Cass. civ., SS.UU., sentenza 06/03/2009, n. 5454
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In tema di demansionamento e relativo onere probatorio, il lavoratore può reagire al potere direttivo che assume esercitato illegittimamente prospettando circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia e, quindi, con un onere di allegazione di elementi di fatto significativi dell'illegittimo esercizio, mentre il datore di lavoro, convenuto in giudizio, è tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda (art. 416 c.p.c.) e può allegarne altri, indicativi, per converso, del legittimo esercizio del potere direttivo. (Nella specie, le S.U. hanno confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto infondata la domanda del lavoratore per la "carenza di ogni allegazione quanto alla natura demansionante dei compiti lavorativi afferenti allo specifico incarico").
In tema di riparto di giurisdizione nelle controversie proposte dai dipendenti dell'Ordine Mauriziano di Torino, ente ospedaliero di diritto pubblico, la domanda di restituzione del versamento spontaneamente effettuato dal dipendente, in epoca antecedente al 30 giugno 1998, a titolo di risarcimento del danno subito dall'Ordine per asserita "culpa in vigilando", onde sollecitare la revoca della sospensione cautelare inflitta dal datore di lavoro, benché effettuato senza riserva di ripetizione, si inserisce nel contesto del rapporto di pubblico impiego, sicché, trattandosi di un'obbligazione restitutoria legata al rapporto di lavoro, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo, a nulla rilevando, ai fini del collegamento con la giurisdizione, la pronuncia della Corte dei conti in ordine all'eventuale responsabilità contabile del dipendente, successivamente intervenuta.
È ammissibile, e non improcedibile, il ricorso per cassazione proposto da un lavoratore successivamente al commissariamento "ex lege" (disposto con d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, nella legge 29 novembre 2007, n. 222) della Fondazione Ordine Mauriziano, quale suo datore di lavoro, trovando applicazione in tal caso l'art. 30 del citato decreto-legge, che, al comma 3, prevede l'improcedibilità delle sole azioni esecutive e cautelari a titolo individuale, per preservare la "par condicio creditorum" (nella specie, si trattava invece di azione di cognizione ordinaria, relativa a demansionamento e ripetizione di indebito), ed al comma 8, rende applicabili, residualmente, le disposizioni dettate dalla legge fallimentare per la liquidazione coatta amministrativa, tra le quali l'art. 52 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, che prescrive l'accertamento dei crediti secondo le norme stabilite dal successivo Capo V, così da rendere applicabile anche la norma di cui all'art. 95, comma terzo (che, a seguito delle modificazioni recate dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, è attualmente contenuta nell'art. 96, comma secondo, n. 3 del medesimo r.d. n. 267), la quale, sia nella formulazione originaria, che in quella novellata, prevede che, per i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, il curatore (o il commissario liquidatore) possa proporre o proseguire il giudizio di impugnazione, dovendo estensivamente interpretarsi tale disposizione nel senso che costui possa anche essere legittimato passivo a subire l'impugnazione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. V P - Presidente di sezione -
Dott. P E - Presidente di sezione -
Dott. M M R - Presidente di sezione -
Dott. O M - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. M D C L - Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. A G - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 355/2008 proposto da:
R E, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICASOLI 7, presso lo studio dell'avvocato M R, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FONDAZIONE O M, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 4 6, presso lo studio dell'avvocato G G M, rappresentato e difeso dall'avvocato I D, giusta delega a margine 1 del controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 1715/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 20/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/01/2009 dal Consigliere Dott. G A;
uditi gli avvocati R M, D I;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per rigetto dei primi tre motivi (a.g.a.), riNvio per il resto ad una sezione semplice.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza del 18 febbraio 2005 il tribunale di Torino ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda proposta da Enrico R, già direttore amministrativo dell'Ospedale di Lanzo Torinese, nei confronti della Fondazione Ordine Mauriziano relativamente al preteso demansionamento patito sino al 30 giugno 1998, respingendo invece la domanda per quel che riguardava il periodo successivo. Inoltre in accoglimento parziale di un'ulteriore domanda del R, il tribunale ha condannato la Fondazione convenuta a restituire al ricorrente la somma di Euro 48.329,78, oltre rivalutazione monetaria ed interessi. 2. Contro tale decisione ha proposto appello la Fondazione Ordine Mauriziano, sostenendo la carenza di giurisdizione in capo al giudice adito anche per ciò che concerneva la domanda di ripetizione di indebito accolta dal primo giudice, e comunque ribadendone nel merito l'infondatezza.
Si è costituito il Dott. R, in primo luogo affermando l'infondatezza dei motivi del gravame proposto dall'appellante. In via di appello incidentale, ha riproposto le proprie deduzioni circa il demansionamento che gli sarebbe stato inflitto a partire dal 1995, sostenendo, quanto alla giurisdizione, l'unicità della condotta ed il carattere permanente della dequalificazione perpetrata ai suoi danni, con la conseguente affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
3. Con sentenza del 15 novembre - 20 dicembre 2006 la Corte d'appello di Torino, in accoglimento dell'appello principale, dichiarava la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in merito alla domanda di ripetizione dell'indebito;respingeva l'appello incidentale;
condannava l'appellato a rimborsare all'appellante principale le spese del doppio grado.
