pur sottolineando che lo stesso C.T.U. definisce non tranquillanti tali risultanze.
Si rileva, inoltre, dai ricorrenti che la decisione impugnata non tiene conto ne' dei dati oggetti vi messi in luce dallo stesso C.T.U. nominato in appello ne' delle risultanze delle consulenze espletate in primo grado ne' della consulenza tecnica di parte di essi ricorrenti ne' di quanto esposto nella memoria a firma dell'Avv. Salonia, allegata alla relazione sulla loro consulenza di parte e si sottolinea come da nessun atto di acquisto risulti l'appartenenza del "cunettone di scolo" al fondo G, evidenziandosi, in particolare, che al tempo dell'acquisto del fondo da parte della G il "cunettone di scolo" non esisteva neppure, sicché si deve concludere che la G era solo titolare di una servitù di scolo.
Osserva la Corte che le censure formulate dai ricorrenti risultano, in parte, infondate ed, in parte, inammissibili.
Incontrano l'ostacolo dell'inammissibilità in questa sede di legittimità tutte le censure, che costituiscono la parte di gran lunga prevalente dei motivi esposti, volte a sindacare nel merito una decisione che, pur dando atto correttamente delle difficoltà rappresentate dal C.T.U. designato in grado di appello tra i dati oggettivi offerti dalle contrastanti risultanze processuali opera una scelta che per essere fondata su un elemento oggettivo (la misurazione dei fondi) e su un elemento logico (la necessità di disporre di un'area per lo scolo delle acque provenienti dalla copertura del fabbricato) di evidente rilevanza e per essere sorretta da una motivazione priva di vizi logici o giuridici, si sottrae alla possibilità di sindacato da parte di questa Suprema Corte. Premesso che, come si è avuto modo di chiarire esaminando il primo motivo, non v'era bisogno di una domanda da parte della G per accertare l'appartenenza del "cunettone di scolo" e che, trattandosi di accertamento meramente incidentale, dalla G non si poteva pretendere l'assolvimento dell'onere della probatio diabolica richiesto in tema di revindica, il Collegio osserva che ugualmente inammissibili risultano i rilievi critici fondati su un preteso travisamento dei fatti (la considerazione riguarda, in particolare, la misura del fondo dei ricorrenti), trattandosi evidentemente di vizi revocatori, denunciabili, pertanto, solo con lo specifico mezzo previsto dall'art. 395 cod. proc. civ.. Infondata, infine, deve ritenersi l'insistita censura volta a valorizzare i dati catastali - segnatamente quelli concernenti i confini - essendo noto il valore meramente indiziario degli stessi, che, quindi, possono essere vinti da altri elementi, anche di rango indiziario, come quelli utilizzati dalla corte d'Appello. Sicché, ove anche si ritenesse nella specie applicabile l'ultimo comma dell'art. 950 cod. civ., in considerazione della natura
sussidiaria di tale norma si dovrebbe ritenere che la sentenza impugnata, utilizzando altri elementi, abbia elementi correttamente negato rilevanza ai confini risultanti dalle mappe catastali. Anche i motivi quinto e sesto possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione del loro evidente collegamento logico-giuridico.
Col quinto motivo i ricorrenti adducono violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. nonché "vizio di motivazione per inosservanza delle regole sulla ripartizione degli oneri probatori", osservando che, avendo la G riconosciuto espressamente di aver creato delle aperture irregolari sul loro fondo, il giudice d'appello non avrebbe potuto non riconoscere che le luci irregolari si aprivano sul fondo di essi ricorrenti, non già sulla proprietà della G, costituita dal "cunettone di scolo".
Col sesto motivo, denunciando contraddittorietà della motivazione nonché violazione degli artt. 900 901 e 902, cpv., cod. civ., i ricorrenti sostengono che, confermando la statuizione di regolarizzazione delle luci irregolari, la sentenza impugnata contraddice se stessa, nella parte in cui ritiene che il "cunettone di scolo" faccia parte del fondo G.
Sostengono, inoltre, i ricorrenti che, poiché sia la veduta esercitabile dal terrazzo sia le luci irregolari prospettano sul loro fondo, non troverebbero giustificazione le diverse statuizioni adottate per il terrazzo e le luci, dovendo il parapetto del terrazzo essere arretrato di mq. 1,50, anzi a mt. 5, come prescritto dai regolamenti edilizi, non già di soli cm. 16, rispetto al confine. Il motivo va disatteso.
Il fatto che la G abbia riconosciuta l'irregolarità delle luci non significa che essa riconoscesse anche che le luci si aprivano direttamente sul fondo G;
che, anzi, contestando l'appartenenza del "cunettone di scolo" al fondo degli attori, essa tenne un comportamento processuale esattamente opposto a quello che le attribuiscono i ricorrenti.
Altrettanto dicasi per la sentenza impugnata: essa, condannando la G a regolarizzare le luci, non ha inteso dire, di certo, che le luci si aprivano direttamente sul fondo vicino.
Col settimo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2736, n. 2, e 2697 cod. civ., 240 e 112 cod. proc. civ. nonché per omessa ed insufficiente
motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che l'esistenza di una semipiena probatio e l'assoluta insufficienza e contraddittorietà della prova sulla proprietà del "cunettone di scolo" avrebbero dovuto indurre la corte di merito a disporre il richiesto giuramento suppletorio e che, comunque, pur trattandosi di provvedimento discrezionale, essa avrebbe dovuto spiegare le ragioni della mancata ammissione del mezzo di prova richiesto. La censura è infondata.
Poiché i ricorrenti riconoscono la natura discrezionale e, quindi, insindacabile del potere giudice di merito di disporre il giuramento suppletorio, la censura si riduce sostanzialmente alla denuncia dell'omessa motivazione sul mancato esercizio di tale potere. È agevole, allora, osservare che la motivazione è implicita nell'avere, il giudice d'appello, ritenuto raggiunta la prova dell'appartenenza del "cunettone di scolo" al fondo G, sicché il sollecitato giuramento suppletorio si rendeva superfluo. Con l'ottavo motivo i ricorrenti rilevano violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., adducendo che il giudice d'appello: a) erroneamente ha compensato le spese del secondo grado del giudizio, per avere in sostanza confermata integralmente la sentenza del tribunale, dal momento che, ai fini della soccombenza, alcun rilievo avrebbe potuto assumere la facoltà, alternativa concessa alla G, di arretrale il parapetto del terrazzo;
b) avrebbe dovuto accogliere l'appello incidentale, col quale essi si dolevano della compensazione delle spese del primo grado, disposta nonostante l'integrale accoglimento della domanda. La censura è inammissibile, poiché l'esercizio del potere di compensare, in tutto od in parte, le spese processuali risponde a criteri discrezionali, la cui Salutazione è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità.
Conclusivamente, il ricorso va respinto, ritenendosi, tuttavia, giusto compensare integralmente tra le parti anche le spese del presente giudizio.

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