Cass. civ., sez. II, sentenza 26/04/2022, n. 13031
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Testo completo
ato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 18434/2016 R.G. proposto da R G, rappresentato e difeso dall' avv. CLAUDIO DE FILIPPI - ricorrente- contro MAGAROTTO ANGELO (IN PROPRIO E QUALE EREDE DI MAGAROTTO BENVENUTO) E MAGAROTTO GIAN PAOLO (QUALE EREDE DI MAGAROTTO BENVVENUTO), rappresentati e difesi dall'avv. ANNA MARIA SGARBI - con troricorrenti - avverso la sentenza n. 348/2016 della Corte d'Appello di Bologna depositata il 26.2.2016, Udita la relazione della causa svolta dal consigliere L O;Udito il Pubblico Ministero;RITENUTO IN FATTO 1 La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza n. 348/2016 resa pubblica il 26.2.2016, ha respinto l'impugnazione proposta da G R contro la sentenza di primo grado (Tribunale di Modena - sez. distaccata di Carpi n. 80/2007) che aveva a sua volta rigettato la domanda di riduzione in pristino e risarcimento danni per violazione di distanze legali da lui avanzata contro i vicini B e A M. Per giungere a tale conclusione la Corte bolognese, dopo avere dato atto che nel corso del giudizio di gravame il giudizio era stato interrotto per la morte di B Magarotto e riassunto dall'appellante nei confronti degli eredi (A, G e C), ha osservato: - che il tema della lite era ormai circoscritto alla domanda risarcitoria avendo il R rinunziato alla domanda di riduzione in pristino;- che la successiva applicazione della disciplina più restrittiva sulle distanze (prevista dal PRG del 2000) è condizionata dal mancato completamento delle opere e nel caso in esame non risultava neppure allegato che al momento dell'entrata in vigore del predetto PRG i fabbricati dei Magarotto fossero ancora in fieri;- che il diritto al risarcimento del danno si era estinto per prescrizione quinquennale, considerando il tempo trascorso tra l'ultimo giorno in cui si sarebbe prodotto il danno da illecita attività edilizia e la data di proposizione della domanda;- che la soccombenza dell'appellante ne comportava la condanna al rimborso delle spese di lite anche in favore di C Magarotto, erede del convenuto B Magarotto. 2 Contro tale sentenza il R ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi contrastati con controricorso dai Magarotto. Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso. Il ricorrente ha depositato una memoria. Con ordinanza interlocutoria del 4.6.2021 il Collegio ha disposto l'acquisizione del fascicolo di ufficio del giudizio di appello contenente il verbale di conclusioni del 6.10.2015. Il Procuratore Generale ha ribadito in udienza le proprie conclusioni. CONSIDERATO IN DIRITTO 1 Va premesso che nel giudizio di merito era stata evocata anche C Magarotto (cfr. sentenza impugnata), ma il ricorso non risulta a lei notificato. Essendo però (come meglio si vedrà), il ricorso infondato, si reputa inutile ordinare la notifica del ricorso alla parte pretermessa, in applicazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (tra le tante, Sez. 2 -, Ordinanza n. 10839 del 18/04/2019 Rv. 653636;Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018 Rv. 648501;Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010 Rv. 612077;Sez. 2, Sentenza n. 2723 del 08/02/2010 Rv. 611735). Passando all'esame dei motivi, col primo di essi il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 76 disp. att. cpc, 210 e 213 cpc e della legge n. 241/1990, ritiene erroneo l'assunto della Corte d'Appello sulla rinunzia alla domanda di riduzione in pristino, perché fondato su un atto di citazione in un giudizio nel quale i Magarotto non erano stati parti e quindi illegittimamente prodotto, posto che solo le parti e i loro difensori muniti di procura possono prendere visione ed estrarre copia degli atti della causa nella quale sono costituiti. Richiama altresì le disposizioni pubblicistiche che disciplinano l'accesso agli atti e rileva che i Magarotto avrebbero dovuto quanto meno chiedere l'autorizzazione a produrre l'atto in giudizio. Ritiene inoltre che l'azione ripristinatoria (inquadrabile nello schema della negatoria servitutis) è imprescrittibile. Il motivo è inammissibile perché non coglie l'unica ratio decidendi utilizzata nella sentenza: la Corte di merito ha fondato la rinunzia alla domanda ripristinatoria esclusivamente su una dichiarazione dell'appellante, frutto di una precisa strategia difensiva, come si ricava inequivocabilmente dal confronto tra la sentenza impugnata (pagg. 3 e 4) e dal foglio di precisazione delle conclusioni "da considerare parte integrante del verbale di udienza del 6.10.2015", acquisito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza interlocutoria n. 24939/2021 e che il controricorrente ha trascritto per la parte di rilievo a pag. 7 del controricorso (rinunzia alla domanda "venga ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese dei convenuti, mediante demolizione delle opere realizzate senza osservare le distanze minime dalla linea di confine prevista dalla legge per questo tipo di costruzione, in un termine prefiggendo, in quanto è venuto meno l'interesse poiché l'immobile confinante è stato svenduto all'asta, anche se in maniera illegittima ed illecita"). Si rivela pertanto superflua ogni ulteriore considerazione. 2 Col secondo motivo il R deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2947 cc rimproverando alla Corte d'Appello di avere rilevato la prescrizione del diritto alla tutela risarcitoria senza considerare gli atti interruttivi rappresentati da alcune missive inviate con raccomandate del 23 maggio 1992, 23 luglio 1993, 13 gennaio 1998, 6 dicembre 1999 e 22 novembre 2000 con le quali si contestava l'illegittimo comportamento dei Magarotto e li si invitava a provvedere al ripristino dei luoghi con minaccia di ricorso all'autorità giudiziaria per ottenere il risarcimento dei danni. A dire del ricorrente, inoltre, il Tribunale aveva acclarato che l'azione risarcitoria non era prescritta. Il motivo è inammissibile. Innanzitutto è bene chiarire che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. tra le tante, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549;Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538).Nel caso in esame, però, si è chiaramente fuori da dalla erronea ricognizione di fattispecie astratta, perché alla Corte d'Appello viene in sostanza addebitato l'omesso esame di un fatto decisivo e rilevante per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc), cioè l'avvenuta interruzione della prescrizione per effetto dell'invio di alcune raccomandate. In tal senso va quindi letta la censura mossa dal ricorrente col motivo in esame. Ebbene, come chiarito dalle sezioni unite, l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del dl. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831). Tornando al caso in esame, lo stesso ricorrente dà atto (v. pag. 4 del ricorso) che la prescrizione era stata eccepita già nel giudizio di primo grado dai convenuti in sede di comparsa di costituzione ("in via subordinata, accertare la prescrizione del diritto al risarcimento....."), ma poi omette di indicare dove e quando, nel giudizio di merito, è stato discusso tra le parti il decisivo tema dell'interruzione (oggi introdotto), non bastando ovviamente menzionare unicamente l'avvenuto deposito di documentazione comprovante l'asserita interruzione (v. pag. 13 del ricorso). Né risulta che il Tribunale abbia "acclarato che la domanda di risarcimento danni proposta dal ricorrente non è prescritta" (cfr. pag. 15 ricorso), essendosi invece il primo giudice limitato, attraverso la ragione evidentemente ritenuta più liquida, a respingere la domanda per mancanza di prova senza assolutamente porsi il problema della prescrizione (cfr. sentenza impugnata a pag. 3). 3 Col terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 DM n. 1444/1968 nonché dell'art. 41 quinquies della legge n. 1150/1942 circa la violazione delle norme di edilizia e le distanze nelle costruzioni rimproverandosi alla Corte d'Appello di non avere fatto applicazione dell'art. 9 del citato DM che prescrive una distanza di dieci metri tra gli edifici. Il motivo è logicamente assorbito dal rigetto dei precedenti motivi: accertata, infatti, dalla Corte d'Appello sia la rinunzia alla domanda di riduzione in pristino che la prescrizione del diritto al risarcimento danni, e respinte le relative censure, ha perso ogni rilievo in questa sede la discussione sulla normativa locale applicabile. 4 Col quarto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente denunzia violazione degli artt. 91 e 92 cpc nonché 24, 111 Cost. e 6 CEDU per avere la Corte d'Appello omesso di compensare le spese, stante il contegno processuale del ricorrente, improntato costantemente alla lealtà e probità. Altro errore compiuto dalla Corte d'Appello sarebbe - ad avviso del ricorrente - quello di averlo condannato a rimborsare le spese anche a C Magarotto che, avendo rinunziato all'eredità, aveva chiesto ed ottenuto l'estromissione al giudizio. Precisa che non era a conoscenza della avvenuta rinunzia all'eredità e di avere rinunziato alla domanda appena ne è venuto a conoscenza. Il motivo è infondato. Innanzitutto, va richiamato il principio secondo cui in materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Sez.
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