Cass. civ., sez. II, sentenza 16/02/2022, n. 05039
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to la seguente U.P. 25/11/2021 SENTENZA , SEGNALAZIONE PER RECUPERO C.U. ex art. rs ce. 1 DPR 115/02 sul ricorso 4167-2017 proposto da: SOM' MURO, rappresentato e difeso dagli Avv.ti A L e G V ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in ROM, Via G.G. BELLI 39 - ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale - contro F A, rappresentato e difeso dagli Avv.ti F B e G D C, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in ROM, Via del BANCO di SANTO SPIRITO 42 - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 1179/2016 della CORTE di APPELLO di TORINO, pubblicata in data 11.07.2016;udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 25/11/2021, dal Consigliere Dott. U B;esaminata la requisitoria scritta del Procuratore generale. (Z:( FATTI DI CAUSA MRTA DENINA e A F convenivano in giudizio ANNA MRIA DENINA chiedendo accertarsi la proprietà comune con la convenuta del cortile della Cascina Denina;la rimozione del blocco apposto dalla convenuta al pozzo comune;l'inibizione del parcheggio in prossimità dell'accesso all'autorimessa degli attori;la condanna della convenuta all'arretramento del portico edificato sul lato nord a distanza regolamentare dalla proprietà F;all'eliminazione della servitù di scolo delle acque piovane;a ripristinare la recinzione sull'esatta linea di confine tra i mappali 47 e 48, oltre al risarcimento dei danni subiti per le dette violazioni e per la potatura indiscriminata di alberi del cortile comune. Si costituiva A Maria Denina eccependo la proprietà esclusiva del cortile;che il blocco del pozzo era rimovibile e comunque apposto per motivi di sicurezza;che il parcheggio saltuario non aveva mai pregiudicato l'accesso al garage degli attori;che il portico non doveva rispettare le distanze di legge tra i due fondi essendo i medesimi separati da strada interpoderale soggetta a pubblico passaggio ed era stato costruito in esecuzione di un accordo tra le parti;che per la nuova recinzione vi era uno scostamento di 10-15 cm verso il pilastro zero;quanto ai cedri, erano stati gli attori a chiederne la potatura;. In via riconvenzionale, la convenuta chiedeva accertarsi la proprietà esclusiva del cortile;la rimozione di un vaso collocato sulla sua proprietà;la rimozione di un cancelletto e di una tettoia;il taglio di alberi e siepi invadenti la sua proprietà;lo spostamento di un foro esistente in una parete di proprietà di M D. Espletata C.T.U., con sentenza n. 68/2013, depositata in data 6.3.2013, il Tribunale di Mondovì respingeva le domande degli attori;accertava che il cortile fosse di proprietà esclusiva della convenuta;condannava gli attori a rimuovere il grosso vaso di pietra collocato sul fondo di proprietà della convenuta;a rimuovere la tettoia e il cancelletto posizionati sul terreno di proprietà della convenuta;condannava M D a tagliare la siepe al confine tra le due proprietà;a tagliare i rami degli alberi di alto fusto che si protendevano sulla proprietà di A Maria Denina;respingeva la domanda riconvenzionale in ordine al riposizionamento del foro della cucina;condannava gli attori in solido al pagamento delle spese di lite e di CTU. In data 11.2.2013 decedeva A Maria Denina. Il 7.6.2013, gli eredi della medesima, FRANCO SOM' e MURO SOM' notificavano copia in forma esecutiva della sentenza e atto di precetto dando atto della loro qualità di eredi. M D e Adriano F notificavano atto di appello ad A Maria Denina presso il procuratore costituito in primo grado, che si costituiva chiedendo l'inammissibilità del gravame. Parte appellata contestava l'eccezione chiedendo alla Corte d'Appello di Torino di disporre la rinnovazione della citazione agli eredi. Con ordinanza la Corte d'Appello di Torino rilevava che nessun provvedimento dovesse essere preso e fissava l'udienza di precisazione delle conclusioni, nel corso della quale il legale di parte appellante dava atto del decesso di M D. La Corte dichiarava l'interruzione del giudizio, che era riassunto dal F in proprio e quale erede della madre. Si costituiva M S, nella qualità di erede della madre eccependo l'inammissibilità dell'appello e il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in quanto l'impugnazione avrebbe dovuto essere proposta nei confronti degli eredi di A Maria Denina, eccepiva altresì che Adriano F non aveva dimostrato la sua qualità di erede della de cuius e, nel merito, resisteva alla domanda. Con sentenza n. 1179/2016, depositata in data 11.7.2016, la Corte d'Appello di Torino respingeva l'eccezione