Cass. civ., sez. II, sentenza 06/05/2019, n. 11776
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preteso mediatore difettava di «causalità e completezza»;3. Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché omessa motivazione (art. 132, cod. proc. civ.), in relazione con l'art. 360, nn. 4 e 5, cod. proc. civ. Questi, in sintesi, glia assunti impugnatori: - il punto del ruolo svolto dal preteso mediatore non era stato effettivamente esaminato e la motivazione spesa doveva ritenersi apparente, stante che la sentenza giungeva all'epilogo avversato con il ricorso, nonostante avesse accertato non essere rimasto provato che l'iniziativa fosse stata presa dal G e che quest'ultimo non si era presentato quale mediatore della locataria. 4. I primi tre motivi, tra loro osmotici, sono infondati per una convergente pluralità di ragioni. 4.1. La ricorrente prende le mosse dai principi affermati in materia da questa Corte, giungendo, tuttavia, a conclusioni non giustificate dalla vicenda processuale. Costituisce approdo fermo l'affermazione secondo la quale il rapporto di mediazione non può configurarsi - e non sorge quindi il diritto alla provvigione - qualora le parti, pur avendo concluso l'affare grazie all'attività del mediatore, non siano state messe in grado di conoscere (ed abbiano pertanto potuto ignorare incolpevolmente) l'opera di intermediazione svolta dal predetto, e non siano perciò messe in condizione di valutare l'opportunità o meno di avvalersi della relativa prestazione e di soggiacere ai conseguenti oneri, come nel caso in cui il mediatore abbia, con il suo comportamento, potuto ingenerare nelle parti una falsa rappresentazione della qualità attraverso la quale egli si è ingerito nelle trattative che hanno condotto alla conclusione dell'affare. La prova della menzionata conoscenza incombe, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., al mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione (Se. 3, n. 6004, 15/3/2007, Rv. 595568;conf., Sez. 3, n. 12390/2011). Si è ulteriormente chiarito che la mediazione va tenuta distinta dal conferimento di un mandato poiché, nell'incarico alla mediazione, perché sorga il diritto alla provvigione è necessario verificare, giusta disposto dell'art. 1755 cod. civ., se "l'affare si è concluso", bastando a tal fine che la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'opera svolta, ancorché quest'ultima consista nella semplice attività di reperimento e nell'indicazione dell'altro contraente, o nella segnalazione dell'affare, sempre che l'attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore, poi valorizzata dalle parti. Ne consegue che anche nel caso di mediazione negoziale atipica (cd. mediazione unilaterale), se dopo la scadenza dell'incarico il mediatore reperisce l'altro contraente, una volta che l'affare si concluda, egli avrà diritto alla provvigione. Per contro non sussiste il diritto al compenso quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l'intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell'affare per effetto d'iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate. Qualora detta assoluta autonomia della seconda attività di mediazione non sussista e l'affare sia concluso per l'intervento di più mediatori, (congiunto o distinto, contemporaneo o successivo, concordato o autonomo, in base allo stesso incarico o a più incarichi) a norma dell'art. 1758, cod. civ., ciascuno di essi ha diritto ad una quota di provvigione (Sez. 3, n. 5952, 18/3/2005, Rv. 580839).
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