Cass. civ., SS.UU., sentenza 22/12/2009, n. 26961
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In materia di pubblico impiego la controversia avente ad oggetto la domanda dell'ente previdenziale (nella specie, l'INPDAP) di restituzione degli accessori dell'indennità di buonuscita versati al dipendente per errore in misura superiore al dovuto, ove la pretesa trovi fondamento nella decisione, passata in giudicato, del giudice amministrativo relativa alla decorrenza degli interessi e della rivalutazione sull'indennità stessa, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, dovendosi ritenere che, in ragione dell'"actio iudicati", il diritto di credito dell'ente previdenziale abbia assunto una autonoma rilevanza, concretizzandosi in una richiesta di restituzione di una somma indebita ex art. 2033 cod. civ., senza che possa farsi alcun riferimento all'originaria natura del credito, riferibile all'indennità di buonuscita.
In materia di obbligazioni pecuniarie nascenti da un unico rapporto di lavoro, costituisce principio generale la regola secondo la quale la singola obbligazione va adempiuta nella sua interezza e in un'unica soluzione, dovendosi escludere che la stessa possa, anche nell'eventuale fase giudiziaria, essere frazionata dal debitore o dal creditore. Ne consegue che, ove la prestazione abbia ad oggetto la restituzione di somme indebitamente ricevute e relative all'erogazione degli accessori dell'indennità di buonuscita, sussiste l'obbligo di restituire l'indebito attraverso il pagamento in un'unica soluzione, dovendosi escludere l'applicabilità, in via estensiva od analogica, della norma di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 1032 del 1973, secondo la quale il recupero dell'indennità di buonuscita indebitamente corrisposta avviene mediante una pluralità di trattenute sul trattamento di quiescenza, attesa la natura speciale ed eccezionale di tale disposizione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Primo Presidente f.f. -
Dott. PREDEN Roberto - Presidente di Sezione -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente di Sezione -
Dott. VIDIRI Guido - rel. Consigliere -
Dott. ODDO Massimo - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 681-2009 proposto da:
RO RG ([...]), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. CHIOVENDA 106, presso lo studio dell'avvocato FIORE MAURO, che lo rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
PD - ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA (97095380586), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell'avvocato PASSARELLI MARIA, che lo rappresenta e difende, per procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 4829/2007 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 19/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2009 dal Consigliere Dott. GUIDO VIDIRI;
uditi gli avvocati Mauro FIORE, Maria PASSARELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso per il rigetto del primo motivo, A.G.O., inammissibilità degli altri motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione regolarmente notificata GI LO proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva solo parzialmente accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso dallo stesso Tribunale in data 17 aprile 2002. L'PD aveva corrisposto al LO con mandato del 26 giugno 2001, in esecuzione della sentenza del TAR n. 2078/1999, una somma a titolo di rivalutazione ed interessi in misura, a suo giudizio, superiore al dovuto ed aveva chiesto con nota del 16 agosto 2001 la restituzione dell'importo erroneamente erogato ed indebitamente percepito. Dopo la costituzione del contraddittorio la Corte d'appello di Roma con sentenza del 19 novembre 2007 respingeva l'appello principale del LO nonché quello incidentale dell'PD, che aveva chiesto a quest'ultimo la restituzione in una unica soluzione della somma percepita. Nel pervenire a tale soluzione la Corte territoriale osservava, per quanto attiene alla giurisdizione, che la sentenza del TAR per il suo chiaro tenore letterale aveva statuito in via definitiva che il diritto del LO alla liquidazione era sorto in data 17 aprile 1991 e che dopo 90 giorni da tale data, cioè il 17 luglio 1991, decorreva il computo degli interessi e della rivalutazione monetaria. La sentenza stabiliva in particolare che il ricorrente aveva diritto al cumulo degli interessi e rivalutazione solo sino al 31 dicembre 1991 mentre per il successivo periodo gli interessi erano limitati ai soli interessi legali. Il tenore letterale della decisione indicava infatti la data del 17 aprile 1991, come quella in cui era sorto il diritto, e quella del 17 luglio 1991 come quella da cui fare decorrere gli accessori;
diversamente quindi da come aveva affermato il LO, secondo il quale detti accessori dovevano essere computati a partire dalla cessazione del suo rapporto lavorativo, risalente al 18 gennaio 1977, allorquando esso LO si era dimesso. Nessuna somma poteva, dunque, pretendersi per il periodo antecedente alla data in cui, secondo la lettera della sentenza, il diritto era sorto sicché la giurisdizione andava devoluta, sempre alla stregua del tenore della decisione del giudice amministrativo, al giudice ordinario. Nel merito osservava la Corte d'appello di Roma che nella fattispecie in esame non poteva trovare applicazione il disposto del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 26 e 29 in quanto tali norme fanno riferimento a modifiche riguardanti i presupposti, i parametri e gli indici di base sui quali l'indennità di buonuscita viene calcolata, mentre nell'ipotesi oggetto della controversia doveva applicarsi l'art. 30 del suddetto Decreto, il cui tenore letterale mostra un ambito applicativo più ampio di quello derivante dall'art. 26, riferendosi in via generale a tutti indistintamente i provvedimenti di revoca o di rettifica anche quando (tra le altre ipotesi) vi sia un errore di fatto, come nel caso di specie, in cui l'ente pubblico aveva agito avvalendosi dei generali poteri di autotutela attraverso la rettifica del provvedimento con cui aveva erogato la somma per interessi e rivalutazione monetaria. Per le modalità di restituzione della somma illegittimamente riscossa il giudice d'appello osservava infine che il disposto del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 26 conteneva un principio - quello relativo al
recupero delle somme non dovute mediante trattenute sul trattamento di quiescenza - suscettibile di essere applicato per "analogia" anche al di fuori del perimetro tracciato dal detto articolo e, quindi, anche in tutte le ipotesi in cui l'amministrazione deve procedere alle ripetizione di somme non dovute per prestazioni previdenziali da esso erogate.