Cass. civ., SS.UU., sentenza 21/06/2019, n. 16741

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 21/06/2019, n. 16741
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16741
Data del deposito : 21 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

nciato la seguente SENTENZA sul ricorso 1545-2017 proposto da: L L, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

PAISIELLO

55, presso lo studio dell'avvocato F G S, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A G;

- ricorrente -

P F, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIUSEPPE MAZZINI

11, presso lo SUDIO LEGALE SELLA RICHTER, rappresentato e difeso dagli avvocati PIERFRANCESCO PALATUCCI ed ELENA SELLA RICHTER;
- ricorrente successivo -

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISERO PRESSO LA PRESSO CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BAIAMONTI

25;
ATAC S.P.A. - AZIENDA PER LA MOBILITA' DI ROMA CAPITALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PRENESINA

45, presso lo studio dell'avvocato SAFANO BIBBOLINO, che la rappresenta e difende;
- controricorrenti- nonchè

contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE LAZIO, LOMBARDI ANTONIO, ALFANO SALVATORE ANTONIO;

- intimati -

avverso la sentenza n. 586/2016 della CORTE DEI CONTI - II SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO - ROMA, depositata il 07/06/2016. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2018 dal Consigliere GIACINTO BISOGNI;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale LUIGI SALVATO, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
uditi gli avvocati Alessandro Gigli, Pierfrancesco Palatucci e Stefano Bibbolino. Rilevato che 1. Con sentenza del 22 febbraio 2001 n. 325, la Sezione giurisdizionale Regionale per il Lazio della Corte dei Conti, accogliendo parzialmente la domanda proposta dalla Procura regionale e dichiarandone la responsabilità amministrativa per colpa grave, ha condannato al risarcimento del danno i sigg.ri Raffaele M, Filippo A, Fabio P, Luigi L, Salvatore Antonio A, Giuseppe A, Antonio L, Mario Vincenzo C, componenti del C.d.A. o del Consiglio Sindacale della TRAMBUS s.p.a (ora ATAC S.P.A), società strumentale del Comune di Roma, per l'esercizio del trasporto locale pubblico, a totale partecipazione pubblica già all'epoca dell'esercizio in carica dei predetti sindaci e amministratori.

2. Il giudice di prime cure, specificamente, ha condannato i predetti consiglieri del c.d.a. e del collegio sindacale al pagamento, in favore della T s.p.a, della somma di Euro 1.120.000,00 comprensiva di rivalutazione monetaria, da ripartire in parti uguali, in ragione di 140.000,00 ciascuno oltre interessi legali dal deposito della sentenza fino all'effettivo soddisfo. La condanna risarcitoria è derivayeL dall'aver determinate' un danno diretto subito dalla T s.p.a in dipendenza della sanzione amministrativa di Euro 2.232.880 irrogata nei confronti della s.p.a. dall'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, a causa delle condotte lesive che i vertici aziendali della società avevano posto in essere, attraverso la stipula di intese, protocolli e accordi, in violazione dell'art. 81 del Trattato CE e dell'art. 2 della L. 287/90. Tali atti consistiti nella concertazione della partecipazione alle gare nel settore del trasporto pubblico locale che, in attuazione delle politiche di liberalizzazione, avrebbero dovuto aver luogo nel territorio italiano, avevano avuto invece la finalità di assicurare che il servizio del trasporto pubblico locale rimanesse affidato all'operatore già affidatario.

3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello tutti i convenuti soccombenti in primo grado. I sigg.ri A, M, A e C, tuttavia, hanno proposto istanza di definizione agevolata del giudizio e nei loro confronti gli appelli sono stati definiti dalla Corte dei Conti con sentenza 384/2012 all'esito del pagamento della somma indicata nel decreto n. 46/2011. Con la stessa sentenza sono stati dichiarati inammissibili gli appelli proposti dall'ATAC s.p.a (subentrata a T s.p.a) nei confronti degli appellanti A, M, C e A.

4. La Corte dei Conti, con sentenza n. 586/2016, ha quindi respinto, previa riunione, gli appelli proposti dai sigg.ri L, L, A e P e ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti dall'ATAC s.p.a nei loro confronti.

