Cass. civ., sez. I, sentenza 14/12/2006, n. 26826

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Massime3

L'art. 634, secondo comma, cod. proc. civ. che, a seguito della modifica introdotta dall'art. 8, comma terzo, del d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito nella legge 20 dicembre 1995, n. 534, prevede che costituiscono prova scritta idonea all'emissione del decreto ingiuntivo le scritture contabili dell'imprenditore anche per i crediti relativi alle prestazioni di servizi, ha carattere innovativo e, dunque, ha efficacia solo per il futuro e non è applicabile ai decreti emanati prima della sua entrata in vigore.

Al fine di consentire tanto l'esatta individuazione del contenuto negoziale quanto i necessari controlli delle autorità tutorie, tutti i contratti stipulati dalla P.A., anche quando agisca "iure privatorum", richiedono la forma scritta "ad substantiam", con manifestazione della volontà negoziale da parte dell'organo rappresentativo abilitato a concludere negozi giuridici, in nome e per conto dell'ente pubblico, mentre devono ritenersi, all'uopo, inidonee le deliberazioni adottate da organi collegiali, aventi la caratteristica di atti interni, di natura meramente preparatoria della successiva manifestazione esterna della volontà negoziale, da trasfondere in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguire. Da ciò consegue che il contratto privo della forma scritta è nullo ed insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi, quindi, escludere l'attribuzione di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive, nonché a manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi.

La trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto; essa comporta, in particolare, soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali facenti capo alla originaria organizzazione societaria. Pertanto, la circostanza che nell'atto introduttivo dell'impugnazione sia stata indicata come parte istante la società anteriore alla trasformazione è ininfluente, purché non induca incertezza sull'identificazione della parte impugnante e l'impugnazione sia stata proposta da procuratore dotato di "ius postulandi" per averne avuto il relativo potere dal legale rappresentante all'epoca abilitato a rilasciare la procura in nome e per conto della società. (Nella specie, la Corte, sulla scia del principio come sopra affermato, ha ritenuto in concreto ininfluente che nel ricorso per cassazione figurasse come istante la precedente società, in quanto proprio il controricorrente, nel contestare la validità e l'ammissibilità dell'iniziativa avversaria, aveva richiamato la "trasformazione", mostrando di averne piena contezza).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 14/12/2006, n. 26826
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26826
Data del deposito : 14 dicembre 2006
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L G - Presidente -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. D C S - rel. Consigliere -
Dott. D C C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COOPERATIVA "INTEGRAZIONE SOCIALE" A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA VIALE PARIOLI

180, presso l'avvocato G R, rappresentata e difesa dall'avvocato M D, giusta procura a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
COMUNE DI F F, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G.

MAZZINI

113, presso l'avvocato R G rappresentato e difeso dall'avvocato T C, giusta procura a margine del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 59/02 della Corte d'Appello di LECCE, depositata il 31/01/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 11/10/2006 dal Consigliere Dott. S D C;

udito per il ricorrente, l'Avvocato MUSA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito per il resistente, l'avvocato G, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAFIERO

Dario, che ha concluso per la rimessione degli atti alle SS.UU..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto n. 1815 del 1995, il Presidente del Tribunale di Brindisi ingiunse al comune di Francavilla Fontana di pagare alla ricorrente Integrazione Sociale società cooperativa a r.l. la somma di L. 38.826.034, oltre interessi e spese, a titolo di integrazione delle rette mensili dovute, relativamente al periodo 30 settembre 1991 - 1 dicembre 1993, per il ricovero delle anziane Giovanna N e Grazia Meo, disposto dall'ente locale presso l'anzidetta società. Il Comune propose opposizione eccependo, preliminarmente, la illegittimità del decreto per difetto delle condizioni di ammissibilità previste dagli artt. 633 c.p.c. e segg.. Nel merito, dedusse che sin dal maggio 1989, a seguito del mancato stanziamento di fondi da parte dell'assessorato servizi sociali della regione Puglia, aveva comunicato il proprio disimpegno da qualsivoglia erogazione integrativa delle rette delle