Cass. civ., sez. III, ordinanza 23/06/2021, n. 17950

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La sentenza non definitiva che accerti l'esistenza di un inadempimento contrattuale e del conseguente danno preclude allo stesso giudice la possibilità, al momento della relativa liquidazione nella sentenza definitiva, di negare la sussistenza di tale danno per mancanza di prove, sicché, a fronte dell'impossibilità o della particolare difficoltà di determinarne l'ammontare, il giudice, anche d'ufficio, deve fare ricorso al potere discrezionale di liquidazione equitativa, nell'esercizio del quale deve dare rilievo al materiale istruttorio in atti, sulla cui base già è stato accertato l'inadempimento e ritenuta provata l'esistenza del danno ad esso conseguente.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 23/06/2021, n. 17950
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17950
Data del deposito : 23 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

17950 -21 G E N . T O N . ORIGINALE F LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Oggetto RESPONSABILITÀ TERZA SEZIONE CIVILE PROFESSIONISTI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Sentenza non definitiva - Dott. R FCA - Presidente - Accertamento dell'esistenza di un Dott. ENRICO SCODITTI Consigliere - - inadempimento contrattuale e del Dott. E I - Consigliere - conseguente danno Successiva Rel. Consigliere - Dott. S G GI liquidazione con sentenza definitiva Dott. M G - Consigliere - - Rigetto della domanda per ha pronunciato la seguente mancanza di prove ORDINANZA Illegittimità. R.G.N. 24340/2018 sul ricorso 24340-2018 proposto da: Cron. 17950 RIMA BORGHETTI RICCARDO & C SNC, elettivamente domiciliato Rep. in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio Ud. 18/01/2021 deii 'Avvocato NICOLA DOMENICO PETRACCA, che io rappresenta e difende unitamente all'Avvocato RICCARDO DIAMANTI;
CC -· ricorrente - Q

contro

FARUSI ERMANA, FARUSI ELIANA, elettivamente domiciliate in Monza, VIA PARRAVICINI 30, presso lo studio dell'Avvocato ROBERTO CERRATO, che le rappresenta e difende;

- controricorrenti -

2021 217 avverso la sentenza n. 753/2017 della CORTE D'APPELLO di GVA, depositata il 12/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2021 dal Consigliere Dott. S G GI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA.

FATTI DI CAUSA

1. La società RI.MA. di Boghetti Riccardo & C. S.n.c. (d'ora in poi, società "RI.MA.") ricorre, sulla base di sei motivi, per la Cassazione della sentenza non definitiva n. 400/16, del 7 aprile 2016, e di quella definitiva n. 753/17, del 31 maggio 2017, della Corte di Appello di Genova, che dopo avere, l'una, dapprima - condannato Ermana ed Eliana Farusi al risarcimento del danno, in favore dell'odierna ricorrente, conseguente a mancata erogazione dalla cassa integrazione guadagni straordinaria dal 22 maggio 1994 al 14 luglio 1994, nonché, l'altra, rigettato il gravame esperito dalla predetta società avverso la sentenza n. 362/10, del 4 maggio 2010, del Tribunale di Massa respingevano la - domanda risarcitoria proposta dalla società avverso le predette Ermana ed Eliana Farusi.

