Cass. civ., sez. I, sentenza 17/12/2003, n. 19309
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In materia di attribuzione di una quota dell'indennità di fine rapporto al coniuge titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, l'art. 12-bis, lege n. 898 del 1970, nella parte in cui disciplina il relativo diritto, va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge se l'indennità spettante all'altro coniuge sia già maturata alla data di proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o maturi successivamente ad essa, in coerenza con la natura costitutiva della sentenza di divorzio e con la possibilità, ai sensi dell'art. 4, decimo comma, legge n. 898 del 1970, di stabilire la retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio a far data dalla domanda.
In materia di attribuzione di una quota dell'indennità di fine rapporto al coniuge titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze (art. 12-bis, legge n. 898 del 1970), la locuzione 'indennita' di fine rapportò comprende tutti i trattamenti di fine rapporto - derivanti sia da lavoro subordinato, sia da lavoro parasubordinato- comunque denominati, che siano configurabili come quota differita della retribuzione, condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro; pertanto, l'indennità premio di servizio erogata dall'INADEL (al quale è subentrato l'INPDAP) prevista dall'art. 2, legge n. 152 del 1968, per i dipendenti degli enti locali, già configurata dalla giurisprudenza costituzionale come sostanzialmente equivalente, nella struttura normativa e nella finalità, alla indennità di buonuscita stabilita per i dipendenti statali (sentenze n. 46 del 1983, n. 110 del 1981, n. 115 del 1979), e completamente equiparata a quest'ultima a seguito delle modifiche introdotte dagli artt. 6 e 7, legge n. 29 del 1979 e 22, d.l. n. 359 del 1987, conv. Nella legge n. 440 del 1987, deve essere compresa tra le indennità di fine rapporto previste dall'art. 12-bis legge n. 898 del 1970, in quanto costituisce una parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione è differita alla data di cessazione del rapporto,
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo PROTO - Presidente -
Dott. Ugo VITRONE - Consigliere -
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Consigliere -
Dott. Giuseppe Vito Antonio MAGNO - Consigliere -
Dott. Paolo GIULIANI Rel. - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NI GU, elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Bazzoni n. 1, presso lo studio dell'Avv. Vincenzo Stazzone, rappresentato e difeso dall'Avv. Giuseppe Di Pietro in forza di procura speciale a margine del ricorso principale;
- RICORRENTE PRINCIPALE -
CONTRO
IU TR, rappresentata e difesa dall'Avv. Fortunato Dattola del foro di Reggio di Calabria in forza di procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;
- CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE -
avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina n. 482/2000 pubblicata il 19.12.2000. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30.6.2003 dal Consigliere Dott. Paolo Giuliani.
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Russo, il quale ha concluso, previa riunione, per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 10.9.1993, IU IS, premesso di avere in data 6.7.1967 contratto matrimonio concordatario con NI LL dal quale erano nati due figli ormai maggiorenni e premesso altresì che mediante decreto del 22-23.2.1985 il Tribunale di Messina aveva omologato la separazione consensuale intervenuta tra i coniugi, chiedeva che lo stesso giudice pronunciasse la cessazione degli effetti civili del matrimonio anzidetto, dietro conferma, a titolo di assegno di divorzio, dell'assegno di mantenimento già pattuito in sede di separazione (pari a lire 500.000 mensili) e quindi spontaneamente elevato (a lire 700.000) dal medesimo obbligato, nonché dietro riconoscimento del diritto a percepire il quaranta per cento del trattamento di fine rapporto di lavoro che il LL avrebbe percepito all'atto della relativa cessazione di questo.
Costituendosi in giudizio, il già nominato LL chiedeva di contenere l'assegno di divorzio in lire 500.000 mensili e di liquidare alla IS il quaranta per cento non della somma puramente e semplicemente percepita per la causale dianzi indicata ma della percentuale di tale somma che fosse risultata corrispondente alla durata del rapporto coniugale. Il Tribunale adito, con sentenza del 18.11.1998-1.3.1999, dichiarava cessati gli effetti civili del matrimonio contratto dalla ricorrente con il LL e condannava quest'ultimo a corrispondere alla prima l'assegno di divorzio di lire 700.000 mensili, nonché la somma (di lire 38.799.412) pari al quaranta per cento del trattamento di fine rapporto corrisposto all'obbligato all'atto del suo pensionamento, compensando le spese del procedimento.
Avverso la decisione, proponeva appello il LL, chiedendone la riforma sulla base di tre motivi.
Resisteva nel grado l'appellata, chiedendo il rigetto dell'avverso gravame e spiegando, a propria volta, appello incidentale, con cui domandava l'innalzamento della misura dell'assegno di divorzio, da rivalutare annualmente secondo gli indici ISTAT.
La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 27.11-19.12.2000, disponeva che il predetto assegno venisse come sopra rivalutato e riduceva (a lire 32.895.153) la somma dovuta dall'appellante all'appellata a titolo di trattamento di fine rapporto, confermando nel resto l'impugnata sentenza e compensando tra le parti le spese del secondo giudizio.
