Cass. civ., SS.UU., sentenza 13/11/2012, n. 19705
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In tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, la pubblicità informativa che lede il decoro e la dignità professionale costituisce illecito, ai sensi dell'art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, poiché l'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero-professionali, stabilita dall'art. 2 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, non preclude all'organo professionale di sanzionare le modalità ed il contenuto del messaggio pubblicitario, quando non conforme a correttezza, in linea con quanto stabilito dagli artt. 17, 17-bis e 19 del codice deontologico forense, e tanto più che l'art. 4 del d.P.R. 3 agosto 2012, n. 137, al comma secondo, statuisce che la pubblicità informativa deve essere "funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria". (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva affermato costituire illecito disciplinare l'inserimento nel "box" pubblicitario di un giornale di uno slogan sull'attività svolta, con grafica tale da porre enfasi sul dato economico dei costi molto bassi, contenente elementi equivoci, suggestivi ed eccedenti il carattere informativo).
Nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare definite dalla legge mediante una clausola generale (abusi o mancanze nell'esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale) è rimessa all'Ordine professionale, ed il controllo di legittimità sull'applicazione di tali norme non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruità della motivazione, ma all'individuazione del precetto e rileva, quindi, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva derivato dalla clausola generale il divieto di effettuare comunicazioni pubblicitarie evocative e suggestive, incentrate sul dato economico dei costi molto bassi e contenenti dati equivoci, privi di contenuto informativo professionale).
Nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il luogo del fatto per cui si procede, ai fini dell'individuazione del Consiglio dell'Ordine competente per territorio in alternativa al Consiglio che custodisce l'albo in cui è iscritto il professionista (e prevalente su questo, secondo il criterio della prevenzione), si identifica, nel caso di illecito commesso con l'uso della stampa, con riferimento al luogo di prima diffusione del mezzo di comunicazione, in generale coincidente con il luogo della stampa, poiché questo è il luogo di perfezionamento dell'illecito ed occorre evitare, in linea con quanto avviene per l'illecito civile e per l'illecito penale, un criterio "ambulatorio" della competenza, comportante la possibilità di scegliere il giudice senza criteri di prevedibilità ed in contrasto con le fondamentali esigenze di garanzia. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata, che aveva ritenuto la competenza di un Consiglio dell'Ordine nel cui territorio poteva essere pervenuto un giornale stampato altrove e contenente un messaggio pubblicitario ritenuto lesivo del decoro e della dignità professionale).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo presidente f.f. -
Dott. R L A - Presidente di sez. -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9237-2012 proposto da:
CASSANMAGNAGO C M, B N, M A, BI BBA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA RONCIGLIONE 3, presso lo studio dell'avvocato G F, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato P E, per delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MONZA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 14, presso lo studio dell'avvocato L M, che lo rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
e contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 34/2012 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 02/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;
uditi gli avvocati Emanuele PRINCIPI, Mario LIBERTINI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo nei confronti dei tre avvocati del foro di Milano;rigetto per il ricorso di C.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza il 24.6.2009 deliberava l'apertura di un procedimento disciplinare a carico di 5 avvocati (tra cui gli avv.ti B B, B N ed M A e C C M), il cui nominativo compariva in un inserto pubblicitario della rivista "City". Ai professionisti veniva contestata la violazione degli artt. 17/bis e 19 C.D.F. per avere diretto comunicazioni ed informazioni sulla propria attività professionale, utilizzando in modo improprio mezzi consentiti e comunque in modo incompleto rispetto alle indicazioni obbligatorie, con contenuto, forma e modalità irrispettose della dignità e decoro della professione, con locuzioni integranti messaggio pubblicitario e promozionale ad ampia divulgazione con la pubblicazione di un box pubblicitario sul quotidiano City.
All'esito il Coa irrogava a ciascuno la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio professionale per mesi 2. Il Consiglio Nazionale forense, adito dagli incolpati, sostituiva alla sanzione della sospensione, quella dell'avvertimento, con sentenza del 29.10.2011. Il CNF rigettava, anzitutto, l'eccezione di incompetenza territoriale, prospettata dai ricorrenti.
Nel merito il CNF riteneva che sussistesse l'illecito disciplinare, poiché il messaggio pubblicitario inserito nel box era connotato da slogan sull'attività svolta dal ricorrente, con grafica tale da porre enfasi sul dato economico e contenente dati equivoci, suggestivi ed eccedenti il carattere informativo, per cui il messaggio integrava modalità attrattiva della clientela con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità ed il decoro professionale, per la marcata natura commerciale dell'informativa sui costi molto bassi.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli avv.ti B B, B N ed M A e C C M.
Resiste con controricorso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Monza.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti B B, B N ed M A, avvocati iscritti presso l'Albo di Milano, lamentano la nullità della decisione del Consiglio Nazionale Forense, per aver rigettato l'eccezione di incompetenza del COA di Monza, in violazione dell'art. 38 l.p.f.. Assumono i detti tre ricorrenti che, essendo iscritti presso il l'Albo di Milano, non aveva competenza disciplinare su di loro il COA di Monza e che tale competenza non poteva essere fondata sul foro alternativo del luogo di commissione dell'illecito. Infatti il quotidiano dove appariva l'informazione era stampato e distribuito nella città e provincia di Milano, con la conseguenza che era irrilevante che qualche copia potesse anche giungere a Monza.
2.1 Il motivo è fondato e va accolto.
La decisione impugnata ha ritenuto la competenza a procedere disciplinarmente del COA di Monza sia perché uno dei quattro incolpati (C) era iscritto all'albo del COA di Monza, con conseguente competenza territoriale per connessione anche nei confronti degli altri 3 ricorrenti, iscritti all'albo del COA di Milano, sia perché in Monza si sarebbe verificato il fatto di incolpazione.
2.2. Osserva preliminarmente questa Corte che nella giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense vi è contrasto sull'applicabilità della connessione da cumulo soggettivo (nell'ipotesi che si proceda contro due o più iscritti all'ordine) ai fini della determinazione della competenza territoriale. Secondo un orientamento più risalente, conformemente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la competenza territoriale disciplinare è determinata dal luogo dell'iscrizione dell'incolpato ovvero dal luogo in cui si sono verificati i fatti oggetto di incolpazione. Non sono invece applicabili ai procedimenti disciplinari ne' il principio della connessione oggettiva proprio del processo penale (perché non richiamato dalla normativa disciplinare), ne' le regole sulla competenza per ragioni di connessione previste nel processo civile, in quanto ogni procedimento disciplinare deve ritenersi autonomo rispetto a quello contro altri incolpati (Cons. Naz. Forense 06-11- 1996r n. 151).
Secondo altro orientamento, sostanzialmente seguito dalla decisione impugnata, la competenza territoriale disciplinare è determinata dal luogo dell'iscrizione dell'incolpato, ovvero dal luogo in cui si sono verificati i fatti oggetto di incolpazione, secondo il principio della prevenzione, e la competenza è attribuita al C.d.O. che per primo abbia dato inizio al procedimento. Tale competenza può essere derogata, in caso di connessione di illeciti disciplinari consumati da più iscritti, sulla base dei principi in tema di cumulo soggettivo fissati dal codice di procedura civile (Cons. Naz. Forense 13-07-2001, n. 159). 2.3. Osserva preliminarmente questa Corte (riportandosi ad un principio già espresso, per quanto risalente, di queste S.U. sent. 13/04/1981, n. 2176) che, data anche la natura amministrativa della fase procedimentale davanti al Consiglio dell'Ordine Locale, nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati e procuratori, si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari che sono dettate dalla legge professionale per ogni singolo istituto ovvero, qualora manchino disposizioni specifiche si deve far ricorso alle norme del codice di procedura civile. Trovano applicazione le norme del codice di procedura penale invece, quando la legge professionale ne faccia espresso rinvio ovvero quando siano da applicare istituti, quali l'amnistia e l'indulto, che trovano la loro regolamentazione solo in detto codice.
2.4. Il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38 statuisce, per quanto qui interessa, che: "Salvo quanto è stabilito negli artt. 130, 131 e 132 c.p.p. e salve le disposizioni relative alla polizia delle udienze,
gli avvocati ed i procuratori che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale sono sottoposti a procedimento disciplinare.
La competenza a procedere disciplinarmente appartiene tanto al Consiglio dell'ordine che ha la custodia dell'albo in cui il professionista è iscritto, quanto al Consiglio nella giurisdizione del quale è avvenuto il fatto per cui si procede: ed è determinata, volta per volta, dalla prevenzione. Il Consiglio dell'ordine che ha la custodia dell'albo nel quale il professionista è iscritto è tenuto a dare esecuzione alla deliberazione dell'altro Consiglio". Il D.Lgt.C.P.S. n. 597 del 1947, art. 1 statuisce che "La competenza a procedere disciplinarmente in confronto dell'avvocato o del procuratore che è componente del Consiglio dell'ordine, appartiene al Consiglio costituito nella sede della Corte d'appello. Se egli appartiene a quest'ultimo, è giudicato dal Consiglio costituito nella sede della Corte d'appello più vicina".
2.5. Ne consegue che la materia della competenza territoriale è delineata completamente da disposizioni specifiche interne al procedimento disciplinare nei confronti degli avvocati. Pertanto non è possibile procedere all'applicazione in questo procedimento di norme relative al processo civile, in tema di modifica della competenza per ragioni di connessione, ed a maggior ragione di norme del procedimento penale, in assenza di un qualunque rinvio operato dalle norme specifiche che trattano della competenza nel procedimento disciplinare contro un avvocato.
In questi termini si è già pronunziata questa Corte con sentenza n. 23287 del 2010, dalla quale non vi è ragione di discostarsi. 2.6.Nella fattispecie la competenza territoriale disciplinare del Consiglio di Monza non poteva affermarsi nei confronti degli avvocati Barsellini, Bufano e Missaglia, iscritti all'albo presso il COA di Milano, per una pretesa vis actractiva fondata sulla connessione soggettiva, essendo il quarto incolpato C, iscritto all'albo del COA di Monza.