2. In punto di fatto, la ricorrente riferisce che, a seguito di crisi aziendale verificatasi negli anni dal 1992 al 1994, essa acconsentì au avviare la procedura di Cassa integrazione guadagni straordinaria per il periodo dal 22 novembre 1993 al 22 novembre 1994, diviso in due semestri, rivolgendosi, per lo svolgimento delle pratiche, allo studio associato di cui erano titolari le Farusi. Riferisce, altresì, che le domande per i due semestri che ai sensi dell'art. 2 della legge 23 luglio 1991, n. 223, avrebbero dovuto essere presentate, rispettivamente, il 25 dicembre 1993 e 25 giugno 1994 vennero entrambe ritenute tardive dai Ministero del lavoro. Ed esattamente, la prima, perché – sebbene - 2 inviata il 23 dicembre 1993 - perveniva il successivo 28 dicembre, la seconda essendo stata, invece, presentata quasi un mese dopo la scadenza del relativo termine, ovvero 22 luglio 1994. In conseguenza di ciò, essendo stati esclusi dalla cassa integrazione guadagni i periodi compresi tra il 22 novembre e il 20 dicembre 1993. nonché quelli tra il 22 maggio e il 26 luglio 1994, la società odierna ricorrente si vedeva costretta in ragione di una controversia di lavoro instaurata da dieci suoi dipendenti, i quali avevano conseguito, in corso di causa, un sequestro conservativo su beni della stessa società, per crediti da retribuzioni nún corrisposte ammontanti ad € 129.114,23 - ad una conciliazione con i medesimi, all'esito della quale la società sosteneva un esborso complessivo di € 28.405.13 (oltre € 10.329.13 per spese legali dei dipendenti, più € 9.994,89 per quelle proprie). Un ulteriore esborso, poi, di € 11.206,17 veniva sostenuto dalla RI.MA. nei confronti di altri suoi sette dipendenti, che avevano avanzatu analoga richiesta, senza però instaurare alcuna causa ui lavoro. Ciò premesso, lamentando la società in ragione del comportamento delle Farusi un danno complessivo pari ad € 51.455.82 (visto che dalla sommatoria degli esborsi sopra ricordati erano da detrarre le somme poi erogate dall'INPS ai lavoratori, in virtù dell'accoglimento dei ricorsi amministrativi contro la mancata concessione del trattamento dal 22 novembre al 21 dicembre 1993, e poi dal 15 al 26 luglio 1994), essa adiva il Tribunale di Massa per far valere la responsabilità delle due professioniste. per aver tardato nella presentazione delle domande. Respinta dal primo giudice la domanda risarcitoria, la Corte di Appello, in merito al gravame esperito dall'attrice soccombente, dopo aver inizialmente rinviato la causa a precisazione delle conclusioni, sul presupposto che in caso di accoglimento della 3 domanda la liquidazione del danno potesse avvenire con un semplice calcolo senza la necessità del ricorso ad una CTU, con la sentenza non definitiva n. 400/16 in relazione alla quale la - società RI.MA. formulava riserva di gravame condannava le Farusi a risarcire il danno per mancata erogazione della cassa integrazione guadagni, sebbene limitatamente al periodo dal 22 maggio al 14 luglio 1994 (danno, più esattamente, da commisurarsi agli importi che la società datrice di lavoro aveva dovuto corrispondere ai propri dipendenti a titolo di retribuzione). La Corte genovese rimetteva, nei contempo, ia causa in istruttoria, per determinare, tramite consulenza tecnica d'ufficio, l'esatto ammontare del danno. Peraltro, nel corso delle operazioni peritali, l'ausiliario del giudice presentava istanza per l'acquisizione di documentazione necessaria a rispondere al quesito, istanza rigettata, tuttavia, dalla Corte territoriale. Il consulente d'ufficio, quindi, dopo aver tramesso alle parti la bozza della propria relazione tecnica, depositava l'elaborato, nel quale affermava l'impossibilità di effettuare il conteggio richiesto senza i documenti dei quali era stata richiesta, invanu, l'acquisizione. Veniva, infine, respinta dai giudice di appello pure l'istanza con cui parte appellante, ribadiva l'offerta - già tempestivamente indirizzata dal proprio consulente a quello d'ufficio, in occasione del deposito della bozza della relazione tecnica di fornire ogni documento utile al calcolo delle - retribuzioni corrisposte e, dunque, alla risposta dell'ausiliario del giudice al quesito formulato. La Corte territoriale, dunque, con la sentenza definitiva rigettava la domanda risarcitoria, sul presupposto che il consulente d'ufficio avesse accertato l'impossibilità di rispondere al quesito, ciò che ostava pure alla liquidazione equitativa del danno, visto che il mancato accertamento del suo preciso ammontare non dipendeva dall'impossibilità di provarlo, bensì dalla condotta processuale dell'attrice/appellante, per non avere essa prodotto la documentazione in suo possesso.

3. Avverso le due pronunce della Corte genovese ricorre per - -come detto di sei cassazione la società RI.MA., sulla base motivi, i primi due indirizzati avverso la sentenza non definitiva, gli altri quattro, invece, contro quella definitiva.