ricoverate, specificando che la relativa spesa sarebbe rimasta a carico di costoro o dei loro parenti. Eccepì che, in ogni caso, mancava il rapporto convenzionale scritto richiesto ad substantiam per la validità delle obbligazioni assunte e che per le somme invocate non era stata deliberata la copertura finanziaria necessaria L. n. 142 del 1990, ex art. 55. Nella resistenza della cooperativa, il Tribunale di Brindisi, in funzione di Giudice unico, rigettò l'opposizione e condannò il comune al pagamento delle spese di lite. Rilevò detto Giudice che la giunta municipale, deliberando il ricovero delle anziane in questione presso l'istituto opposto, aveva dato corso a un'attività obbligata ai sensi della L.R. n. 49 del 1981, art. 19. Attraverso l'atto amministrativo, il comune di Francavilla Fontana aveva manifestato la volontà di ricoverare le anziane e proposta siffatta, che apportava un vantaggio a terzi, era stata accettata dalla cooperativa. Peraltro, la prova testimoniale assunta aveva dimostrato che nessun'altra iniziativa era stata adottata dal Comune, il quale aveva sempre ricevuto i contributi per l'assistenza agli anziani dalla regione.
In accoglimento del gravame proposto dal soccombente comune, la Corte d'Appello di Lecce accolse l'opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e rigetto la domanda di pagamento avanzata dalla società opposta, che condannò al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Considerò la Corte che era fondata l'eccezione di illegittimità del decreto monitorio opposto, emesso su ricorso del 16 maggio 1995, poiché soltanto il D.L. 18 ottobre 1995, aveva introdotto la possibilità di richiedere decreto ingiuntivo sulla base delle scritture contabili anche per crediti rivenienti da prestazioni di servizi per imprenditori esercenti un'attività commerciale. Nel merito, non si era in presenza di un contratto, ancorché invalidamente concluso, ma di un comportamento privo di rilievi di sorta sul piano giuridico;
mancavano, infatti, sia una manifestazione di volontà dell'ente pubblico, proveniente dall'organo cui è dalla legge attribuita la legale rappresentane, previe le eventuali delibere di altri organi, sia la forma scritta ad substantiam. In precedenza, la giunta municipale, nell'ambito dei poteri connessi alle attività istituzionali esercitate a titolo oneroso (corrispondenti alle funzioni obbligatorie delegate ai comuni quali, tra le altre, l'assistenza e la beneficenza) e in applicazione della L.R. n. 49 del 1981, art. 19, aveva disposto con rituali delibere il ricovero della N e della Meo presso la casa di riposo gestita dalla cooperativa ingiungente e il relativo impegno di spesa per la integrazione delle rette pretese da quest'ultima era stato contenuto e soddisfatto in ben precisi limiti temporali. Successivamente, però, con numerose lettere il sindaco, in risposta ai solleciti di pagamento inoltrati dai responsabili della cooperativa, aveva fatto presente che la nota situazione economica in cui versava la regione Puglia non consentiva all'amministrazione comunale di provvedere alla integrazione delle rette, il cui onere sarebbe rimasto a totale carico delle famiglie. Manifesta era stata, quindi, la volontà della p.a. di recedere da qualsiasi impegno economico assunto oltre i termini indicati per iscritto nelle delibere adottate. Nè alcuna incidenza, nella fattispecie, poteva avere la circostanza che, di fatto, la Regione, negli anni in contestazione, avesse sempre corrisposto al Comune fondi per sopperire alle peculiari funzioni istituzionali di assistenza e beneficenza. Rientrava, infatti, nella discrezionalità dell'ente locale la concreta scelta della destinazione da dare ai fondi regionali che, intuitivamente, non potevano sopperire ad ogni richiesta di assistenza;
sicché legittima doveva considerarsi la condotta del Comune che, sempre nell'esercizio di un potere discrezionale, aveva revocato la propria disponibilità economica nei confronti delle assistite, benché ricorressero le condizioni che ne avevano legittimato il ricovero. Nulla era, quindi, dovuto dall'amministrazione comunale per il ricovero delle due anziane, con riferimento ai periodi non autorizzati per iscritto. Contro detta sentenza la Integrazione Sociale società cooperativa a r.l. ha proposto ricorso sostenuto da sette motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Francavilla Fontana. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il resistente Comune ha eccepito l'inammissibilità del ricorso perché proposto dalla Integrazione Sociale società cooperativa a r.l., da tempo trasformatasi nella cooperativa Maran Athà a r.l.;

inoltre, il mandato alle liti risulta conferito dal legale rappresentante della ormai inesistente cooperativa, del quale non vengono indicate le generalità ne' la carica e la cui firma non corrisponde al nome (T M) del presidente della cooperativa subentrata a quella cessata.
