Cass. civ., sez. III, sentenza 09/07/2010, n. 16236

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Al cosiddetto "giornalismo d'inchiesta", quale species più rilevante della attività di informazione, connotata (come riconosciuto anche dalla Corte di Strasburgo) dalla ricerca ed acquisizione autonoma, diretta ed attiva, della notizia da parte del professionista, va riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l'esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione "passiva" di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell'attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l'altro, menzionati nella legge 3 febbraio 1963 n. 69 e nella Carta dei doveri del giornalista. (In applicazione del suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il carattere diffamatorio di un articolo nel quale si denunciava l'inattendibilità dei risultati di analisi cliniche effettuate da un laboratorio, al quale erano stati consegnati campioni di the spacciati per liquido organico umano, senza che tale inganno fosse rilevato nel corso delle analisi).

Nel bilanciamento tra diritto alla informazione e diritti della persona alla reputazione ed alla riservatezza, il primo tendenzialmente prevale sui secondi, attesa, ex art. 1, comma 2 Cost., la funzionale correlazione della informazione con l'esercizio della sovranità popolare, che solo in presenza di una opinione pubblica compiutamente informata può correttamente dispiegarsi, ed alla luce anche della legislazione ordinaria (artt. 25 legge n. 675 del 1996, 20 d.lgs. n. 467 del 2001, 12 d.lgs. n. 196 del 2003) che, appunto, riconduce reputazione e "privacy" nell'alveo delle "eccezioni rispetto al generale principio di tutela della informazione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 09/07/2010, n. 16236
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16236
Data del deposito : 9 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente -
Dott. FEDERICO Giovanni - Consigliere -
Dott. TALEVI Alberto - Consigliere -
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - rel. Consigliere -
Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 29325/2007 proposto da:
LABORATORIO ANALISI CLINICHE TIBURTINO S.R.L. 02476810584, in persona dell'Amministratore Unico Sig.ra DE GE AN AR, elettivamente domiciliato in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio dell'avvocato CLEMENTE Michele, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ZENO ZENCOVICH VINCENZO giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
AL IM, CA RL, NI LUIGI, EDITRICE ROMANA S.P.A. 01860331006, in persona del suo legale rappresentante pro tempore TESTA ON, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE PARIOLI 76, presso lo studio dell'avvocato LIBERATI Maurizio, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrenti -

e contro
CC FA;

- intimato -

avverso la sentenza n. 4140/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, Sezione Prima Civile, emessa il 07/07/2006, depositata il 02/10/2006 R.G.N. 5653/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/05/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito l'Avvocato ZENO ZENCOVICH VINCENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 12.10.98, il Laboratorio Analisi Cliniche Tiburtino s.r.l. conveniva avanti al Tribunale di Roma l'Editrice Roma s.p.a., quale editrice del quotidiano il Tempo, IA ES, quale direttore di detto quotidiano, GI AS, OL NC e LO IG, nella qualità i primi due di cronisti ed il terzo di articolista, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti dall'attrice a seguito della pubblicazione di una serie di articoli dal contenuto diffamatorio avvenuta sul quotidiano il Tempo nelle edizioni del 19, 20, 21, 22 e 23 settembre 1998.
Deduceva l'attrice: che i cronisti de il Tempo, dopo aver versato alcuni litri di tè in contenitori sterili, li avevano portati presso alcuni laboratori, fra i quali quello gestito dalla società attrice, per farli analizzare, avendoli "spacciati" come urina;
che avevano così ottenuto referti secondo i quali nessun dubbio sussisteva circa la possibilità che il liquido esaminato non fosse urina;
che, a seguito di tali risultati, sul quotidiano erano apparsi diversi articoli che, narrando l'accaduto, avevano rappresentato il fatto come esempio di "malasanità" commesso ai danni dei cittadini, invitando i competenti organi pubblici ad intervenire;
che il contenuto dell'articolo era, quindi, palesemente diffamatorio della figura della società attrice, sia per la falsità delle notizie riportate sia per il tono stesso dell'articolo.
Ciò premesso, chiedeva che il Tribunale, accertata la natura diffamatoria di detti articoli, condannasse i convenuti in solido al risarcimento dei danni, con le conseguenze di legge. Con sentenza 10510/2002, l'adito Tribunale di Roma, espletata consulenza di ufficio, accertava il carattere diffamatorio del solo articolo pubblicato nell'edizione del 19.9.1998 da parte del quotidiano il Tempo, con condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni (liquidati in Euro 51.000,00, oltre Euro 10.000,00 a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 legge sulla stampa), oltre alla pubblicazione della sentenza su alcuni giornali. A seguito dell'appello de L'Editrice Romana s.p.a., di IR AS, di OL NC e di LO IG, costituitosi il Laboratorio, la Corte d'Appello di Roma, con la decisione in esame, depositata in data 7.7.2006, in riforma di quanto statuito in primo grado e in accoglimento dell'appello, rigettava la domanda del Laboratorio.
Affermava, in particolare, la Corte Territoriale che "....non può dubitarsi della veridicità della notizia riportata sul giornale. Neppure, poi, può dubitarsi che la notizia rivestisse un grande interesse per l'opinione pubblica, coinvolgendo la stessa il bene primario della salute e dei mezzi a disposizione per adeguatamente presidiarla, tra i quali rivestono un ruolo preminente le analisi di laboratorio.
Non può essere, al riguardo, condiviso l'assunto dell'appellante secondo il quale i giornalisti avrebbero fraudolentemente predisposto una trappola, al solo fine di fare un scoop giornalistico. Appare infatti evidente che l'intento era esclusivamente quello di verificare il grado di attendibilità dei risultati delle analisi di laboratorio, che certamente risulta gravemente compromessa quando il tè, sostanza di natura vegetale, viene confusa con l'urina, sostanza di natura organica umana".
Ricorre per cassazione il Laboratorio con tre motivi, e relativi quesiti;
resiste con controricorso L'Editrice Romana, mentre non hanno svolto attività difensiva gli intimati IR AS, OL NC, LO IG e CI LE. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi di ricorso si deduce violazione dell'art. 21 Cost., nonché degli artt. 51 e 595 c.p., e relativo vizio di
motivazione, "in ordine alla sussistenza della scriminante della verità" e "in ordine alla sussistenza della scriminante della continenza espressiva". Si afferma in proposito che "la sentenza impugnata non ha colto che il fatto narrato è frutto di una dolosa artefazione della realtà per poter additare a pubblico scandalo e disprezzo la ricorrente".....e che "all'origine della vicenda vi è un evidente dolo contrattuale....";
inoltre si afferma che "il servizio giornalistico per cui è causa rappresenta un autentico paradigma di illiceità alla luce delle regole scolpite dal decalogo";
che "nell'intero servizio vi è una terminologia che mira a suggestionare il lettore per inibirne le capacità critiche" e che "la sentenza impugnata ha del tutto ignorato il basilare principio di proporzionalità tra la critica e i fatti narrati.
Il quotidiano non ha riferito o commentato i fatti, li ha materialmente posti in essere al fine di creare clamore e scalpore". Con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione in ordine alla valutazione dei

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