3.1. Il primo motivo - proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. denuncia violazione degli artt. 1223, 1225 e 1227, comma 2, cod. civ. Si censura la sentenza non definitiva nella parte in cui la Corte territoriale afferma come "la responsabilità delle odierne appellate emerga dalle risultanze processuali ma non abbia l'estensione prospettata dall'appellante, né abbia prodotto le conseguenze dalla stessa ipotizzate”. Ci si duole, in particolare, del fatto che la sentenza non definitiva abbia circoscritto il danno astrattamente risarcibile, patito da essa ricorrente, negli “importi che la società datrice di lavoro ha dovuto risarcire ai propri dipendenti a titolo di retribuzioni" dal 22 maggio al 14 luglio 1994, escludendo, invece, ogni altro versamento "correlato agli accordi transattivi stipulati con i dipendenti", in quanto "non costituisce conseguenza immediata e diretta, ai sensi dell'art. 1223 cod. civ., dell'inadempimento", e ciò perché nel rapporto causale tra la condotta delle Farusi e il danno lamentato "hanno interferito fatti" ovvero, "le iniziali decisioni del Ministero e l'autonoma valutazione ad opera dell'appellante della convenienza di un accordo transattivo in pendenza dei ricorsi" avverso di esse che - "non sono ad esse imputabili". Assume, per contro, la ricorrente che tutti gli esborsi da essa effettuati (come sopra ricostruiti) erano "non solo prevedibili, come richiesto dall'art. 1225 cod. civ., ma anche conseguenza 5 immediata e diretta dell'inadempimento dello Studio Farusi", e ciò alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nella determinazione, ex art. 1223 cod. civ., dell'intero danno cagionato deve essere attribuito rilievo alle serie causali che, nel momento in cui si produce l'evento, "non appaiono del tutto inverosimili, come chiesto dalla c.d. teoria della causalità adeguata". In particolare, il giudice di appello "avrebbe dovuto considerare quali effetti dell'inadempimento", (ovvero, del ritardo nella presentazione delle domande), riscontrato a carico dello Studio Farusi, "le conseguenze delle azioni legali avviate dai lavoratori". Quanto, invece, all'accoglimento dei ricorsi amministrativi in relazione al diniego della cassa integrazione guadagni straordinaria (accoglimento integrale, per il primo semestre e parziale, invece, per il secondo), tale evenienza non avrebbe dovuto essere considerata idonea ad interrompere il nesso causale, ma solo a ridurre il danno, tanto che gli importi restituiti in accoglimento dei ricorsi "sono stati portati in detrazione nella richiesta risarcitoria". Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe "incorsa anche nella violazione dell'art. 1227, comma 2, cod. civ.", dal momento che non ha considerato che l'accordo transattivo, intervenuto con quei dipendenti che non avevano fatto causa, nonché il successivo pagamento agli stessi di importi parametrati ai trattamenti di cassa integrazione non percepito, hanno consentito di ridurre il danno. -3.2. Il secondo motivo proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. denuncia nullità della sentenza non definitiva per "error in procedendo", per violazione degli artt. 112 e 61 cod. proc. civ. Si censura, nuovamente, la decisione della Corte ligure di commisurare il danno (solo) "agli importi che la società datrice di 6 lavoro ha dovuto corrispondere a titolo di retribuzioni” nel periodo dal 22 maggio al 14 luglio 1994, giacché il giudice di appello sarebbe incorso nel vizio di extrapetizione, visto che essā RI.MA. non ha mai chiesto quale voce di danno le retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti, non avendole erogate per i periodi dal 22 novembre al 20 dicembre 1993 e. poi, dal 22 maggio al 14 luglio 1994. Inoltre, sarebbe stato violato l'art. 61 cod. proc. civ., in quanto, ai fini della liquidazione del danno richiesto, come sopra individuato, sarebbe bastatu come del resto ritenuto, inizialmente, dalla stessa Corte territoriale - "un semplice calcolo matematico per la cui esecuzione non è richiesta l'assistenza di un consulente tecnico".

3.3. Il terzo motivo - proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – deduce violazione dell'art. 115 cod. proc. Civ. Si censura la sentenza definitiva, pronunciata dalla Corte genovese, nella parte in cui ha ritenuto di non poter prendere in considerazione il conteggio, proposto dall'odierna ricorrente per quantificare il danno commisurato alle retribuzioni non percepite dai dipendenti di essa RI.MA. dal 22 maggio al 14 luglio 1994, in quanto ritenuto non idoneo "ad accertare il danno effettivo ma solo la sua entità approssimativa". Si trattava, per contro, secondo la ricorrente, di un conteggio "effettuato utilizzando dati processualmente acquisiti" (ovvero, la misura delle retribuzioni che i dieci dipendenti avevano richiesto nella controversia di lavoro poi oggetto di conciliazione, nonché, per gli altri sette dipendenti che non avevano adito l'autorità giudiziaria, i prospetti per il calcolo delle somme spettanti nel periodo di cassa integrazione non concessa), dati mai contestati dalla difesa delle Farusi. 7 Di qui, pertanto, l'ipotizzata violazione dell'art. 115 Cost.