L'eccezione è infondata.
A tale specifico riguardo va anzitutto ricordato che, come questo Supremo Collegio ha avuto modo di precisare (cfr., e plurimis, Cass.nn. 2636/2005, 1199/2002, 13434/2002, 3638/1998, 1107/1998 7131/1994,
3713/1992, 3481/1987
), la trasformazione di una società da uno ad altro dei tipi previsti dalla legge, ancorché dotato di personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e correlativa creazione di uno nuovo, in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto;
essa comporta in particolare soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali facenti capo alla originaria organizzazione societaria.
Questo principio, a maggior ragione applicabile al caso - come appare quello in esame - di semplice mutamento della denominazione della cooperativa ricorrente da "Integrativa Sociale" a "Maran Athà", comporta che tale modifica non ha segnato l'estinzione del soggetto legittimato a stare in giudizio per l'esercizio del credito in discussione, essendosi esaurita per l'appunto nell'assunzione di una nuova denominazione da parte dello stesso soggetto. La circostanza che il ricorso per Cassazione, posteriore al cambiamento della denominazione sociale o comunque alla dedotta trasformazione, indichi come istante la Integrazione Sociale società cooperativa a r.l., cioè faccia ancora riferimento alla precedente (denominazione della) società, potrebbe astrattamente implicare solo una situazione di incertezza sull'identificazione della parte ricorrente (ai sensi ed agli effetti degli artt. 163 e 164 c.p.c.) e, quindi, non è in concreto influente, dato che proprio il Comune, nel contestare la validità e l'ammissibilità dell'iniziativa avversaria, ha richiamato la "trasformazione", mostrando di averne piena contezza. Restano da esaminare i riflessi del cambiamento di denominazione (o della trasformazione) sulla procura alla lite. Il ricorso è stato sottoscritto dall'avv. Donato Musa, in base a procura speciale a margine, conferita dal legale rappresentante della cooperativa a r.l. Integrazione Sociale. Tale mandato è idoneo a conferire lo ius postulandi, alla luce delle osservazioni sopra svolte in ordine al carattere non estintivo del mutamento di denominazione o comunque della trasformazione della società, alla stregua delle quali risulta altresì del tutto inconducente l'eccezione del controricorrente intesa a porre in dubbio la riferibilità della firma posta in calce alla procura al nominativo (T M) del nuovo presidente e legale rappresentante della cooperativa Haran Athà. Può dunque passarsi allo scrutinio dei motivi di ricorso. Con il primo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 633 c.p.c. e segg., e vizi motivazionali, censurando il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto illegittimo il decreto ingiuntivo emanato sulla base degli estratti autentici delle scritture contabili dell'imprenditore per crediti derivanti da prestazioni di servizi. Secondo la ricorrente, il requisito della prova scritta è integrato da ogni elemento o documento da cui possa ricavarsi la probabile esistenza del diritto azionato in via monitoria e, pertanto, anche dalle fatture emesse dal creditore e dall'estratto autentico dei libri contabili regolarmente vidimati. Il motivo è infondato.
Il testo originario dell'art. 634 c.p.c., nel disciplinare la prova scritta necessaria per avvalersi del procedimento d'ingiunzione, includeva, nel secondo comma, gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli artt. 2214 cod. civ. e segg., purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, ma limitatamente ai crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro fatte da imprenditori che esercitano un'attività commerciale. Esso, quindi, non comprendeva i crediti per prestazioni di servizi effettuate dagli stessi imprenditori, che risultano inclusi nell'attuale testo del dell'art. 634 c.p.c., comma 2, a seguito della modifica apportata a quest'ultima disposizione dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, art. 8, comma 3, come modificato dalla Legge Conversione 20 dicembre 1995, n.
534. Prima della modifica operata dal decreto legge, era discussa, in dottrina ed in giurisprudenza (di merito), la possibilità di estendere in via interpretativa il disposto dell'art. 634 c.p.c., comma 2, anche ai crediti dell'imprenditore per prestazioni di
servizi. La sentenza della Corte d'Appello qui impugnata si è indirettamente pronunziata contro detta estensione. La ricorrente non condivide tale interpretazione restrittiva ma non indica le ragioni per le quali questa sarebbe contraria a legge e militerebbero a favore dell'affermata estensione dell'art. 634 c.p.c., comma 2. Va poi rilevato che la formulazione letterale della recente modifica non contiene alcun elemento che faccia pensare a una norma interpretativa. Ad essa, perciò, per il suo tenore letterale, va attribuito un significato innovativo. Consegue che detta modifica, efficace per il futuro, va ritenuta inapplicabile ai decreti ingiuntivi emanati prima della sua entrata in vigore, come quello che è stato correttamente revocato dalla sentenza impugnata (cfr. Cass.nn. 740/2000, 195/1999).
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L.R. Puglia 31 agosto 1981, n. 49 (art. 19), "violazione e omessa applicazione del diritto fondamentale degli incapaci e inabili ad essere assistiti" e omessa motivazione. La predetta disposizione di legge prevede, senza margini di apprezzamento, l'obbligo del comune di provvedere all'assistenza economica degli anziani e di erogare le rette di ricovero agli enti, alle istituzioni ed associazioni che provvedono alla loro ospitalità in strutture di tipo residenziale a carattere sia temporaneo che permanente. A detto obbligo l'ente non può sottrarsi, rientrando fra i suoi fini istituzionali come tali assistiti da una previsione di spesa da ricavare all'interno del proprio bilancio comunale e consolidare con i finanziamenti regionali a tal fine demandati. Il motivo è inammissibile.
Esso, anzitutto, si limita a generiche enunciazioni di principio, prive di concreta attinenza con il percorso logico giuridico seguito dalla Corte leccese per addivenire al rigetto della domanda e incentrato sulla inesistenza di un obbligo contrattuale della amministrazione verso la cooperativa.
In secondo luogo, il mezzo prospetta una causa petendi del credito dedotto in lite della quale non v'è traccia in sentenza, ne' nelle conclusioni trascritte in epigrafe. Per negare ingresso alla pretesa dedotta in lite, il Giudice a quo ha, infatti, sottolineato la insussistenza di una convenzione tra ente e società avente a oggetto la prestazione in via sostitutiva di servizi in favore degli anziani per cui è causa. Tali ragioni, esplicitate a giustificazione del decisum in contrapposizione a quelle contenutisticamente speculari addotte a fondamento della domanda, non risultano contrastate dal motivo, con il quale, la ricorrente ha introdotto in processo un titolo nuovo e diverso rispetto quello enunciato a sostegno della pretesa azionata, fatta discendere non più da un accordo negoziale con l'ente territoriale ma direttamente da una disposizione di legge. Peraltro, sia detto per incidens, l'erogazione delle rette di ricovero agli enti, alle istituzioni, ad associazioni che provvedono all'ospitalità degli anziani non autosufficienti economicamente, in strutture di tipo residenziale a carattere sia temporaneo che permanente, prevista a carico del comune dalla L.R. Puglia 31 agosto 1981, n. 49, allo scopo di rendere effettivo l'esercizio del diritto