5. Il giudice contabile, ha preliminarmente esaminato l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dai sigg.ri L, L, A e P secondo i quali la fattispecie in esame non è assimilabile ad altre ipotesi di danno indiretto rientranti nella giurisdizione contabile poiché tale danno deriverebbe da scelte strategiche, relative all'attività d'impresa, assunte autonomamente da una società per azioni il cui patrimonio e la cui sfera decisionale sono distinti e indipendenti rispetto a quello dell'unico socio pubblico. A sostegno di questo assunto hanno richiamato le sentenze di questa Corte nn. 26809/2009 e 4309/2010 e hanno sottolineato che la società in questione non può qualificarsi come società in house poiché il suo statuto prevede espressamente all'art. 5, comma 5, che alla società possono partecipare nuovi soci pubblici e privati e che la società può promuovere la partecipazione azionaria dei propri dipendenti.

6. La Corte dei Conti ha ritenuto che la società in questione debba qualificarsi invece come società in house providing poiché, tenuto conto dei dati sostanziali e non prettamente formali, la società all'epoca dei fatti, e successivamente senza soluzione di continuità, si è trovata ad operare in rapporto di identificazione con l'ente pubblico partecipante, l'unico a detenere la totalità delle azioni sociali. Inoltre la Corte dei Conti ha osservato che all'epoca dei fatti la T s.p.a gestiva il servizio di trasporto pubblico in regime di concessione esclusiva nella forma del contratto di servizio. Il trasporto pubblico locale - rileva poi la Corte dei Conti - rientra fra i servizi pubblici locali ex art. 113 d.lgs. n. 267/2000 e s.m.i ed è soggetto per la particolarità dei profili incidenti sulla concorrenzialità alla disciplina degli artt. 18 e 19 d.lgs. n. 422/97. Secondo tali disposizioni, vigenti all'epoca dei fatti, introdotte dal legislatore italiano per incentivare il superamento degli assetti monopolistici e introdurre il principio di concorrenzialità anche nel caso in cui il trasporto pubblico locale sia affdiato a società partecipata o costituita dall'ente titolare di pubblico servizio, deve essere garantito il ricorso alle procedure concorsuali per la scelta dei soci privati delle società (così art. 18 comma 2 dlgs 422/97) e deve essere immessa sul mercato una quota delle azioni destinate ai privati. Di qui la modifica dello statuto di T e la introduzione della norma di cui all'art. 5 c. 5 che consente l'accesso dei privati al capitale sociale. La Corte rileva tuttavia che la T, all'epoca dei fatti, era interamente partecipata dal Comune e quindi l'apertura del pacchetto azionario ai privati non era affatto stata realizzata. Ci si era limitati pertanto a una mera modifica formale dello statuto. Sulla base di ricostruzione della vicenda statutaria la Corte dei Conti ha affermato pertanto che, nel caso di specie, sussistono i tre requisiti previsti dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili per qualificare una società come s.p.a. in house pro viding e cioè appartenenza pubblica del capitale sociale, attività preminentemente coincidente con il servizio affidato dall'ente pubblico, esercizio da parte di quest'ultimo di controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici. La Corte dei Conti cita a sostegno di una lettura non formale del requisito dell'appartenenza pubblica del capitale sociale come appartenenza effettiva e non anche statutaria la sentenza n. 4938 del 14 marzo 2016 della II sezione civile della Corte di Cassazione. Nella specie si trattava specificamente di una società costituita dal Comune di Torino per la gestione del servizio pubblico locale di trasporto, interamente partecipata dall'ente locale che l'ha costituita;
che svolgeva pressoché esclusivamente, e comunque in assoluta prevalenza, il servizio pubblico per la gestione del quale era stata costituita ed sottoposta allo stesso controllo che l'ente locale esercita sui propri uffici. Secondo la Corte dei Conti nel caso della T anche questa connotazione del controllo esercitato dal Comune direttamente o tramite ATAC, a sua volta partecipata dall'ente locale, non è oggetto di una specifica contestazione da parte degli appellanti ed emerge con chiarezza dagli atti deliberativi adottati nel tempo dal Comune di Roma. Ove la T non avesse avuto tali caratteristiche, il Comune non avrebbe potuto confermarle nel 2004, con le deliberazioni nn. 126 e 127, l'affidamento del servizio di trasporto in regime di concessione esclusiva anche per il 2005-2011 e ciò in virtù dell'art. 113 comma 5 TUEL nel testo vigente all'epoca. Per tutti questi motivi la Corte dei Conti ha affermato la propria giurisdizione sull'azione di responsabilità proposta, nei confronti di soggetti in rapporto di servizio con T, per avere cagionato un danno all'ente di appartenenza, da individuare unitariamente nella società in house providing e nell'ente pubblico detentore delle azioni sociali. Responsabilità che nella specie la Corte ha 6 -.1 ritenuto sussistere quanto all'elemento della colpa grave e del danno che ne è derivato.

