Cass. pen., sez. VI, sentenza 07/02/2019, n. 06130

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 07/02/2019, n. 06130
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 06130
Data del deposito : 7 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da F B M, nato a Torino il 28/01/1971 avverso la sentenza del 14/11/2017 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S P, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. F B, che ha concluso insistendo nei motivi di ricorso e chiedendone l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano, che aveva condannato M F B per il reato di cui agli artt. 110 e 314 cod. pen. In particolare, all'imputato era stato contestato di essersi appropriato, quale amministratore delegato della società proprietaria di un hotel di Milano e in concorso con il direttore del medesimo albergo, della somma di euro 47.856, incassata a titolo di imposta di soggiorno, versata dai clienti della struttura alberghiera dal 1 settembre 2012 al 28 febbraio 2013 (in Milano nell'aprile 2013).

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314, 357 e 358 cod. pen., alla configurabilità del reato di peculato e alla qualifica dei gestori di strutture alberghiere quali pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. In modo contraddittorio ed erroneo, la Corte di appello da un lato avrebbe ritenuto che le attività attribuite agli albergatori dal Regolamento comunale della città di Milano in ordine all'imposta di soggiorno sia attività amministrativa disciplinata da nome di diritto pubblico, conferendo agli stessi la qualifica di agenti contabili, e dall'altro, mutuando gli arresti della giurisprudenza amministrativa sul tema (che tuttavia non attribuivano una qualifica pubblicistica agli albergatori), avrebbe definito i medesimi obblighi "adempimenti strumentali, non eccessivamente onerosi o complessi", tali da non richiedere la riserva di legge.

2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 4 e 5 I. n. 2248 del 1965 con riferimento alla omessa disapplicazione del Regolamento comunale della città di Milano sull'imposta di soggiorno per contrasto con gli artt. 23 e 36 Cost;
in subordine, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 d.lgs. n. 23 del 2011, con riferimento all'art. 52 d.lgs. n. 446 del 1997, per contrasto con gli artt. 23 e 36 Cost. La normativa regolamentare verrebbe a violare la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. e, in quanto non retribuite, anche il precetto di cui all'art. 36 Cost. L'attività di riscossione in esame non può essere paragonabile a quella di altre categorie, in quanto previste dalla legge (come quella dei tabaccai, che rinvia ad apposita convenzione l'adesione al servizio e il relativo compenso), mentre nella specie si tratterebbe di un'imposizione unilaterale, senza la possibilità di sottrarsi e imponendo la prestazione a titolo gratuito.

2.3. Violazione di legge in relazione gi artt. 4 e 5 I. n. 2248 del 1965 con riferimento all'omessa disapplicazione del Regolamento comunale della città di Milano sull'imposta di soggiorno, poiché adottato in violazione agli artt. 52 e 53 d.lgs. n. 446 del 1997, richiamati dal d.lgs. n. 23 del 2011. In assenza di una disciplina generale, nella specie mai attuata, il d.lgs. n. 23 del 2011 consente ai comuni di adottare ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 446 del 1997 propri regolamenti per stabilire le modalità applicative del tributo in esame.L'art. 52 cit. in particolare stabilisce che l'affidamento del servizio avvenga soltanto nei confronti di soggetti specifici, privati iscritti nell'albo di cui all'art. 53 dello stesso decreto legislativo (soggetti abilitati alla liquidazione, accertamento, riscossione di tributi o altre entrate locali). Nel caso in esame, il ricorrente non aveva tale qualifica e su tale questione la Corte di appello avrebbe omesso di motivare.

2.4. Violazione dell'art. 5 cod. pen. e al principio espresso dalla Corte costituzionale (sent. n. 364 del 1988) in tema di ignoranza inevitabile, quanto alla qualifica pubblica assunta con il Regolamento comunale sull'imposta di soggiorno nella città di Milano. All'epoca dei fatti la normativa in esame era sicuramente oscura quanto ai profili giuridici dell'attività delegata ai gestori di strutture ricettive dai regolamenti comunali, tenuto conto dell'apparato sanzionatorio dagli stessi previsto (sanzioni di tipo amministrativo). Nel caso in esame lo stesso funzionario comunale aveva ravvisato nei fatti il reato di cui all'art. 646 cod. pen., presentando solo successivamente denuncia per peculato;
persino l'ufficio del P.M. aveva inizialmente a sua volta qualificato i fatti come truffa.

2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 54 cod. pen. e all'omesso riconoscimento dello stato di necessità. La Corte di appello avrebbe omesso di effettuare un accertamento in ordine al dolo in termini di esigibilità del comportamento doveroso, non considerando la documentazione dimostrativa dello stato di grave crisi di liquidità in cui versava la società proprietaria della struttura alberghiera, che giustificava il tardivo versamento delle somme dovute a titolo di imposta (tanto da richiedere la rateizzazione della somma e da provvedere poi all'integrale versamento del dovuto).

2.6. Violazione dell'art. 9 I. n. 689 del 1981, quanto al carattere speciale della normativa sanzionatoria dettata dal Regolamento sopra indicato rispetto all'art. 314 cod. pen. Le condotte previste dalla normativa regolamentare e da quella penale sarebbero del tutto coincidenti e sovrapponibili e la circostanza che il legislatore non abbia previsto sanzioni penali per punire gli inadempimenti in ordine alla riscossione dell'imposta di soggiorno renderebbe evidente l'intenzione del legislatore di affidarne la punizione alla sola sanzione amministrativa. Per il principio di specialità andrebbe quindi applicata la sola norma amministrativa, caratterizzata da connotati specializzanti.

2.7. Violazione dell'art. 646 cod. pen. ed impossibilità di contestare il reato di peculato per mancanza dei requisiti soggettivi.La condotta per quanto sopra indicato andava qualificata ai sensi dell'art.646 cod. pen.

2.8. Mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 323-bis cod. pen. Il ricorrente aveva provveduto a versare tutte le somme dovute, con i relativi interessi, dimostrando che la condotta non era connotata da alcuna gravità. Pertanto, andava riconosciuta la sopra indicata circostanza mitigatrice della pena, tenuto conto anche delle condizioni in cui versava il ricorrente all'epoca dei fatti e della poca chiarezza del quadro normativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato in ogni sua articolazione e va pertanto rigettato.
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