preliminare di inammissibilità dell'appello relativa alla notifica del gravame e del precetto al procuratore costituito della defunta, anziché agli eredi, richiamando la sentenza delle Sezioni unite n. 15295 del 2014, che ha statuito la regola dell'ultrattività del mandato alla lite;respingeva altresì l'eccezione di carenza di legittimazione del F attesa la copia della dichiarazione di successione prodotta in atti. Nel merito, la Corte d'Appello dichiarava che il cortile in questione fosse comune, in quanto la sentenza impugnata trascurava l'esame del titolo, ritenendo erroneamente che il cortile costituisse pertinenza del solo mappale 175 (appartenente ad A Maria Denina) in forza di una graffatura catastale. Compensava le spese di lite nella misura di 1/4 per i due gradi di giudizio. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione M S, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria. Resiste Adriano F con controricorso e ricorso incidentale (anch'essi illustrati da memoria) cui replica il ricorrente principale. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - In via preliminare, la Corte deve rigettare le eccezioni che si fondano sul rilievo che - essendo nelle more della decorrenza dei termini per il deposito degli atti degli scritti in conclusivi in primo grado - l'atto di impugnazione avrebbe dovuto essere notificato ai suoi eredi e non già al procuratore costituito della defunta, atteso che [con l'atto di precetto notificato unitamente alla sentenza di prime cure] gli eredi di A Maria Denina avevano formalmente resa edotta la controparte del decesso della loro dante causa. 1.1. - L'eccezione non è fondata (Cass. Sez. Un. n. 15295 del 2014);il decesso di A Maria Denina si era verificato in data 11.02.2013, nella fase istruttoria del processo di primo grado. Questa Corte - superando l'orientamento per il quale, qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo si verifichi nel corso del giudizio di primo grado e non venga dichiarato, né notificato, dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell'art. 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro il soggetto effettivamente legittimato, desumendosi dall'art. 328 c.p.c. la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell'impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l'evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato (Cass. n. 5637 del 2014;Cass. n. 18128 del 2013) - ha affermato il principio secondo cui, in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione (Cass., sez. un., n. 15295 del 2014;conf. Cass. n. 710 del 2018;Cass. n. 20840 del 2018;Cass. n. 24845 del 2918). Sicché, la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il medesimo procuratore, qualora, come nella specie, originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo [ciò essendo desumibile anche dall'esame diretto degli atti di causa, consentito a questo Collegio in ragione della natura del vizio in procedendo denunciato: Cass. n. 13999 del 2018] è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace. 2.1. - Con il primo motivo, il ricorrente principale lamenta l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti - Art. 360 n. 5 c.p.c.», là dove la motivazione della sentenza impugnata sarebbe in contrasto con il titolo e con un elemento decisivo di esso (la superficie del lotto). In particolare, il lotto 50/b era stato assegnato in piena proprietà a Lucia Denina (dante causa di A Maria Denina) e la superficie di questo era stata indicata nell'atto notarile del 1946 in are 3,94, pari a mq 394. L'indicazione della superficie porterebbe a concludere che la proprietà esclusiva di Lucia Denina comprendesse sia il fabbricato che l'antistante area cortilizia, come da mero riscontro numerico della metratura, calcolata applicando la scala indicata nella mappa allegata alla CTU, mentre nessun diritto era attribuito dal rogito a M D sulla suddetta area cortilizia. Del resto, a pag. 4 della CTU, risulta che il mappale 175 corrisponde sia come superficie che come numero al tipo di frazionamento, per cui il CTU aveva già correttamente valutato il dato della superficie. Pertanto, il lotto 50/b di mq 394, assegnato alla dante causa di M S, comprende sia il fabbricato che l'area cortilizia, poi graffata sulla mappa. Osserva dunque, il ricorrente che l'esame delle superfici è quindi elemento decisivo, omesso dal Giudice, che è stato fuorviato nell'esame del titolo dalla generica indicazione "cortile comune", riportata nel rogito tra le coerenze dei lotti e non certo tra le assegnazioni in proprietà. 2.