3.4. Il quarto motivo – proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. deduce "error in procedendo", per violazione dell'art. 345, comma 3, cod. proc. civ. La ricorrente censura la sentenza definitiva in quanto la Corte territoriale avrebbe illegittimamente respinto - come già l'istanza di acquisizione documenti avanzata dal CTU - quella con cui la propria difesa aveva offerto la produzione, all'ausiliario del giudice, affinché ii medesimo procedesse al conteggio demandatogli, dei seguenti documenti: buste paga dei dipendenti nel periodo anteriore a quello oggetto di accertamento;
fogli di presenza dei mesi da maggio a luglio 1994 attestanti l'assenza di ore lavorative;
i conteggi sindacali prodotti dai dieci dipendenti E che avevano incardinato la già più volte menzionata causa di lavoro e, infine, i prospetti relativi alle somme che avrebbero avuto diritto a percepire, a titolo di cassa integrazione guadagni, gli altri sette dipendenti. Orbene, il giudice di appello avrebbe dovuto ammettere la produzione di tali documenti, ai sensi del comma 3 dell'art. 345 cod. proc. civ., "nel testo applicabile ratione temporis", che ne subordina l'acquisizione alla sola condizione che gli stessi non furono prodotti dalla parte in primo grado per causa ad essa non imputabile", giacché, nella specie, l'esigenza dell'acquisizione si determinò solo dopo la formulazione del quesito al CTU, non risultando, inoltre, dipendente da carenze di allegazione e/o di produzione della parte.

3.5. Il quinto motivo - proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. deduce "error in procedendo" per - violazione dell'art. 194 cod. proc. civ. 8 La mancata autorizzazione all'acquisizione dei documenti "de quibus" è contestata anche in relazione alla violazione dell'art. 194 cod. proc. civ., che consente al CTU di acquisire d'ufficio la all'espletamento della propriadocumentazione necessaria indagine tecnica.

3.6. Infine, il sesto motivo proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - deduce violazione dell'art. 1226 cod. civ. Si censura la sentenza definitiva nella parte in cui ha ritenuto precluso il ricorso al potere di liquidazione equitativa del danno sul presupposto che il mancato accertamento del suo preciso ammontare non dipendesse dall'impossibilità di provarlo, bensì dalla condotta processuale dell'attrice/appellante, per non avere essa prodotto la documentazione in suo possesso. E La ricorrente, nel rilevare che costituiva "fatto pacifico" donde l'ipotizzata violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. ii mancato versamento della retribuzione nel periodo oggetto dell'indagine tecnica del consulente, per non avere i dipendenti lavorato, contesta l'affermazione suddetta, non potendo ritenersi che la mancata quantificazione del danno fosse dipesa dal proprio comportamento processuale. Essendo, per contro, l'esistenza del danno certa, la sua quantificazione ben avrebbe potuto compiersi equitativamente, secondo il disposto dell'art. 1226 cod. civ.

4. Hanno resistito, con controricorso. all'avversaria impugnazione le Farusi, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, sotto plurimi profili, ovvero, in subordine, il rigetto. In particolare, le controricorrenti sottolineano la correttezza della decisione adottata di escludere il risarcimento dei danni, 9 evidenziando la propria assenza di responsabilità nonché la necessità, affinché il CTU potesse espletare il proprio incarico, di conoscere le retribuzioni dei dipendenti della società RI.MA. Difatti, ai sensi dell'art. 2 della legge 22 febbraio 1968, n. 115, l'integrazione salariale corrisponde all'80% della retribuzione che il dipendente avrebbe percepito per le ore di lavoro non prestate. mentre, nella specie, sarebbe risultato che parte attrice non ha mai prodotto, in nessun stato del giudizio, i contratti di lavoro e le buste paga dei dipendenti, impedendo di ricostruire l'ammontare delle loro retribuzioni mensili. Quanto, poi, all'asserita violazione dell'art. 345, comma 3, cod. proc. civ., le controricorrenti sottolineano come, ai sensi del testo attualmente vigente di detta norma, sia venuto meno il presupposto della "indispensabilità” della prova, sicché l'unica condizione alla quale è subordinata la "nuova" prova in appello è र्जे quella, nella specie non sodisfatta, che la precedente produzione non fosse stata possibile per caso fortuito o forza maggiore.

5. Ha presentato memoria la ricorrente, insistendo nelle proprie censure. RAGIONI DELLA DECISIONE 6. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito meglio precisati, ovvero in relazione al suo sesto motivo.

6.1. Il primo ed il secondo motivo che hanno carattere pregiudiziale, indirizzandosi avverso la sentenza non definitiva della Corte genovese, già oggetto di riserva di impugnazione - sono inammissibili, per varie ragioni. 10 6.1.1. In relazione, in particolare, al primo motivo di ricorso, deve osservarsi come tale esito discenda, innanzitutto, dalla violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. Invero, la ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata non avrebbe considerato - ai fini della

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