Cass. pen., sez. III, sentenza 18/10/2021, n. 37593
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a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: COVERI SILVANA ANNA MRIA nato a PRATO il 06/02/1942 avverso la sentenza del 16/12/2020 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere A A;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO ROMNO che ha concluso chiedendo il rigetto;udito il difensore, A I G C, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.RITENUTO IN FATTO 1.La sig.ra S A M C ricorre per l'annullamento della sentenza del 16/12/2020 della Corte di appello di Milano che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena (principale) di sei mesi di reclusione (oltre pene accessorie e confisca) irrogata dal Tribunale di Milano con sentenza del 04/10/2019 per il reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, a lei ascritto per aver, nella sua veste di legale rappresentante della società «66 A S.r.l.», omesso di versare, entro il 27/12/2013, la somma di 253.100,00 euro dovuta a titolo di imposta sul valore aggiunto per l'anno 2012. 1.1.Con il primo motivo, allegando, in fatto, l'impossibilità di far fronte ai propri impegni di natura fiscale non per sua colpa ma a causa di contingenze di mercato (la grande crisi che, nel 2013, aveva colpito il settore della moda di alto-medio livello), deduce, in diritto, l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, sotto il profilo della ritenuta sussistenza del dolo che deve invece essere escluso tenendo conto dei motivi dell'insolvenza (l'incolpevole assenza di liquidità) e del fatto che l'imputata vi ha successivamente rimediato con un concordato preventivo milionario (ratificato anche dall'Agenzia delle Entrate) garantito dai propri beni personali. Non si è trattato di una scelta personale, conclude, bensì di una scelta obbligata per salvare un marchio storico sorretto dall'impegno del proprio patrimonio per decine di milioni di euro. 1.2.Con il secondo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 62-bis cod. pen. e l'illogicità della motivazione che ha negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche sul mero rilievo dell'assenza di elementi positivi di valutazione trascurando che ella aveva messo a disposizione un immobile tra i più prestigiosi di tutta Firenze a garanzia del concordato di cui al primo motivo e valorizzando tre precedenti condanne che da sole non possono annullare il significato del sacrificio personale posto in essere per onorare, anche successivamente, il debito. 1.3.Con il terzo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 163 cod. pen. lamentando che il beneficio della sospensione condizionale della pena non è stato concesso in primo grado in considerazione dell'esistenza di due precedenti condanne (l'una a pena pecuniaria, l'altra a pena detentiva di otto mesi di reclusione), in realtà non ostative, e che la Corte di appello, con motivazione apodittica che non ha tenuto conto della vita irreprensibile dell'imputata, oggi quasi ottantenne, ha confermato tale decisione sulla base di un giudizio prognostico negativo, modificando così i termini del ragionamento e privando di fatto la ricorrente di un grado di giudizio. 1.4.Con il quarto motivo, allegando, in fatto, che la confisca è stata disposta per equivalente nei suoi confronti senza nemmeno provare ad escutere, in via diretta, il patrimonio societario, a fronte, oltretutto, della novazione del debito tributario, deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, e l'insufficienza della motivazione che ha confermato, sul punto, le statuizioni del primo Giudice. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.11 ricorso è infondato. 2.11 primo motivo è generico e manifestamente infondato. 2.1.E' giocoforza necessario prendere le mosse dagli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, R, Rv. 255757 secondo cui: - il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter d.lgs n. 74 del 2000) si consuma con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo;il reato è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte;la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto;il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) VIVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. L'introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta. 2.2.Sviluppando e riprendendo il tema della «crisi di liquidità» d'impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano comunque assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 5905 del 9/10/2013, dep. 2014;Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro;Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055;Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190). 2.3.0ccorre, sul punto, sgombrare il campo da un equivoco di fondo che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica della questione devoluta: per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione (come già affermato da Sez. U, R, cit.), tantomeno l'intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto. 2.4.Quando il legislatore ha inteso attribuire all'elemento soggettivo del reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo espresso, escludendo, per esempio, dall'area della penale rilevanza le condotte solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l'evento (art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39), incriminando, invece, quelle ispirate da un'intenzione che si colloca oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art. 424 cod. pen.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il compito di individuare il bene offeso (artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270- bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen.). 2.5.11 dolo del reato in questione è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato. 2.6.11 reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 è, come esattamente ricordato dalla sentenza impugnata, unisussistente, di natura omissiva e istantanea. Ne consegue che, ai fini della sua perfezione, sono necessarie e sufficienti la coscienza e la volontà dell'azione che devono sussistere nel momento esatto in cui matura il tempo (lungo) dell'obbligazione tributaria, non un attimo prima, non un attimo dopo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263126).
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