Cass. pen., sez. I, sentenza 09/12/2021, n. 45210
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da P A, nato a Parghelia il 12/10/1964 avverso la sentenza del 18/02/2020 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere F C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A C, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro confermava la decisione del Tribunale di Vibo Valentia, nella parte in cui A P era stato dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 10, comma 3, legge 5 marzo 1998, n. 40, per avere compiuto, nel corso dell'anno 2009, attività dirette a favorire l'ingresso e/o la permanenza illegale in Italia di sette cittadini cinesi, tramite la presentazione di altrettante domande di emersione, a sanatoria, di lavoro irregolare, basate sul presupposto dell'avvenuta instaurazione, nel nostro Paese, di rapporti di lavoro in realtà inesistenti (a nome della ditta R M, di cui l'imputato era consulente del lavoro, ignara dell'occorso e che aveva sporto la denuncia all'origine del procedimento penale). Secondo la Corte di appello era infondato il motivo di gravame incentrato sulla mancata dimostrazione del fine di profitto, nella specie non richiesto dalla legge. Ad integrare il reato, così come contestato, sarebbe infatti sufficiente la condotta di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina realizzata, come nel caso in esame, a beneficio di più di cinque persone. Il fine di lucro sarebbe elemento di fattispecie solo alternativo a quest'ultima condizione.
2. Ricorre l'imputato per cassazione, tramite il difensore di fiducia, mediante unico motivo in cui si deduce vizio di motivazione. La sentenza impugnata non si sarebbe adeguatamente confrontata con i motivi di appello, nei quali non si era solo censurata l'assenza del fine di profitto -
udita la relazione svolta dal consigliere F C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A C, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro confermava la decisione del Tribunale di Vibo Valentia, nella parte in cui A P era stato dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 10, comma 3, legge 5 marzo 1998, n. 40, per avere compiuto, nel corso dell'anno 2009, attività dirette a favorire l'ingresso e/o la permanenza illegale in Italia di sette cittadini cinesi, tramite la presentazione di altrettante domande di emersione, a sanatoria, di lavoro irregolare, basate sul presupposto dell'avvenuta instaurazione, nel nostro Paese, di rapporti di lavoro in realtà inesistenti (a nome della ditta R M, di cui l'imputato era consulente del lavoro, ignara dell'occorso e che aveva sporto la denuncia all'origine del procedimento penale). Secondo la Corte di appello era infondato il motivo di gravame incentrato sulla mancata dimostrazione del fine di profitto, nella specie non richiesto dalla legge. Ad integrare il reato, così come contestato, sarebbe infatti sufficiente la condotta di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina realizzata, come nel caso in esame, a beneficio di più di cinque persone. Il fine di lucro sarebbe elemento di fattispecie solo alternativo a quest'ultima condizione.
2. Ricorre l'imputato per cassazione, tramite il difensore di fiducia, mediante unico motivo in cui si deduce vizio di motivazione. La sentenza impugnata non si sarebbe adeguatamente confrontata con i motivi di appello, nei quali non si era solo censurata l'assenza del fine di profitto -
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi