Cass. pen., sez. III, sentenza 14/03/2023, n. 10726

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 14/03/2023, n. 10726
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10726
Data del deposito : 14 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da G G, nato a Ferrara il 02-11-1954, avverso la sentenza del 02-07-2021 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere F Z;
lette le conclusioni scritte rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. L O, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. lette le conclusioni scritte trasmesse dall'avvocato M S, difensore di fiducia dell'imputato, che ha insistito nell'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 luglio 2021, la Corte di appello di Bologna confermava la decisione del 10 luglio 2015, con cui il Tribunale di Ferrara, tenuto conto della contestata recidiva ex art. 99 comma 4 cod. pen., aveva condannato G G alla pena di 2 anni di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 4 del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui contestato per avere presentato, nella qualità di amministratore della Kolonica s.r.1., una dichiarazione integrativa alla dichiarazione Mod. Unico 2010, con cui veniva abbattuta la base imponibile ai fini delle imposte dirette e dell'iva, mediante l'indicazione fittizia di operazioni di reverse charge (cessioni di fabbricati strumentali e operazioni dì subappalto in edilizia), per il complessivo importo di 1.262.714 euro, così da ottenere un'evasione del debito di imposta ai fini Ires di euro 208.583 e ai fini Iva di euro 263.818;
fatto commesso in Ferrara il 29 settembre 2011. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello felsìnea, G, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale è stata dedotta l'inosservanza dell'art. 4 del d. 1gs. n. 74 del 2000, evidenziandosi che la norma incriminatrice sanziona la presentazione della dichiarazione annuale, mentre l'eventuale presentazione di una dichiarazione integrativa non assume alcun rilievo, come già sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è a Cass., Sez. 3, n. 23810 del 29/05/2019). Dunque, le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono solo le dichiarazioni annuali in tema di imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, mentre sono escluse le altre dichiarazioni fiscali previste dall'ordinamento, per cui, ai fini della configurabilità del reato, sarebbero irrilevanti le dichiarazioni integrative, sia peggiorative che migliorative della situazione precedentemente rappresentata con le dichiarazioni annuali.

2.1. Con memoria trasmessa 1'11 novembre 2022, il difensore di G ha insistito nell'accoglimento del ricorso, depositando gli scritti difensivi prodotti nell'interesse del proprio assistito (invero in un differente giudizio di merito).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1. Al fine di circoscrivere il tema giuridico su cui si incentra il ricorso, appare necessaria una breve ricostruzione della vicenda storica per cui si procede, che del resto non risulta controversa, almeno nella sua scansione fenomenica. Come emerge dalle due conformi sentenze di merito, la società Kolonica s.r.I., nella dichiarazione dei redditi 2010, riferita all'anno di imposta 2009, indicava somme pari a 261.206 euro a titolo di Iva dovuta e a 208.583 euro a titolo di Ires dovuta, somme non corrisposte entro i termini di legge né successivamente. L'Agenzia delle Entrate accertava poi che il 29 settembre 2011, ovvero entro la scadenza del termine ultimo del 30 settembre 2011, veniva presentata una dichiarazione integrativa relativa al medesimo anno di imposta, con cui veniva specificato che l'Iva dovuta era pari non più a 261.206 euro, ma a 5.558 euro (circa 255.000 euro in meno), mentre, quanto all'Ires, l'importo dovuto era pari non più a 208.583 euro, ma a 15.000 euro, con una differenza di 193.000 euro. Ciò era avvenuto mediante una modifica della cifra relativa alle operazioni imponibili, in relazione alle quale la società aveva incassato un'Iva da versare all'Erario, trasformandole in larga parte, come quantum complessivo, in operazioni eseguite in cd. reverse charge, cioè senza addebito Iva all'acquirente o ricevente la prestazione in subappalto, costituendo il reverse charge una inversione contabile in forza della quale, nell'ambito di un'operazione di vendita l'Iva non deve essere addebitata dal cedente all'acquirente e il cedente non è tenuto a versare corrispondentemente alcunché al Fisco. Nel corso degli accertamenti è altresì emerso che l'unica dichiarazione veritiera era la prima, in quanto corrispondente alle scritture contabili e, in particolare, alla fattura che risultava regolarmente incassata anche rispetto all'Iva. Viceversa, la dichiarazione integrativa, presentata dal commercialista M M per conto dell'imputato G G, divenuto nel frattempo legale rappresentante della Kolonica s.r.I., è stata ritenuta falsa, in quanto esponeva fittiziamente elementi attivi inferiori a quelli effettivi, così abbattendo l'imponibile, nel senso che quello originariamente indicato nella prima dichiarazione era stato ridotto a due voci, una ancora imponibile, ma di molto inferiore a quella reale, e l'altra non più imponibile, in quanto in reverse charge. L'effetto di tale operazione è stata l'evasione dell'Iva per l'importo di 255.000 euro e l'evasione dell'imposta sul reddito per l'importo di 190.000 euro. Tanto premesso in punto di fatto, sia il Tribunale che la Corte di appello, ritenuta pacificamente superata la soglia di punibilità, hanno ritenuto configurabile a carico di G il reato ex art. 4 del d. Igs. n. 74 del 2000, considerando rilevante, ai fini del perfezionamento della fattispecie, anche la dichiarazione integrativa, ove la stessa, come nel caso in esame, si riveli "infedele" nel senso delineato dalla norma incriminatrice, ossia indichi elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, oppure elementi passivi inesistenti. Si è infatti osservato sul punto (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) che G poteva sì presentare la dichiarazione integrativa, ma lo ha fatto non per correggere omissioni o errori della prima dichiarazione, ma per non pagare dolosamente le imposte dovute, segnalando a tal fine operazioni inesistenti.
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