Cass. civ., sez. V trib., sentenza 28/10/2015, n. 21953
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In tema di reddito d'impresa, non è deducibile la spesa sostenuta dalla s.r.l. contribuente per i compensi agli amministratori ove invalidamente deliberata, secondo la disciplina applicabile, in sede di approvazione del bilancio, difettando in tal caso i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità dell'ammontare del costo di cui all'art. 109 (già 75) del d.P.R. n. 917 del 1986.
(Massima tratta dal CED della Cassazione)
Sul provvedimento
Testo completo
Svolgimento del processo
V. s.r.l., società controllata da C. & Co s.p.a. attraverso la partecipazione da questa detenuta in F.s.p.a., portava in deduzione nell'esercizio di competenza relativo all'anno 2003 i costi sostenuti per il pagamento dei compensi ad alcuni componenti del Consiglio di amministrazione, fatturati da tre società del Gruppo di imprese per conto delle quali dette persone fisiche avevano svolto l'incarico.
L'Ufficio di Viareggio con avviso di accertamento recuperava a tassazione IRPEG ed IVA tali costi, ritenuti indeducibili in quanto non determinati nello Statuto nè deliberati preventivamente dall'assemblea di V. s.r.l. in violazione dell'art. 2389 c.c., e dunque da considerarsi "non certi nell'esistenza e neppure obiettivamente determinabili" come richiesto dall'art. 75 (attuale art. 109) TUIR e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19.
La Commissione tributaria provinciale di Lucca, adita con ricorso proposto dalla società contribuente, con decisione n. 65/2006 annullava l'atto impositivo.
La Commissione tributaria della regione Toscana, con sentenza 18.6.2008 n. 56, confermava la decisione di primo grado, rigettando l'appello principale dell'Ufficio di --- della Agenzia delle Entrate e l'appello incidentale della società.
I Giudici di secondo grado rilevavano che non vi erano impedimenti alla determinazione "ex post" del compenso degli amministratori disposta con la delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura dell'esercizio, e che in assenza di contestazione da parte dell'Ufficio finanziario in ordine alla congruità della spesa, la inerenza del costo e dunque la sua deducibilità da parte della società contribuente non veniva meno, essendo irrilevante la relazione di controllo societario, e la appartenenza di V. s.r.l. ad gruppo di imprese, tenuto conto che in entrambi i casi permaneva la distinzione di soggettività giuridica tra le diverse società appartenenti al gruppo e tra la società controllante e quella controllata, essendo del tutto indifferente alla disciplina fiscale che gli amministratori fossero stati o meno nominati direttamente dalla Capogruppo o dalle società per conto delle quali gli stessi operavano, così come era del tutto indifferente che i compensi fossero stati versati direttamente alle società anzichè alle persone fisiche, atteso che in ogni caso i pagamenti eseguiti venivano a configurarsi per la società contribuente come costi inerenti e quindi deducibili.
Correttamente, inoltre, i primi Giudici avevano ritenuta dovuta l'IVA sui compensi agli amministratori, in quanto corrispettivi per "prestazioni di servizi" rese dalle società del Gruppo che avevano emesso le fatture e per conto delle quali gli amministratori avevano svolto l'incarico presso la società contribuente, con conseguente inapplicabilità della disposizione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5, comma 2, che poneva fuori campo IVA le collaborazioni coordinate e continuative di cui all'art. 53 TUIR. La sentenza di appello, non notificata, è stata tempestivamente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate con tre motivi, deducendo vizi di motivazione e vizi di violazione di norme di diritto.
Resiste con controricorso la società.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la Agenzia fiscale deduce il vizio di violazione dell'art. 75 TUIR e dell'art. 2389 c.c., nel testo vigente "ratione temporis", in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Sostiene la Agenzia ricorrente che la determinazione dei compensi assunta soltanto con delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura esercizio 2003, sarebbe da ritenersi invalida (come affermato dalla sentenza di questa Corte resa a SS.UU. n. 21933/2008) rifluendo tale invalidità sulla indeducibilità del relativo costo, per difetto dei requisiti di certezza e determinabilità richiesti dall'art. 75 TUIR. Tanto è sufficiente a ritenere infondata la eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza e carenza di interesse alla impugnazione.