Assumeva detto giudice:
a) che fossero rimaste sfornite di prova le affermazioni del LL secondo le quali l'ex coniuge esercitava attività lavorativa (di sarta), risultando proprietaria dell'alloggio occupato fino a poco tempo prima e convivendo more uxorio con altra persona presso l'abitazione di quest'ultima;
b) che non potesse, da sola, giustificare una riduzione dell'emolumento divorzile la circostanza che anche il secondo dei due figli, al pari del primo, non convivesse più con la madre e si fosse reso economicamente autosufficiente;
c) che dovesse venire disattesa la richiesta di aumento dell'assegno genericamente avanzata dalla IS;
d) che competesse a quest'ultima il quaranta per cento dell'indennità di fine servizio percepita dall'appellante in occasione del suo pensionamento, dovendo il relativo diritto riconoscersi pure nel caso in cui detta indennità fosse venuta a maturazione prima della sentenza di divorzio, quando al coniuge non era stato ancora attribuito in modo definitivo il relativo assegno;
e) che nel calcolo della quota da corrispondere alla IS dovesse essere computata l'indennità premio di fine servizio, laddove, però, detta quota risultava pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio;
f) che sussistessero giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del grado.
Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione il LL, deducendo due motivi di gravame cui resiste con controricorso la IS, la quale, a propria volta, spiega ricorso incidentale ugualmente affidato a due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve, innanzi tutto, essere ordinata la riunione di entrambi i ricorsi, relativi ad altrettante impugnazioni separatamente proposte contro la stessa sentenza.
Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente principale violazione dell'art. 156 c.c. e dell'art. 5, comma sesto, della legge n. 898/1970, come modificata dalla legge n. 74/1987, in
relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., assumendo:
a) che la Corte di merito ha errato nella valutazione della prova, trovandosi affermato che non risulterebbero dimostrate le circostanze secondo cui la IS è proprietaria della casa da essa abitata ed eserciterebbe l'attività di sarta, che risulterebbe smentita la circostanza della convivenza more uxorio con altra persona, che, inoltre, il LL riceve introiti dalla sua attività di perito di infortunistica e che, infine, lo stesso è bugiardo quando ha riferito di essere stato collocato a riposo per gravi motivi di salute;
b) che, di contro, risulta dagli atti di causa come la circostanza di vivere in una casa di sua proprietà sia stata di fatto ammessa dalla parte ricorrente, come i testi escussi ad istanza di quest'ultima abbiano altresì riferito di approfittare, anche se a titolo gratuito, delle prestazioni di sarta offerte dalla IS e come, infine, sia stata confermata l'affermazione che quest'ultima convivesse con il RA Flavio;
c) che il LL ha esercitato l'attività di perito di infortunistica fino al momento di andare in pensione, secondo quanto si evince dalle deposizioni degli stessi testi di parte ricorrente e dalle attestazioni prodotte in giudizio dal resistente;
d) che dalla deliberazione di Giunta Comunale n. 1533 del 12.5.1993, si ricava come l'apposita commissione medica abbia ritenuto l'odierno ricorrente inabile al servizio disponendone il collocamento a riposo, senza che le ragioni di salute rappresentate in un atto proveniente dal datore di lavoro del medesimo ricorrente possano essere ritenute menzognere sol perché da una missiva risulterebbe che il LL avrebbe presentato le dimissioni volontarie dal servizio.
Il motivo non è fondato.
Per quanto attiene, in primo luogo, alle censure sopra riportate alle lettere a) e b), si osserva come la Corte territoriale abbia al riguardo argomentato:
1) che "le affermazioni del LL, secondo cui la di lui moglie eserciterebbe l'attività di sarta e sarebbe proprietaria dell'alloggio che, fino a qualche tempo fa, occupava, sono rimaste delle semplici proposizioni difensive non supportate da alcun elemento di prova";
2) che "smentita è stata l'altra circostanza addotta dall'appellante, secondo cui l'appellata, allo stato, convivrebbe stabilmente e more uxorio presso l'abitazione del RA Flavio, avendo quest'ultimo, in questa sede, dichiarato di avere convissuto con la IS per appena due anni, di avere da tempo con la stessa interrotto qualsiasi relazione e di essersi sposato con altra donna".
A fronte di simili apprezzamenti di fatto, come tali incensurabili se non sotto le specie del vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., vale notare che due delle circostanze dedotte
dal ricorrente principale (relative, rispettivamente, alla mancata richiesta, da parte della IS, di "un incremento dell'assegno per il pagamento del canone di affitto", da cui detto ricorrente pretenderebbe di ricavare l'ammissione della medesima IS di vivere in casa di sua proprietà, nonché all'asserito "approfittamento" a titolo gratuito, ad opera di "uno" dei testi escussi, delle prestazioni di sarta rese ancora dalla IS) si palesano per nulla decisive, laddove, quanto alla terza (relativa alla convivenza della IS con il RA), il LL ha ritenuto di riportarsi genericamente all'affermazione secondo la quale "è documentale e comunque acclarato agli atti di causa", essendo invece noto che, qualora con il ricorso per cassazione venga dedotta (ove pure) l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l'asserita, mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, allo scopo di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente la precisi - ove occorra, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso - indicando le ragioni di siffatta decisività, dato che, per il principio dell'autosufficienza dello stesso ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito al predetto giudice sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 1° febbraio 1995, n. 1161;
Cass. 13 gennaio 1997, n. 265;
Cass. 5 aprile 1997, n. 2965;
Cass. 11 ottobre 1999, n. 113 86;
Cass. 13 settembre 2000, n. 12080). Circa, poi, le ulteriori censure sopra riportate alle lettere c) e d), si osserva come la Corte territoriale abbia affermato al