7. Avverso la sentenza della Corte dei Conti propongono separatamente ricorso per cassazione sia il sig. L che il sig. P.

8. Il sig. Luigi L si affida ad un solo motivo di ricorso con il quale ribadisce il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti. Il ricorrente ritiene che la società T non era qualificabile come società in house providing e richiama lo statuto che all'epoca dei fatti, espressamente prevedeva, all'art. 5 comma 5, che alla società potessero partecipare nuovi soci pubblici e privati. Solo nel 2005, precisamente in data 18 gennaio 2005, e quindi successivamente alla sua uscita dal CdA, avvenuta nel 2004, lo Statuto era stato modificato con l'introduzione della previsione secondo cui "il capitale sociale è interamente pubblico". Mentre come si è detto nel periodo 2000-2004 la T non vietava la cessione di partecipazioni ai privati anzi prevedeva tale possibilità espressamente. Il ricorrente richiama un precedente di questa Corte (SSUU n. 27993/2013) per affermare che la verifica dei requisiti per la qualificazione di una società come in house pro viding deve essere accertata al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita e all'epoca non vi erano tali requisiti. Il ricorrente rileva anche che l'esistenza dei requisiti deve essere verificata sulla base del dato formale contenuto nello Statuto sociale. Deve poi escludersi che la T fosse soggetta a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dall'ente pubblico sui propri uffici. Per controllo analogo deve intendersi infatti, secondo la scelta operata dal legislatore nel d.lgs. n. 175/2016, "la situazione in cui l'amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi esercitando un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della controllata". Rileva quindi il ricorrente che il controllo analogo deve essere inteso in termini più intensi rispetto a quello proprio del diritto societario perché consiste in un controllo di tipo amministrativo gerarchico. Il ricorrente richiama in questa prospettiva la giurisprudenza della Corte di Giustizia e specificamente la sentenza del 13 ottobre 2005 (Parking Brixen C-458/03) e del Consiglio di Stato (n.5082/2009). Anche dalle norme dello Statuto, secondo il ricorrente, si evince che T non era una società soggetta a un controllo di tipo amministrativo e gerarchico. L'art. 1 dello Statuto, applicabile ratione temporis, prevedeva che la società fosse soggetta a direzione e coordinamento ex artt. 2497 e 2497 bis cc da parte del Comune di Roma. Questo richiamo alle norme civilistiche vale di per sé, secondo il ricorrente, ad escludere il controllo analogo proprio perché questo si caratterizza, come si è detto, per forme di ingerenza e condizionamento più vincolanti rispetto al controllo societario configurato nel codice civile. A sostegno del fatto che la T non è una società in house providíng, il ricorrente assume altresì che la società è stata creata per l'esercizio dell'attività imprenditoriale in regime di libera concorrenza. Se la T è stata sanzionata dall'A.G.C.M., ciò è accaduto perché la stessa partecipava a procedure di evidenza pubblica caratterizzate dal naturale confronto concorrenziale in regime di libero mercato;
quindi l'attività della società rientrava nel regime di fisiologico svolgimento dell'agire d'impresa nel libero mercato incompatibile con forme di controllo analogo.
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