dei cittadini alla tutela della salute, al recupero ed al sostegno dello stato di benessere fisico, psichico e sociale, puntando essenzialmente alla prevenzione del disagio e del bisogno, sia sul piano sanitario, sia sul piano sociale, non sembra integrare un'obbligazione direttamente fissata dalla legge, perché trova titolo in un provvedimento amministrativo di natura concessoria e di carattere discrezionale, reso in esito alla verifica delle condizioni di assistibilità delle persone anziane, non specificate dalla legge, ma demandate alla potestà regolamentare dell'ente locale. Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia violazione ed erronea applicazione degli artt. 1173, 1175, 1321 e 1325 c.c., nonché contraddittoria, insufficiente e omessa motivazione. Il rapporto contrattuale, sostiene, è sorto a seguito dell'ordine di ricovero delle anziane presso la struttura della cooperativa disposto, su segnalazione del servizio sociale dal Comune, con la Delib. n. 774 del 1987, contenente tutti gli elementi necessari per essere fonte dell'obbligazione e in particolare l'impegno dell'ente di corrispondere l'integrazione delle rette mensili per la degenza. Non occorreva, quindi, un atto scritto da parte del sindaco. In ogni caso, l'obbligo in discussione derivava, ex art. 1173 c.c., ultima parte, dal fatto che l'impulso negoziale è pervenuto dal Comune attraverso i suoi organi. L'amministrazione comunale ha, comunque, dato volontaria esecuzione alla delibera, provvedendo alla consegna delle anziane e all'adempimento dell'obbligo di pagamento dell'integrazione delle rette sino al 1992;
pertanto, il contratto non può che ritenersi concluso. Del resto, la validità delle precedenti delibere e la loro idoneità a fondare la nascita della obbligazione per il periodo regolarmente adempiuto non è stata mai contestata nel corso del giudizio dal Comune, che ha invece eccepito la mancanza della forma scritta solo per il periodo in cui è rimasto inadempiente.
Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia testualmente "la violazione della normativa in materia di estinzione e revoca dei contratti", oltre a contraddittoria, omessa e insufficiente motivazione. La comunicazione sindacale del 2 luglio 1991 non poteva risolvere o estinguere un contratto o rapporto di assistenza concluso tra il Comune e la cooperativa. L'obbligazione assunta dall'ente territoriale tramite la indicata delibera della giunta municipale poteva essere revocata solo in forme equipollenti, ovverosia dallo stesso organo.
Con il quinto motivo, la ricorrente denunzia letteralmente "la violazione (della) disciplina in tema di custodia e affidamento", oltre a vizi motivazionali, Dopo aver consegnato e affidato le anziane, il Comune ha preteso di sciogliere il vincolo contrattuale senza stabilire le modalità di riconsegna delle anziane, laddove esso, tenuto per legge all'assistenza degli anziani indigenti, avrebbe dovuto liberare la cooperativa dall'obbligo di custodia conseguente al ricovero in precedenza ordinato. Come provato nel corso del giudizio, l'amministrazione comunale si era rifiutata di prendere in consegna le anziane e liberare la cooperativa dall'obbligo accessorio della relativa custodia, per di più minacciando di denunciarla per abbandono di incapace quando aveva accompagnato le due donne presso gli uffici comunali affinché fossero prese in affidamento, stante la "revoca" delle assunte obbligazioni.
I motivi testè riassunti vanno congiuntamente esaminati, ruotando intorno a un unico tema: l'esistenza di un rapporto contrattuale a seguito della delibera giuntale di ricovero delle anziane. Essi sono destituiti di giuridico fondamento.
La pronunzia impugnata si muove in ossequio all'indirizzo per il quale, giusta la regola generale contenuta nel R.D. 18 novembre 1923, n. 2240, artt. 16 e 17, i contratti delle pubbliche amministrazioni
devono essere redatti in forma scritta a pena di nullità e tradotti in documenti in cui sia consacrata la manifestazione della volontà negoziale da parte dell'organo rappresentativo abilitato a concludere, in nome e per conto dell'ente pubblico, negozi giuridici. La normativa speciale dettata in tema di contratti della p.a. prevale, infatti, sulla diversa disciplina dei rapporti tra privati, quale, ad esempio, quella dettata in tema di forme di conclusione del contratto.