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero dell'art. 1364 c.c. - Art. 360 n. 3 c.p.c.», là dove il Giudice avrebbe erroneamente interpretato il titolo poiché il procedimento logico-giuridico appare contrario ai canoni legali di ermeneutica, in quanto il Giudice ometteva l'esame della superficie del lotto e attribuiva rilevanza determinante alla generica espressione "cortile comune", indicata tra le coerenze dei lotti e non già tra le assegnazioni in proprietà. 2.3. - Con il terzo motivo, M S deduce la «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero dell'art. 1117 c.c. - Art. 360 n. 3 c.p.c.», giacché la norma di cui all'art. 1117 c.c., dettata per il condominio, pone una mera presunzione superabile con l'allegazione di un titolo che attribuisca la proprietà esclusiva del bene al relativo assegnatario (Cass. n. 27145 del 2007;Cass. n. 13279 del 2004). Detto titolo sussiste nella fattispecie ed è rappresentato dal rogito del 6.8.1946. Né poteva sussistere alcuna incompatibilità tra la proprietà dell'area da parte di uno solo dei proprietari degli edifici prospicienti e l'uso comune dell'area, ben potendo tale uso esercitarsi dai non proprietari a titolo di servitù. Del tutto correttamente il CTU aveva definito tale area di proprietà esclusiva di A Maria Denina, ma gravata di servitù di passaggio in favore di M D, la quale nel precedente ricorso per ATP si era dichiarata titolare di servitù di passaggio sul cortile in questione e non già comproprietaria dell'area, evidenziando la consapevolezza di vantare un mero diritto di servitù. 3.1. - Resiste con controricorso Adriano F. Quanto al primo motivo del ricorso principale, si deduce che il cortile viene sempre definito nell'atto notarile come comune a tutti i dividenti, senza attribuzione ad alcuna parte in proprietà, per cui doveva operare la presunzione di comproprietà di cui all'art. 1117 c.c. Infatti, in materia di condominio, il cortile, salvo titolo contrario, ricade nella presunzione di condominialità ai sensi dell'art. 1117 c.c., essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce allo stabile comune, senza che la presunzione possa essere vinta dalla circostanza che ad esso si acceda solo dalla proprietà esclusiva di un condomino, in quanto l'utilità particolare che deriva da tale fatto non incide sulla destinazione tipica del bene e sullo specifico nesso di accessorietà del cortile rispetto all'edificio condominiale (Cass. n. 23316 del 2020). Il Giudice di merito aveva ritenuto correttamente che, se nella descrizione dei lotti non si faceva riferimento al cortile e, invece, lo stesso viene definito, nelle coerenze, come comune, era applicabile la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., non essendo il titolo in grado di vincerla. Risulta, pertanto inammissibile l'alternativa interpretazione fornita dal ricorrente, sia perché attinente al merito, sia perché sulla pretesa problematica "quantitativa" dei lotti non si era mai sviluppato alcun contraddittorio tra le parti. In ogni modo, le metrature dei fondi non possono incidere sul convincimento secondo cui le parti, descrivendo analiticamente i lotti senza riferimento al cortile, anzi indicandolo espressamente quale "cortile comune", intendessero pacificamente considerare comune l'area in questione. Inoltre, il richiamo alla CTU nella parte in cui evidenzia che il mappale 175 corrisponde, sia come superficie che come numero al tipo di frazionamento, non significa - come ritenuto da controparte - che lo stesso sia comprensivo del cortile, ma semplicemente che il mappale suddetto presentava tale consistenza dimensionale, tanto che il tecnico attribuiva - seppur erroneamente - la proprietà esclusiva del cortile ad A Maria Denina sul diverso presupposto che lo stesso rappresentasse un'area di pertinenza del mappale 175, in quanto catastalmente graffato allo stesso (pag. 8 CTU). 3.2. - Quanto al secondo motivo, il resistente ne deduce l'inammissibilità in quanto controparte non aveva indicato quale criterio il Giudice del gravame avrebbe violato. Il motivo è altresì infondato in quanto nessuna delle norme di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. impone all'interprete di valutare un'espressione contrattuale piuttosto che un'altra. Si evidenzia come, di fronte a una indiscussa situazione di fatto - presenza di due edifici limitrofi, aggettanti entrambi sullo stesso cortile - appaia scontata l'intenzione delle parti di considerare comune tale bene onde poterlo utilizzare reciprocamente per l'accesso e il recesso dalle rispettive abitazioni, parcheggiando anche le autovetture. Del resto, ove meno il contrario, M