Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 24/02/2020, n. 04879

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 24/02/2020, n. 04879
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 04879
Data del deposito : 24 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

eguente SENTENZA sul ricorso 16659-2018 proposto da: CIVITANAVI SYSTEMS S.R.L. UNIPERSONALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato S C;
2019

- ricorrente -

3649

contro

P M, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLA PIRAMIDE CESTIA

1/B, presso lo studio dell'avvocato G M G, rappresentato e difeso dall'avvocato D D;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 235/2018 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 21/05/2018, R. G. N. 120/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2019 dal Consigliere Dott. R A;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C C, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avvocato S C;
udito l'Avvocato D D. RG 16659/2018

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 21.5.2018, la Corte d'appello di Ancona respingeva i reclami principale ed incidentale rispettivamente proposti dalla s.r.l. Civitanavi System Unipersonale e da M P, quadro intermedio, avverso la decisione del Tribunale di Fermo, che aveva accolto parzialmente il ricorso in opposizione depositato dal Perfetti avverso l'ordinanza del Tribunale, annullando - per ritenuta insussistenza del fatto contestato, mancanza di ogni intento minatorio nella frase proferita dal Perfetti e di ogni profilo di illiceità nella dichiarazione resa dal predetto circa la sussistenza di una congiura ai suoi danni - il licenziamento intimato al predetto il 7.6.2017 e condannando la società alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre che al pagamento di un indennità pari ad C 3100,00 mensili.

2. La Corte condivideva la motivazione della sentenza di primo grado quanto all'affermata ritenuta violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare, evincibile dalla valutazione comparativa tra le circostanze di fatto enunciate nella missiva della contestazione dell'addebito disciplinare e le differenti ed ulteriori circostanze di fatto enunciate nella missiva di licenziamento. Evidenziava come nella lettera di contestazione non fossero contenuti i riferimenti a "ricatti, ulteriori affermazioni sconvenienti, ingiuriose e diffamanti perché avvenuta in presenza di testimoni". Una volta escluso che le condotte lesive enunciate nella missiva di licenziamento (di ricatto, minaccia e lesione dell'immagine aziendale) fossero state contestate a norma dell'art. 7 I. 300/1970, riteneva il licenziamento viziato in radice, per insussistenza giuridica dei fatti e per violazione del diritto di difesa nel procedimento disciplinare.

3. Il giudice del gravame osservava che la frase proferita dal Perfetti "io non ho nulla da perdere. Se mi faccio male io, non mi faccio male RG 16659/2018 da solo" non integrava gli estremi del ricatto o della minaccia, considerato il contesto di riferimento - in cui venivano negate dalla società le ferie in agosto e veniva preannunciato dal lavoratore l'azionamento di una eventuale controversia contro la società - idoneo a qualificare il comportamento come dettato da un particolare stato emotivo di reazione ad una iniziativa datoriale sostanzialmente inadeguata alla situazione lavorativa. Né, con riferimento ai fatti inizialmente contestati, era ravvisabile ogni intento calunnioso o lesivo dell'immagine aziendale.

4. Alla stregua di tali rilievi era condivisa la ritenuta insussistenza del fatto (materiale) contestato al lavoratore, in quanto non connotato da illiceità e veniva confermata la correttezza della tutela reintegratoria applicata, senza che rilevasse la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità.

5. Quanto al reclamo incidentale, la Corte riteneva che non fosse emersa prova dell'inadempimento della società, connotato da gravità tale da mettere in discussione la serietà dei piani formativi con rilevanza ai fini della qualificazione del rapporto con gli apprendisti ai fini del computo degli stessi nel requisito occupazionale, essendo, tuttavia, da considerare che il requisito occupazionale si era perfezionato in epoca successiva al 7.3.2015, giorno di entrata in vigore del D. Igs. 23/2015. 6. Di tale decisione ha domandato la cassazione la società, che ha affidato l'impugnazione a due motivi, cui ha resistito, con controricorso, il Perfetti.

7. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell'adunanza camerale, nella quale è stato disposto il rinvio a nuovo RG 16659/2018 ruolo per la trattazione in pubblica udienza. Il Perfetti ha depositato ulteriore memoria, ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 d. Igs.

4.3.2015 n. 23 (o, in ipotesi, dell'art. 18, 4°, 5° e 6° comma, I. 20.5.1970 n. 300), sostenendo che doveva considerarsi la vigenza della disciplina introdotta nell'art. 1, comma 42, I. 28.6.2012 n. 92, confermata dal d. Igs. 23/2015, per cui i vizi procedurali anche gravi possono dare luogo solo ad una tutela indennitaria ridotta, potendosi applicare le altre tutele solo quando vi sia sul piano sostanziale "un difetto di giustificazione del licenziamento".

1.1. Assume che tale disciplina, già prevista dall'art. 18, comma 6, I. 300/1970, è stata confermata dall'art. 4 d. Igs. 23 /2015, secondo cui le violazioni procedurali comportano il riconoscimento della sola tutela ivi prevista, a meno che il giudice non accerti l'ingiustificatezza, anche sostanziale, del licenziamento e quindi "i presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli artt. 2 e 3 del presente decreto" e che la valorizzazione dell'aspetto formale non riguardi i soli vizi meno significativi, ma anche quello più grave di totale violazione del requisito motivazionale di cui all'art. 2, comma 2, della I. 15.7.1966 n. 604. 1.2. Afferma che, a seguito delle modifiche normative, operative dal 18.7.2012, il datore possa licenziare senza dare alcuna motivazione, il che, se non lo esime dal pagamento dell'indennità di cui all'art. 18, comma 6, I. 300/70 o di cui all'art. 4 d. Igs. 23/2015, non preclude la sua facoltà di dimostrare la sussistenza di ragioni sostanziali di giustificatezza del licenziamento e quindi l'insussistenza di presupposti per tutele ulteriori. Sostiene ancora la società che alle RG 16659/2018 locuzioni "fatto contestato" di cui all'art. 18, comma 4, e "fatto materiale contestato" di cui all'art. 3 comma 2, d. lgs. 23/2015 non possa attribuirsi un significato ristretto a quello indicato nella lettera di contestazione, ma debba attribuirsi un significato più ampio, riferito a qualunque fatto dedotto dal datore di lavoro anche nel corso del giudizio ed, in particolare, anche nella sua memoria difensiva di prima costituzione, quale presupposto sostanziale del licenziamento. Ciò in quanto, diversamente, si aprirebbe un'aporia macroscopica, per effetto della quale il datore che licenziasse senza dare alcuna motivazione sarebbe libero di dimostrare in giudizio ogni fatto costituente giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, e quello, invece, che avesse indicato nella lettera di contestazione un fatto a suo avviso costituente illecito disciplinare, resterebbe prigioniero di tale formulazione, per cui gli sarebbe inibita la facoltà di indicare già nella lettera di licenziamento e di dedurre e provare l'esistenza di altri fatti idonei a costituire giustificazione sostanziale del recesso.
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