In altri termini, i requisiti di validità dei contratti posti in essere dalla p.a., anche iure privatorum, attengono essenzialmente alla manifestazione della volontà e alla forma. La prima deve provenire dall'organo al quale è attribuita la legale rappresentanza, mentre la forma, a pena di nullità, deve essere scritta al fine precipuo di consentire i controlli cui l'azione amministrativa è sempre soggetta. Pertanto, ove manchi una manifestazione della volontà dell'ente pubblico, proveniente dall'organo al quale dalla legge ne è attribuita la legale rappresentanza, previe le eventuali delibere di altri organi, o la forma scritta ad substantiam, non si è in presenza di un contratto, ancorché invalidamente concluso, ma, come sottolineato dalla Corte Territoriale, a un comportamento di fatto privo di rilievi di sorta sul piano giuridico, mancando in radice quell'accordo tra le parti, presupposto dall'art. 1321 c.c., anche per il costituirsi di un contratto invalido e non opponibile ai terzi.
Da ciò consegue che il contratto privo della forma scritta ad substantiam in quanto nullo è insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi, quindi, negare rilevanza a eventuali convalide o ratifiche successive, nonché a manifestazioni di volontà implicite o desumibili da comportamenti puramente attuativi. In particolare, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, deve escludersi la conclusione di contratti per facta concludentia, ossia mediante inizio dell'esecuzione (della prestazione da parte del privato) secondo il modello di cui all'art. 1327 c.c.. La ratio di tale regola si rinviene nell'esigenza di identificare esattamente il contenuto negoziale e rendere possibile i controlli delle autorità;

finalità che resterebbe frustrata ove si ammettesse la validità di vincoli contrattuali implicitamente derivanti da atti non diretti a costituirli e non preceduti o seguiti, pertanto, dall'iter procedimentale previsto dalla legge. Nè può ritenersi sufficiente che la forma scritta riguardi la sola dichiarazione negoziale della pubblica amministrazione;
ai fini della conclusione del contratto resta, in particolare, irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale (consiglio o giunta) dell'ente pubblico, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente stesso e dal terzo contraente, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi. Detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all'ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell'ente legittimato ad esprimerne la volontà all'esterno e carattere meramente autorizzatorio.
Quand'anche, dunque, una deliberazione, con la quale l'organo collegiale di un ente abbia manifestato la volontà di impegnarsi, venga a indirizzata a un terzo in guisa di proposta e il destinatario, avuta notizia della deliberazione, direttamente proceda all'esecuzione dell'opera nella stessa prevista, si tratterebbe in ogni caso di procedimento del tutto inidoneo alla formazione di un valido rapporto contrattuale. Ciò in quanto non solo la volontà dell'ente non risulta validamente manifestata, non provenendo dall'organo attributario del relativo potere, ma anche il procedimento di formazione dell'accordo non risulta idoneo, giacché l'incontro del comune consenso non è stato formalizzato nei modi prescritti.