D, privata dell'unico accesso alla propria abitazione, avrebbe preteso di stabilire a suo favore quantomeno una servitù di passaggio: l'assenza di ciò nell'atto notarile appare sintomatico tassello per confermare che la volontà delle parti fosse ben altra, tanto che il comportamento successivo delle stesse (dal 1948) si è proprio sostanziato nell'utilizzo comune dell'area. 3.3. - Anche l'ultimo motivo risulta inammissibile e infondato in quanto presuppone erroneamente l'esistenza di un titolo che attribuisca la proprietà esclusiva del cortile ai ricorrenti, facendone derivare l'inapplicabilità della presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. Al contrario, il Giudice d'appello è partito proprio dal presupposto che il contratto divisionale non attribuisse, in modo inequivocabile, la proprietà del cortile a una delle parti, per concludere che dovesse operare, nel caso di specie, la regola di cui all'art. 1117 c.c. 4.1. - Il controricorrente propone altresì ricorso incidentale. Con il primo motivo, egli deduce la «Violazione e falsa applicazione dell'art. 879 c.c. in ordine alla domanda volta a ottenere la condanna di A Maria Denina all'arretramento del portico edificato a distanza non regolamentare dal confine». Il CTU aveva evidenziato che l'ampliamento del porticato risultava a distanza inferiore alla legale (m 5 dai confini dettati dal P.R.G.C. vigente) e che tra le due proprietà (A Maria Denina e F) vi sia una strada interpoderale che insiste sul mappale 222 (F). La Corte di merito aveva ritenuto che l'esistenza della citata strada interpoderale comportasse l'applicazione dell'art. 879, comma 2 c.c., precisando che l'esonero del rispetto delle distanze legali, previsto dalla suddetta norma per le costruzioni a confine con piazze e vie pubbliche, dovesse essere riferito anche a costruzioni a confine con strade private gravate da servitù di passaggio, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata, attiene, più che alla proprietà del bene, all'uso concreto di esso da parte della collettività (Cass.n. 27364 del 2018;cfr. Cass. n. 24759 del 2019;Cass. n. 14784 del 2009). In sostanza, si equiparava una strada poderale ad una via pubblica o a una strada di proprietà privata gravata di pubblico passaggio. Il motivo è fondato. Invero, la Corte di merito ritiene di applicare l'art. 879 c.c., con conseguente esonero dall'osservanza delle distanze legali, senza che l'esistenza di transito pubblico sulla stradina campestre per cui è causa risulti in alcun modo (tanto è vero che non indica le fonti probatorie del proprio convincimento), così incorrendo nella falsa applicazione del citato art. 879 c.c. (ricorso Somà, pag. 11). Né, peraltro, il condono edilizio può avere rilievo nei rapporti tra privati, i quali hanno comunque facoltà di chiedere la tutela ripristinatoria apprestata dall'art. 872 c.c. per le violazioni delle distanze (Cass. n. 6006 del 2008;Cass. n. 18244 del 2016;Cass. n. 3031 del 2009). La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto. 4.2. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il F lamenta l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in ordine alle domande riconvenzionali inerenti alla pensilina e al cancelletto aggettanti sul cortile comune ex art. 360 n. 5 c.p.c.», là dove la Corte d'Appello, pur avendo riconosciuto la comproprietà del cortile in questione, ometteva di valutare tale fatto decisivo non addivenendo al rigetto delle domande riconvenzionali. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità. Invero, la sua assoluta genericità non consente a questa Suprema Corte di poterne valutare la fondatezza. 4.3. - Con il terzo motivo, il F deduce l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla domanda avversaria relativa ai richiesti abbattimenti del fabbricato di proprietà di M D per sconfinamento di 20 cm, della pensilina e del cancelletto pedonale ex art. 360 n. 5 c.p.c., nonché violazione di legge (art. 132 c.p.c.) per motivazione obiettivamente incomprensibile in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale per dimostrare l'intercorsa usucapione dei manufatti. Il motivo è infondato, avendo la Corte territoriale spiegato le ragioni della sua decisione sul punto, con motivazione esaustiva ed esente da vizi logici e giuridici. 5. - In conclusione, vanno rigettati il ricorso principale nonché il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale. Va accolto il primo motivo del ricorso incidentale, nei sensi di cui in motivazione;conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto.
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