Cass. pen., sez. II, sentenza 24/02/2020, n. 07257

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 24/02/2020, n. 07257
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 07257
Data del deposito : 24 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: BALESTRERO ETTORE nato a GENOVA il 21/12/1966 avverso l'ordinanza del 08/07/2019 del TRIB. LIBERTA' di GENOVA udita la relazione svolta dal Consigliere A S;
lette/sentite le conclusioni del PG

FERDINANDO LIGNOLA

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso. udito il difensore L'avvocato R M del foro di TORINO in difesa di: BALESTRERO ETTORE si riporta ai motivi e ai motivi nuovi depositati chiedendone l'accoglimento. L'avvocato M L del foro di ROMA in difesa di: BALESTRERO ETTORE si riporta ai motivi e ai motivi nuovi depositati chiedendone l'accoglimento. Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 8 luglio 2019 (dep. il -10/7/2019), il Tribunale di Genova in funzione di giudice dell'impugnazione, in sede di riesame, ha confermato il decreto del G.i.p. del Tribunale di Genova, che ha disposto, nei confronti di E B, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro e titoli per un importo complessivo pari a euro 1.871.184,14 o, in via subordinata, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili o immobili e di qualsiasi altro bene fino alla concorrenza dell'importo già indicato, in relazione al reato di riciclaggio avente quali reati presupposti la truffa e la violazione della Legge 7 agosto 1982 n. 516, ossia la violazione della normativa in materia di repressione dell'evasione dell'imposta sui redditi;
reati che si assume siano stati commessi da G B, D P e G B, ossia padre, madre e fratello dell'odierno ricorrente. Va precisato che l'ordinanza del G.i.p. confermata dal Tribunale oggi impugnata escludeva dal sequestro le somme indicate come profitto del reato di appropriazione indebita pure contestato come reato presupposto.

2. Secondo l'ipotesi d'accusa, la condotta di riciclaggio si è articolata in una pluralità di atti concretizzati in un arco temporale di circa quindici anni e ha a oggetto le somme provento dei reati in materia di violazioni tributarie, contrabbando e truffa riguardante l'importazione della carne bovina congelata (GATT), commessi negli anni 1994 e 1995 e che, come premesso, ha visto coinvolti G B, D P e G B, congiunti del ricorrente. Tale vicenda si concludeva con sentenza di patteggiamento, depositata il 5/5/1998 e irrevocabile dal 20/06/1998. 2.1. Il primo atto della condotta di riciclaggio oggi in contestazione sarebbe stata commessa da E B nel 2000, quando accettò di vestire la qualità di socio della società

TAMARA

Invest & Trade e in tale veste (il 24.8.2000) rinnovava il mandato alla fiduciaria svizzera FINIMEX s.a. di gestire i fondi depositati sul conto corrente n. 248-70003988 acceso presso la banca UBS di Zugo e alimentato dalle somme provento dei delitti già indicati, commessi dai propri fannigliari e precedentemente custoditi presso altri conti cifrati (denominati "Cocchiere", "Navarino", Mascherina", "Eroismo"). Secondo tale ricostruzione, E B alla data del 30/08/2000, nella sua qualità di socio della società Tamara Invest & Trade s.a. era il beneficiario economico del conto corrente sopra menzionato.

2.2. In virtù di ciò, l'odierno ricorrente nel 2003 realizzava il secondo atto della complessa condotta di riciclaggio descritta dall'accusa, aderendo alla procedura di emersione di capitali detenuti all'estero ai sensi della Legge 21 febbraio 2003, n. 27 (cd.- Scudo Fiscale) e faceva rientrare in Italia, -su conti correnti a lui intestati, la somma complessiva di euro 6.827.918,00, attraverso un duplice passaggio: la somma, infatti, in un primo momento veniva trasferita dal già menzionato conto intestato alla Tamara Invest & Trade s.a. al conto n. 273-266305 della UBS di Zugo, acceso a tale scopo e intestato a E B e -in un secondo momento- veniva nuovamente trasferita da questo conto corrente ad altri conti correnti italiani sempre intestati a E B accesi presso banca Esperia e MeliorBAnca.

2.3. Il terzo atto individuato dalla pubblica accusa si concretizzava il 2.2.2010, con il conferimento a G B della delega a operare a firma disgiunta sul conto corrente n. 100530-7 acceso presso Banca Esperia, dove si trovava depositata parte delle già menzionate somme.

2.4. Analogamente e ancora, nel 2013, E B trasferiva il denaro ritenuto di provenienza delittuosa sul conto corrente n. 92002 di Banca Esperia, a lui intestato ma sul quale aveva conferito a G B delega a operare a firma disgiunta, con atto del 7.11.2012. 2.5. Infine, in data 14.9.2015 stipulava atto notarile di donazione per la somma di C 4.700.000,00 in favore di G B. La somma in questione veniva di fatto trasferita a quest'ultimo con una serie di operazioni bancarie e finanziarie in favore di conti correnti a lui intestati. L'ultimo di tali atti veniva registrato il 23.9.2015. 3. E B, a mezzo dei propri difensori, deduce i seguenti vizi:

3.1. Inosservanza della legge penale e della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus boni luris del contestato reato di riciclaggio. A tal riguardo si sostiene che l'ordinanza impugnata fa rientrare la pluralità di atti compiuti dal 2000 al 2015 in un'unica ipotesi del reato di riciclaggio facendo ricorso alla figura del reato istantaneo a formazione progressiva, pur in assenza dei presupposti a tal fine essenziali, individuabili nella necessità che gli atti successivi a una primigenia e fondamentale condotta decettiva volta a ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa di una determinata provvista, siano immediatamente esecutivi del medesimo progetto iniziale. Si puntualizza che «ciò che consente la riconduzione di una pluralità di atti o di comportamenti a un medesimo reato è (...) un compatto vincolo di unità cronologica, spaziale, teleologica e, soprattutto, di titolo giuridico tra i differenti atti». Si sottolinea anche che, in mancanza della «stretta interrelazione fra la condotta di riciclaggio e le successive condotte, di per sé atipiche, ma esecutive del medesimo progetto, lo schema .del reato a formazione progressiva è giuridicamente fallace perché contrasta o con l'istituto della continuazione ovvero con il principio fondamentale della non punibilità dei post facta non punibili privi di un'autonoma tipicità delittuosa». Secondo la difesa l'enunciato requisito della stretta correlazione manca nel caso concreto, atteso che gli atti compiuti nel 2003, 2010, 2013 e nel 2015 sono slegati dalla condotta originaria di riciclaggio eventualmente commessa nel 2000, sia perché sono muniti di specifiche e autonome cause giuridiche, sia perché non hanno un'intrinseca funzione decettiva, così che non possono neanche costituire autonome condotte di riciclaggio eventualmente da riunirsi tra loro con il vincolo della continuazione. A sostegno dell'assunto si illustrano le ragioni per cui ciascun atto non poteva essere ritenuto collegato e funzionale alla condotta del 2000, osservandosi che: A) con riguardo all'atto del 2003, B esercitò un diritto riconosciutogli dalla legge aderendo al cd. "scudo fiscale", ossia uno strumento non prevedibile nel 2000 e strutturalmente incompatibile con una condotta decettiva, attesane la natura pubblica a trasparente, autorizzata da una legge dello Stato. B) Con riguardo alle deleghe del 2010 in favore del padre, esse erano giustificate dalla sua lontananza da Genova e dalla conseguente impossibilità a operare sui conti correnti e rese possibili dal miglioramento dello stato di salute di G B, imprevedibile nel 2000. C) Per quanto riguarda l'atto del 2013, ossia la desecratazione di un conto cifrato e il successivo trasferimento del denaro in un conto corrente presso banca Esperia a sé intestato e sul quale aveva la delega a operare anche il padre, si rimarca come in tal caso erano state rispettate le indicazioni della circolare 29/E dell'Agenzia delle Entrate del 5 luglio 2012, così compiendo un atto ontologicamente opposta alla condotta di riciclaggio. D) Quanto alla donazione della somma di denaro in favore del fratello nel 2015, osserva che essa fu ostesa con atto pubblico e, dunque, con una procedura che rivela la perfetta buona fede del ricorrente, al solo considerare la indefettibile destinazione dell'atto all'Agenzia delle Entrate, dove andava trasmesso per la sua registrazione. A tale ultimo proposito si aggiunge che «a prescindere dal tema del dolo, che non è qui oggetto di trattazione, è la struttura intrinseca dell'atto a rivelarsi, di per sé, siccome destinata alla pubblica ostensione, incompatibile con una oggettiva funzione decettiva». Si deduce, dunque, l'erroneità dell'ordinanza impugnata che, senza motivazione riconduce a unità gli atti compiuti dal 2010 al 2015, nonostante siano svincolati tra loro e corrispondenti ciascuno a un'autonoma e specifica ragione fattuale.