Di fronte a tali incontrastati principi (cfr., e plurimis, Cass. nn. 258/2005, 21138/2000 4, 5234/2004, 13431/2003, 7422/2002, 15488/2001, 59/2001, 15197/2000, 9682/1999, 5922/1999, 5642/1997, 5436/1995, 9762/1994), mostra tutta la sua inconsistenza la tesi di fondo dei motivi in questione e cioè che, pur in mancanza di un contratto sottoscritto dal sindaco e dalla cooperativa, ugualmente doveva ritenersi ritenuto perfezionato il vincolo negoziale, con tutte le relative conseguenze, valendo le delibere della giunta municipale, e le successive missive del sindaco, come proposta cui era seguita l'accettazione (implicita) della cooperativa;
le dedotte delibere giuntali non potevano costituire una proposta contrattuale nei confronti della cooperativa, ma un atto con efficacia interna all'ente pubblico, avente semmai per destinatario il sindaco, legittimato ad esprimerne la volontà all'esterno. Si appalesano, inoltre, assolutamente prive di rilevanza le argomentazioni concernenti la copertura finanziaria, l'esecuzione data dall'amministrazione comunale alle delibera di giunta, l'impossibilità di una "revoca" della medesime ad opera del sindaco e la violazione dì obbligazioni accessorie del contratto asseritamente concluso inter partes (e qualificato, con criptico argomentare, a favore di terzo). A parte il preciso riferimento temporale delle delibere richiamate, i pagamenti effettuati in esecuzione delle stesse costituivano riconoscimento di debito, sulla base della ritenuta utilità della prestazione erogata dalla cooperativa, esaurendo i loro effetti nei limiti temporali e quantitativi in cui sono avvenuti. Nessuna contraddizione è ravvisabile nel decisum della Corte salentina laddove riconosce che il Comune ha discrezionalmente eseguito quei pagamenti pur in mancanza di obbligo concreto di tipo negoziale e altrettanto discrezionalmente ritenuto di non dovere più pagare la integrazione delle rette di degenza alla cooperativa in assenza di convenzione. Del tutto estraneo al thema decidendum è l'arricchimento senza causa del comune conseguente al risparmio di spesa ottenuto per l'effettuata prestazione, da parte della cooperativa, di servizi (assistenza agli anziani) facenti carico all'ente. La ricorrente richiama inammissibilmente per la prima volta in questa sede la suddetta fonte di obbligazione.
Con il sesto motivo, la ricorrente denunzia la erronea applicazione della L. n. 66 del 1989 e "contraddittorietà, illogicità e difetto di motivazione". All'epoca della Delib. n. 774 del 1987, non era ancora vigente la L. n. 66 del 1989, pertanto non poteva essere affetto da nullità un contratto della p.a. privo di copertura finanziaria. Conseguentemente, la nota del sindaco non era idonea a risolvere il rapporto per la motivazione ivi indicata. Peraltro, un contratto non può essere invalidato per l'inosservanza di una norma di contabilità pubblica, qualificabile come norma di azione, che disciplina solo l'attività interna della p.a.. D'altra parte, nella specie la relativa spesa era prevista nel bilancio comunale, il Comune non ha mai motivato la inadempienza con l'insufficienza dei fondi o la mancanza di copertura finanziaria e la regione ha sempre concesso i finanziamenti;
del resto, quello dell'assistenza agli anziani è compito esclusivo e istituzionale del comune che ne deve tenere conto nel pianificare il bilancio di spesa, stanziandovi una certa somma da imputare alle entrate in esse inclusi i finanziamenti regionali.
Le argomentazioni contenute nel motivo non riguardano una delle ragioni fondanti delle adottate statuizioni. Come accennato in precedenza, la Corte Territoriale ha invero respinto la pretesa creditoria per la mancanza di una convenzione scritta stipulata dal sindaco e non per la nullità di una (inesistente) convenzione comportante un impegno di spesa non coperto in bilancio. Il riferimento fatto in sentenza alla mancanza della copertura finanziaria costituisce, all'evidenza, affermazione ultronea o ad abundantiam improduttiva di effetti giuridici e, come tale, insuscettibile di gravame, ne' di censura in sede di legittimità (cfr. Cass. nn. 11160/2004, 9963/2002, 10241/2000, 301/1996). Con il settimo e ultimo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell'art. 112 c.p.c., avendo condannato al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio, laddove nelle conclusioni di appello il comune chiese alla Corte di "condannare l'opposta alla rifusione di spese e competenze del presente giudizio". Il motivo è specioso prima ancora che infondato.
Nella richiesta di liquidazione delle spese del "presente giudizio" formulata in sede di precisazione delle conclusioni era chiaramente compresa la istanza di condanna della controparte anche alle spese del grado precedente;
irrazionale era, infatti, una interpretazione della domanda, comunque riservata al Giudice del merito, nel senso della sua limitazione al giudizio di appello.
infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi