Cass. pen., sez. II, sentenza 30/07/2021, n. 30026
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: ISLAM NAZRUL nato il 11/07/1978 avverso la sentenza del 14/01/2020 della CORTE APPELLO di PALERMOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere M M M;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ETTORE PEDICINI RITENUTO IN FATTO La CORTE d'APPELLO di PALERMO, con sentenza in data 14/1/2020 ha confermato la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di PALERMO il 19/11/2018, nei confronti di ISLAM NAZRUL per i reati di cui agli artt. 474 e 648, comma secondo cod. pen. e 112 D.Ivo 206/2005. 1. N I è stato rinviato a giudizio per i reati di commercio di prodotti con segni contraffatti, ricettazione e per avere immesso in sul mercato prodotti pericolosi in quanto privi del marchio CE. All'esito del giudizio di primo grado l'imputato, riconosciuta l'ipotesi di cui all'art. 648, comma secondo cod. pen. è stato condannato con sentenza che la Corte d'appello ha confermato. 1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi. 1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla dichiarazione di responsabilità in relazione alla ritenuta sussistenza del reato con riferimento alla contraffazione dell'indicazione CE, che non costituirebbe marchio, e di conseguenza il reato contestato non sussisterebbe ovvero il fatto avrebbe dovuto essere qualificato ai sensi degli artt. 56 e 515 cod. pen. 1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui all'art. 112 comma secondo D.Lvo 206/2005. 1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 2. In data 7 maggio 2021 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il Procuratore Generale, in Persona del Sost. Proc. dott. Ettore Pedicini, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 1. Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica del reato di cui al capo a), la detenzione per la vendita di prodotti con marchio contraffatto. La doglianza è fondata. Il c.d marchio CE è un'attestazione che garantisce al consumatore la conformità di alcune categorie di prodotti agli standard di qualità e sicurezza europei, cioè a tutte le disposizioni dell'Unione Europea che prevedono il suo utilizzo dalla progettazione, alla fabbricazione, all'immissione sul mercato, alla messa in servizio e fino allo smaltimento. Sotto tale profilo, quindi, l'uso indebito del marchio CE non integra l'ipotesi criminosa di cui all'art. 474 cod. pen., che fa riferimento al marchio, inteso come elemento (segno o logo) idoneo a distinguere il singolo prodotto industriale rispetto ad altri (art. 2569 c.c. e R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 e successive modifiche), e non al marchio, rectius attestazione o marcatura, inteso come elemento che serve ad attestare la conformità del prodotto appartenente ad una determinata tipologia o a normative specifiche. Ciò in quanto la ragione di tutela del marchio consiste nella capacità di questo di distinguere un prodotto dall'altro che, come tale, giustifica il monopolio di un segno e l'esclusività dell'uso, mentre la funzione del marchio "CE" è quella di tutelare interessi pubblici, come la salute e la sicurezza degli utilizzatori dei prodotti, appartenenti ad una determinata tipologia, assicurando che essi siano conformi a tutte le disposizioni comunitarie che prevedono il loro utilizzo, così che la marcatura CE non funge da marchio di qualità o d'origine, ma costituisce un puro marchio amministrativo, che segnala che il prodotto marcato può circolare liberamente nel mercato unico dell'UE. (testualmente Sez. 2, n. 36228 del 18/8/2009, Wang, n.m.) In tali ipotesi situazione, pertanto, l'apposizione del marchio contraffatto CE sui beni venduti -proprio perché questo garantisce la sussistenza dei requisiti aprioristicamente standardizzati dalla normativa comunitaria, che possono essere scelti dall'acquirente in ragione della loro origine e provenienza controllata alla fonte- configura il reato di frode in commercio ovvero, nel caso in cui il bene non sia stato ancora consegnato al consumatore, il reato di tentativo di frode in commercio (Sez. 3, n. 17686 del 14/12/2018, dep. 2019 Lia, Rv. 275932;Sez. 3, n. 33397 del 20/6/2018, Feng, n.m.).
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