Il motivo è fondato.
Occorre premettere in fatto che, secondo quanto emerge dalla sentenza della CTP n. 65/2006 (trascritta a pag.
5-6 del ricorso per cassazione), società appartenenti ad un medesimo gruppo, e precisamente F. s.a.s. di F.S., E. s.r.l. - poi C.& co. s.p.a. - e Z. s.r.l. (le quali detengono partecipazioni di controllo in F. s.r.l. che a sua volta esercita il controllo sulla contribuente V. s.r.l.), hanno designato alcuni componenti nel consiglio di amministrazione di V. s.r.l. ed hanno quindi emesso fatture n.l in data 3.3.2003 (FI.), n. 1 in data 9.12.2003 (E.), e n. 4 in data 9.12.2003 (Z.) nei confronti di V. s.r.l., determinando il compenso dovuto dalla controllata in relazione all'attività svolta dalla persona fisica che aveva assunto l'incarico di consigliere di amministrazione. La società controllata ha approvato i compensi fatturati con la delibera dell'assemblea di approvazione del bilancio relativo all'anno 2003, ed ha provveduto a versare le somme fatturate, portando in deduzione i relativi costi dal reddito d'impresa e detraendo l'IVA liquidata nelle fatture e versata in rivalsa.
Osserva il Collegio che le norme che regolavano la materia, nel testo anteriore alla riforma del diritto societario introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, prevedevano, ai sensi dell'art. 2364 c.c., comma 1, n. 3), (applicabile anche alle società a responsabilità limitata, in virtù dell'espresso rinvio contenuto nell'art. 2486 c.c., comma 2), che l'assemblea "determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito nell'atto costitutivo", mentre l'art. 2389 c.c., al comma 1 (applicabile anche alle società a responsabilità limitata, in virtù dell'espresso rinvio contenuto nell'art. 2487 c.c., comma 2), disponeva che "i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti nell'atto costitutivo o dall'assemblea".
La modifica di tali norme, in seguito alla riforma del D.Lgs. n. 6 del 2003, entrata in vigore l'1.1.2004, non ha apportato significativi mutamenti, essendo attualmente prevista dall'art. 2364 c.c., comma 1, n. 3), la competenza a deliberare della assemblea ove il compenso non sia stato stabilito nello "statuto", e disponendo l'art. 2389 c.c., comma 1, che il compenso deve essere stabilito nell'atto costitutivo o "all'atto della nomina" deliberata dalla assemblea ordinaria dei soci ex art. 2383 co l c.c. (ovvero "all'atto della nomina" del componente del consiglio di amministrazione o del componente del comitato esecutivo da parte dei soggetti estranei alla società, indicati nell'art. 2383 c.c., comma 1: a) soggetti titolari di strumenti finanziari di cui all'art. 2346 c.c., comma 6, e art. 2349 c.c., comma 2: nomina di un componente indipendente - art. 2351 c.c., comma 4;
b) art. 2449 c.c. : nomina da parte di Stato od enti pubblici con partecipazioni azionarie in società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio).
A seguito della riforma del diritto societario, le norme che disciplinano la "amministrazione" (artt. 2475 e 2476 c.c.) e le "decisioni dei soci" (artt. 2479 e 2479 ter c.c.) nelle società a responsabilità limitata, non contengono più il precedente rinvio disposto dagli artt. 2486 e 2487 c.c., alle norme di cui agli artt. 2364 e 2389 c.c., in materia di società per azioni: tale soluzione trova giustificazione nella maggiore snellezza della organizzazione e del funzionamento che il Legislatore ha inteso riconoscere alla società a responsabilità limitata (attraverso una tendenziale maggiore rilevanza attribuita all'"elemento personale" dell'ente collettivo: significativa è la disposizione dell'art. 2475 c.c., comma 1, che prevede, salva espressa deroga disposta nell'atto costituivo, la nomina alla carica di amministratore di uno o più soci), privilegiando le disposizioni pattizie, rispetto alle quali le norme di legge assumono efficacia suppletiva, venendo meno, pertanto, non evidentemente la necessità della previsione, nell'atto costitutivo (art. 2463 c.c., comma 2, nn. 7) ed 8)) ovvero con delibera assembleare (art. 2475 c.c., comma 1, e art. 2479 c.c., comma 2, n. 2)), della nomina degli amministratori e della determinazione dei relativi compensi, quanto piuttosto - in considerazione della natura più immediata e diretta che caratterizza la partecipazione personale dei soci all'attività sociale della "nuova" società a responsabilità limitata - la esigenza di tutela dei diritti patrimoniali dei soci - che invece sussiste nelle società per azioni in cui è netta la separazione tra amministrazione e partecipazione al capitale - che richiede la apposita previsione di forme vincolate nell'esercizio dei poteri che possono comportare l'assunzione di oneri patrimoniali particolarmente onerosi per la società e che, l'art. 2389 c.c., continua, pertanto, ad imporre, anche nel testo riformato, per la determinazione dei compensi degli amministratori nelle società per azioni, e cioè la necessità che l'assemblea dei soci sia convocata a deliberare specificamente su tale oggetto.
Orbene non pare dubbio che, essendo costituita la contribuente nella forma della società a responsabilità limitata, l'Ufficio finanziario contestando la violazione dell'art. 2389 c.c., nella interpretazione che di tale norma ha fornito questa Corte con la sentenza resa a SS.UU. in data 29.8.2008 n. 21933, ha ritenuto applicabile alla fattispecie la disciplina normativa delle società vigente nell'anno 2003, cui si riferiva la spesa sostenuta dalla contribuente, ed in relazione alla normativa previgente ha, infatti, svolto le proprie difese criticando la statuizione del Giudice tributario, risultando pertanto irrilevante "ratione temporis" la sopravvenuta inapplicabilità dell'art. 2389 c.c., alle società a responsabilità limitata e dovendo, quindi, ritenersi assoggettata la delibera di approvazione del bilancio di esercizio 2003 con contestuale determinazione dei compensi degli amministratori esclusivamente alla "relativa disciplina statutaria e di legge vigente alla data del 31 dicembre 2003", ai sensi dell'art. 223 bis disp. att. c.c., comma 3, (inserito dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 9, e successivamente modificato dal D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, art. 5).
Tanto premesso la designazione, da parte di società del gruppo che esercitano indirettamente il controllo su V. s.r.l., delle persone nominate nel consiglio di amministrazione di tale società, non assume rilevanza in ordine alla questione controversa, come sembrerebbe, invece, ritenere l'Agenzia fiscale che, argomentando "ad abundantiam", richiama anche la disposizione dell'art. 2475 c.c., comma 1, nel testo riformato (secondo cui nelle società a responsabilità limitata "l'amministrazione....è affidata ad uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell'art. 2479"), per prospettare la invalidità della assunzione della carica di amministratore da parte di persone fisiche estranee alla composizione sociale della V. s.r.l. ed espressione di altre società del Gruppo di imprese: ed infatti, da un lato, per le ragioni suddette la norma introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003, non trova applicazione "ratione temporis" alla fattispecie;
dall'altro la questione prospettata, anche considerando la disposizione del previgente art. 2487 c.c., comma 1 (di identico tenore), non considera che la norma è ed era derogabile ("Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo...") e dalla lettura della sentenza di appello risulta che "....la funzione di controllo ed organizzazione aziendale nelle società del gruppo è infatti espressamente prevista nell'oggetto sociale..." (idest: nell'atto costitutivo di V. s.r.l. è espressamente contemplata la possibilità di nomina di amministratori estranei alla composizione sociale), essendo quindi del tutto legittima la nomina alla carica sociale di persone estranee alla compagine sociale e designate da altre società del Gruppo.
La violazione dell'art. 2389 c.c., inficia invece in modo insanabile la validità della delibera assembleare di approvazione del bilancio nella parte in cui approva la determinazione dei compensi degli amministratori - liquidati con fatture emesse dalle società "designanti" nel corso dell'anno 2003 (in data dal 3.3.2003 al 9.12.2003: cfr. ricorso Cass. pag. 17-18) - attesa la interpretazione che di tale norma ha fornito questa Corte, nella richiamata sentenza a sezioni unite.
La esigenza di una espressa previsione statutaria o di una specifica delibera assembleare avente ad oggetto la determinazione dei compensi degli amministratori, nel regime normativo antevigente la riforma del D.Lgs. n. 6 del 2003, è stata, infatti, ritenuta funzionale a garantire la piena trasparenza e la previa conoscenza di tutti i soci della relativa voce di spesa, in quanto elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all'affidamento dell'incarico di amministrazione, esigenza che si ritiene soddisfatta soltanto attraverso la previsione di una specifica manifestazione volitiva dell'assemblea dei soci diretta alla assunzione dell'onere patrimoniale connesso al funzionamento dell'organo di direzione della società. Ne segue che debbono essere sanzionati con la invalidità gli atti degli organi societari diversi dalla delibera della assemblea, così come la delibera assembleare assunta in modo difforme dalla previsione dell'art. 2389 c.c., in quanto avente ad oggetto questioni estranee alla attribuzione dei compensi agli amministratori, come nel caso di specie, in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura esercizio presentato alla approvazione dell'assemblea.
Il vizio di invalidità (limitato alla determinazione dei compensi) della delibera assembleare di approvazione del bilancio assunta in violazione dell'art. 2389 c.c., non deve ricondursi nella categoria del vizio di invalidità - annullabilità ex art. 2377 c.c., comma 2 (che può essere opposto soltanto dai soggetti legittimati, ed è suscettibile di convalida), nè in quella del vizio di invalidità - nullità ex art. 2379 c.c., concernente la "impossibilità od illiceità dell'oggetto" (che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile anche d'ufficio), ma nella nullità generale di cui all'art. 1418 c.c., comma 1, per contrarietà a norma imperativa, in quanto "la disciplina di cui all'art. 2389 c.c., (dettata in continuità con l'orientamento legislativo tradizionale, risalente all'art. 154, n. 4 del codice di commercio del 1882) ha certamente natura imperativa e inderogabile, sia perchè, in generale, la disciplina della struttura e del funzionamento delle società regolari sono dettate (anche) nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività commerciale e industriale del Paese, sia perchè, in particolare, la loro violazione, in particolare la percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea, era prevista dall'art. 2630 c.c., comma 2, n. 1, (abrogato dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1) come delitto che non poteva certo essere scriminato dalla approvazione del bilancio successiva alla consumazione. E' pertanto evidente che la violazione dell'art. 2389 c.c., sul piano civilistico, da luogo a nullità degli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito dall'art. 1423 c.c., non è suscettibile di convalida, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente" (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 21933 del 29/08/2008, in motivazione).
La oggettiva distinzione della delibera assembleare di determinazione dei compensi rispetto a quella di approvazione di bilancio trova, peraltro, diretto riscontro nell'art. 2364 c.c., comma 1, che contempla separatamente, rispettivamente al n. 1) ed al n. 3), le due distinte materie riservate alla competenza esclusiva della assemblea ordinaria dei soci.
Le conclusioni cui sono pervenute le SS.UU., dalle quali il Collegio non intende discostarsi in mancanza di elementi che inducano ad una nuova riflessione, configurano, pertanto, nel caso di specie una sostanziale violazione delle competenze attribuite alla assemblea generale dei soci (organo societario attraverso il quale si realizza la garanzia della tutela della minoranza), e dunque una difformità assoluta dallo schema legale del procedimento di formazione della volontà dell'ente collettivo (come ripetutamente