3.2. Inosservanza della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus boni iuris: erronea individuazione del reato di appropriazione indebita quale delitto presupposto del riciclaggio (art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod.proc.pen.). A tal riguardo si lamenta la totale assenza di un fatto storico capace di costituire il presupposto del riciclaggio e, a sostegno di tale assunto, si osserva che non è stato individuato un soggetto passivo, mancando indicazioni circa il fatto che le somme di denaro depositate nei conti esteri e mai registrate nel territorio italiano fossero di diretta spettanza della B s.r.l. e, dunque, siano state effettivamente distratte dalla cassa delle società;
che non vengono indicate le operazioni societarie che avrebbero costituito i titoli per l'ingresso del denaro nel patrimonio della B s.r.I.;
che nessun documento o testimonianza è stata addotta in ordine agli importi oggetto di appropriazione;
che non è stata fornita alcuna indicazione circa il tempo in cui sarebbe avvenuta l'appropriazione;
che non è stata data alcuna indicazione circa la persona o le persone che avrebbero alimentato la provvista dei conti correnti svizzeri. Si aggiunge che il tribunale ha omesso di confutare gli elementi probatori estremamente rilevanti forniti dalla difesa in ordine alla provenienza della grandissima parte del denaro dalla ricchezza del nonno materno, Franco Pertusio e, quindi, pervenuto per via ereditaria a E B.

3.3. Inosservanza della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus boni iuris degli asseriti delitti presupposti del contestato reato di riciclaggio, quale titolo per l'emissione del sequestro preventivo: illogicità e mancanza assoluta di motivazione (art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod.proc.pen.). In questo caso ci si lamenta della sostanziale mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato, in ragione della tecnica di redazione, meramente riproduttiva di altra separata ordinanza (pronunciata a seguito di appello del PM) che, a sua volta, risulta viziata a causa del difetto di autosufficienza rispetto a quanto rappresentato dall'accusa, giacché -si sostiene- si limita a mutuare le presunte ragioni contenute nell'appello cautelare proposto dal PM, senza dare prova di adeguata e autonoma valutazione. Sulla base di tale osservazione si deduce l'apparenza della motivazione che, in ragione della descritta tecnica di motivazione, non può aver dato risposta ai motivi di riesame rassegnati dalla difesa. Vengono altresì dedotti ulteriori vizi della motivazione, con particolare riguardo alla possibilità di estendere l'area del profitto «al di là di quanto emergente- dagli atti del procedimento ormai conclusosi per l'asserito delitto presupposto» e alla impossibilità di considerare i reati fiscali di cui all'art. 1, comma 2, lett. a), L. n. 516/1982 quale presupposto del riciclaggio, attesa la loro natura di reati contravvenzionali. A tal proposito si sostiene che il tribunale con una mera petizione di principio, ipotetica e in assenza di alcun elemento di prova afferma che «l'irrevocabilità di sentenza su alcuni dei reati presupposto non esclude la configurabilità di ulteriori fatti delittuosi (anche eventualmente coevi ed antecedenti), emersi dalle ulteriori indagini aventi diverso e più ampio oggetto». In sostanza si sostiene che il Tribunale aggira la difficoltà di collegare le somme di denaro a un reato presupposto attraverso l'affermazione secondo cui la mera ipotizzabilità in astratto di una qualunque fattispecie delittuosa tiene in piedi provvisoriamente la fattispecie incriminatrice preliminare a fini cautelari, anche se priva di riscontro fattuale e di adeguato fondamento giuridico e che in forza di tale assunto si avalla -in via del tutto ipotetica- la ricostruibilità della vicenda in termini di frode fiscale. Si aggiunge che -sempre in violazione di legge- si tenta di colmare il vuoto probatorio circa la possibilità di ricondurre alla cd truffa GATT l'intera somma trasferita con lo scudo fiscale (ossia circa 7.000.000,00 di euro) con una illegittima inversione dell'onere della prova, attuata nella parte della motivazione in cui si afferma che E B si è avvalso della facoltà di non rispondere e che non vi sono state produzioni documentali dimostrative di una fonte alternativa di provenienza legittima dei cespiti, così che poteva essere ritenuta corretta «la parametrazione delle somme da ritenersi provento dei delitti di truffa e di appropriazione indebita continuata a quella fatta rientrare in Italia del 2003». Si conclude il motivo sostenendosi che il Tribunale non ha svolto il ruolo di controllo e garanzia attribuitogli dal legislatore, per come precisato dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità.

3.4. Inosservanza della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza del fumus boni iuris ai fini del sequestro preventivo per essere intervenuta la prescrizione (art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod.proc.pen. Sotto tale profilo si evidenzia che -fatte salve le riserve difensive sul punto- l'unica condotta eventualmente inquadrabile nel reato di riciclaggio secondo la prospettazione accusatoria, potrebbe essere quella tenuta da E B nel 2000 e che ormai dovrebbe considerarsi prescritta già prima dell'esercizio dell'azione penale, con la conseguente illegittimità del sequestro preventivo, alla luce del principio di diritto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 24162 del 6 aprile 2011 (Rv. 250641). 3.5-. Inosservanza della legge penale sostanziale e difetto di motivazione in ordine alla prova del nesso di pertinenzialità fra le somme sequestrate e il reato oggetto dell'imputazione (art. 606, comma 1, lett. b) e c) del codice di rito). Si sostiene l'assenza di un'adeguata motivazione quanto al rapporto di pertinenzialità tra le somme di denaro in sequestro e il reato, mancando la prova che quello costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo di questo. Si precisa che il Tribunale, in accoglimento dell'appello del PM, ha ordinato il sequestro preventivo di somme ulteriori rispetto a quelle considerate provento dei reati accertati con sentenza di patteggiamento n. 275/9 del Tribunale di Genova, mentre il G.i.p. lo aveva limitato a tali somme, ritenendo non sufficientemente provata la loro provenienza delittuosa. «Il tutto -si aggiunge- nel difetto di qualsiasi adeguato collegamento e senza fornire alcuna adeguata spiegazione circa la sussistenza di un rapporto di derivazione fra il quantum sequestrato, considerato apoditticamente profitto, ed il reato-presupposto del delitto di riciclaggio per cui si procede nei confronti dell'odierno impugnante. [...] Né, d'altronde, si fornisce alcuna giustificazione circa un eventuale riutilizzo o reinvestimento di quelle somme, tale da accrescerne il valore e giustificare così il vincolo reale». Si precisa, infine, che l'importo da considerarsi provento delle truffe GATT non può essere superiore a quello quantificato dal giudicante della sentenza di patteggiamento e individuata in 58.898,55 marchi tedeschi alla quale va aggiunta l'ulteriore somma pari a lire 334.169.735. 3.6. Violazione di legge processuale e difetto di motivazione in ordine all'omesso confronto con le deduzioni difensive (art. 606, comma 1, lett. c), cod.proc.pen.). Ci si duole dell'omesso confronto del Tribunale con le deduzioni difensive esposte nel corso delle indagini preliminari e in sede di appello cautelare, corredate da produzione documentale in ordine a quanto a conoscenza di E B circa la provenienza delle somme detenute all'estero dalla famiglia, con particolare riferimento alla disponibilità di un importo complessivo pari a circa C 2.475.612,37 presso i conti "Eroismo" e "Cocchiere" oltre che su un conto della Banca Svizzera SBS, già prima che si aprisse la vicenda delle false licenze GATT, in quanto provenienti dall'ingente patrimonio e ricevuti in via ereditaria dal de cuius Frank Pertusio, suocero di G B e padre di D P. Secondo la difesa, il Tribunale ha cercato di colmare il vuoto di elementi colto dal G.i.p., che ha limitato il sequestro alle somme che a suo avviso -e fatte salve le riserve difensive- erano il profitto derivante dalle truffe GATT e in relazione alle quali è stata emessa la sentenza di patteggiamento a carico di Gerolamo e G B e di D P. La difesa segnala che il G.i.p. aveva rigettato la richiesta di sequestro delle somme ulteriori osservando che dalle dichiarazioni rese da G e G B nel procedimento che diede luogo alla sentenza di patteggiamento quanto ai versamenti effettuati nei conti correnti denominati "Eroismo", "Cocchiere", "Navarino" e "Mascherina" e avendo riguardo alla documentazione versata in atti dagli indagati a dimostrazione della provenienza delle somme di denaro, non era possibile ritenere che sui menzionati conti correnti cifrati fossero confluiti anche i proventi di attività illecite ulteriori, poste in essere da G B e consistenti in atti di evasione fiscale e in attività di appropriazione indebita in danno della B s.r.l. Si nega l'esistenza di indizi che possano confortare l'accusa circa l'ipotizzata appropriazione indebita e si osserva che il Tribunale ha superato la motivazione di rigetto del Tribunale sulla base di mere postulazioni e con un provvedimento che si assume non congruamente motivato.
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