Osservava che il Dott. R, all'epoca direttore amministrativo dell'Ospedale di Lanzo, è stato sospeso dal servizio a seguito di controlli ispettivi sul pagamento dei tickets sanitari del presidio;
in data 26.6.1995 egli ha provveduto a versare all'Ordine l'importo corrispondente all'ammanco verificatosi (L. 93.579.000), "potendosi ipotizzare una responsabilità di cassa ... in relazione ad una omessa vigilanza nei confronti dell'operatore tecnico P R", chiedendo contestualmente la revoca del provvedimento di sospensione cautelare disposto nei suoi confronti. A seguito dell'istruttoria penale, è stata riconosciuta la penale responsabilità del P in ordine ai fatti accertati;il GIP ha invece disposto l'archiviazione della notizia di reato nei confronti del Dott. R. Per quel che riguarda il profilo disciplinare, egli ha dovuto subire la sospensione dalla qualifica per due mesi, provvedimento peraltro assorbito nella disposta sospensione cautelare. Nella stessa occasione (nel 1995) egli è stato assegnato in via definitiva al Servizio Affari Generali e Legali dell'Ordine Mauriziano, in posizione di staff alla Direzione Generale, in particolare con incarichi di studio della normativa relativa al D.Lgs. n. 626 del 1994. Tale incarico egli aveva ricoperto sino all'agosto 1999, quando gli era stato assegnato un nuovo incarico dirigenziale sub apicale, con funzioni di coordinamento delle attività dell'Ufficio Relazioni con il Pubblico. In particolare la Corte d'appello ha ritenuto che l'eccezione di difetto di giurisdizione era fondata anche con riferimento alla pretesa resistitutoria della somma corrisposta dal R all'appellante. L'importo in oggetto era stato versato dal Dott. R con la motivazione risultante dalla lettera autografa di accompagnamento al pagamento del seguente tenore: "Essendosi verificato un ammanco di cassa non addebitabile allo scrivente ma in ogni caso verificatosi nell' ambito di attività che erano sottoposte al controllo del sottoscritto;potendosi ipotizzare una responsabilità di cassa in capo allo scrivente in relazione ad una omessa vigilanza nei confronti dell'Operatore tecnico P R, lo scrivente ritiene di dover rifondere la cifra mancante riservandosi la rivalsa nei confronti dello stesso".
Secondo la Corte d'appello il fatto generativo dei presupposti per la ripetizione di indebito non poteva dirsi verificato solo nel 1999 (ossia in epoca successiva al passaggio di giurisdizione al giudice ordinario per le questioni di pubblico impiego) con la decisione assolutoria del R della Corte dei Conti nell' ambito del giudizio per responsabilità erariale intentato dalla Procura. Tale giudizio contabile infatti ha avuto un oggetto affatto diverso e non coincidente con l'esborso operato oltre quattro anni prima;in particolare era diversa la somma richiesta, di L. 75.256.400, pari al danno erariale residuato dopo il versamento della somma da parte del Dott. R, che in una prima fase del giudizio contabile era stata posta a suo carico solo in ragione del 50%, venendo accollata l'altra metà al P.
Quanto al carattere demansionante dei nuovi incarichi, osservava la Corte d'appello che il R si era limitato ad affermare che si trattava di posizioni dirigenziali subapicali. La pretesa lesione del diritto era fatta discendere dal provvedimento datoriale, capace di incidere sulla destinazione lavorativa e di determinare il nuovo contenuto professionale della prestazione, del cui successivo svolgimento però nulla deduceva il R. In generale -riteneva la Corte territoriale - nel caso in cui si faccia riferimento ad atti negoziali del datore di lavoro asseritamente pregiudizievoli e direttamente incidenti sul rapporto di lavoro, dedotti a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio, si deve avere riguardo al momento di emanazione dei medesimi. Era dunque corretta la decisione del primo giudice che aveva negato la propria giurisdizione in relazione al primo dei provvedimenti, risalente appunto al 1995. Quanto al secondo provvedimento, patimenti fonte di demansionamento, la Corte d'appello - confermando la pronuncia del tribunale - ha ritenuto infondata la domanda, per carenza di ogni allegazione quanto alla natura demansionante dei compiti lavorativi afferenti allo specifico incarico. Non era provato che la funzione di direttore amministrativo di presidio ospedaliero, prima ricoperta dal R, si configurasse come incarico dirigenziale di struttura complessa avente carattere apicale, mentre i successivi incarichi ricoperti si qualificassero come subapicali, giacché non concernenti la direzione ovvero gestione di strutture complesse. Poiché gli oneri di allegazione prima, e di prova poi, gravavano sulla parte attrice, che non risultava di avervi in alcun modo adempiuto, la Corte territoriale riteneva di dover confermare la pronuncia del tribunale anche su questo specifico punto. 4. Avverso tale sentenza il R ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Resiste la parte intimata con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE