Cass. pen., sez. V trib., sentenza 29/04/2020, n. 13298

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V trib., sentenza 29/04/2020, n. 13298
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13298
Data del deposito : 29 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Senatore A, nato a Salerno il 03/03/1973, avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno in data 14/05/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere R C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale K T, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza emessa in data 32/12/2016 dal Tribunale di Salerno, con cui A Senatore, titolare della omonima ditta individuale, era stato condannato a pena di giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1 e 2, 219 legge fallimentare, 99, comma 2, cod. pen., in Salerno, sentenza di fallimento del 07/04/2009, rideterminava in anni due la durata delle pene accessorie di cui all'art. 216, ultimo comma, legge fallimentare.

2. In data 26/06/2019 A Senatore ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to P V, per violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento alla motivazione della sentenza impugnata circa la sussistenza (lena distrazione degli automezzi in leasing, posto che la Corte territoriale avrebbe impropriamente affermato la distrazione di diritti, anziché di beni, in contrasto con quanto richiesto dalla norma incriminatrice, avendo, altresì, affermato che la società che aveva concesso il finanziamento aveva intrapreso azione giudiziaria per la restituzione dei beni, ciò in contrasto con il divieto di azioni individuali, ex art. 51 legge fallimentare, oltre che alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 72 e 72 quater legge fallimentare, avendo la Corte di merito del tutto taciuto circa il danno patito dalla curatela in assenza di attività del curatore che, una volta ottenuto i beni, avrebbe potuto utilizzarli ai fini dell'esercizio dell'impresa;
nulla si dice, inoltre, del dolo del reato di bancarotta distrattiva, tanto più alla luce della restituzione del beni posta in essere dall'imputato, sebbene a distanza di quattro anni dalla dichiarazione di fallimento. Anche in relazione alla bancarotta documentale la motivazione fornita dalla Corte territoriale appare carente quanto alla sussistenza del dolo specifico richiesto nel caso in esame, alla luce dell'orientamento ermeneutico pacifico della giurisprudenza di legittimità;
la sentenza impugnata, inoltre, omette di motivare circa le ragioni per le quali la condotta in esame non possa integrare gli estremi della bancarotta semplice, considerata la natura di ditta individuale della fallita e la durata della omessa o irregolare tenuta della contabilità;
inoltre, la prova del dolo specifico è stata individuata attraverso anomalie gestionali nel periodo antecedente la dichiarazioni di fallimento, che difettano del tutto, in quanto la Corte territoriale individua dette anomalie negli ultimi due anni precedenti il fallimento, mentre le scritture contabili risultano compilate fino al 2007, il che dimostrerebbe che nel periodo antecedente le stesse erano state regolarmente tenute e compilate;
infine, il tardivo deposito delle scritture medesime risulterebbe incompatibile con il dolo specifico richiesto. Ci si duole, infine, del mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 219, ultimo comma, legge fallimentare, non incompatibile con la pluralità di fatti di bancarotta, non avendo la Corte di merito effettuato alcuna quantificazione del danno, genericamente indicato come non tenue, anche in contrasto con le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, in quanto meramente ripropositivo di argomentazioni già compiutamente affrontate e risolte dalla sentenza impugnata.Quanto al primo motivo, va ricordato che la sentenza impugnata, in riferimento ai beni concessi in leasing dalla Agrileasing s.p.a., afferma che gli stessi non furono consegnati al curatore e che, solo dopo quattro anni dalla dichiarazione di fallimento, quando la società concedente aveva intrapreso un'azione giudiziaria per la loro restituzione e per il pagamento dei canoni non versati, il Senatore aveva segnalato la presenza di alcuni di essi presso un parcheggio in Pontecagnano;
alla luce di dette circostanze, quindi, non poteva negarsi né la volontarietà dell'occultamento dei medesimi beni, di cui il fallito aveva la disponibilità, né il danno economico causato alla massa dei creditori, per l'impossibilità di utilizzare gli automezzi nella prosecuzione dell'attività di impresa, oltre che per la necessità di risarcire la concedente per i danni provocati dall'inadempimento delle obbligazioni contrattuali. Detta motivazione appare del tutto priva di aporie logiche ed aderente all'indirizzo ermeneutico di questa Corte, secondo cui "In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in caso di bene pervenuto" all'impresa a seguito di contratto di 'leasing', qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l'acquisizione alla massa o che comporti per quest'ultima un onere economico derivante dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione integra il reato poiché determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell'inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente." (Sez. 5, sentenza n. 2:1.933 del 17/04/2018, Farruggio, Rv. 272992). In motivazione la sentenza citata, dopo aver ricordato che "il contratto di leasing, o locazione finanziaria, è il negozio atipico col quale una parte denominata concedente, dietro corrispettivo di un canone periodico, concede ad un'altra parte (utilizzatore) il godimento di un bene, con facoltà di restituirlo al termine prefissato ovvero di 'riscattarlo' dietro pagamento di una specificata somma residua", ha sottolineato che "Tale essendo la struttura del rapporto giuridico, ne deriva che la proprietà del bene, in pendenza del termine di durata, rimane in capo al concedente e il relativo trasferimento è solo eventuale in quanto dipende dalla scelta dell'utilizzazione, che sarà effettuata in base a una valutazione della residua utilità economica della cosa, in rapporto all'ammontare del prezzo di 'riscatto'. Ne consegue, ancora, che, in caso di successivo fallimento, qualunque manomissione da parte dell'utilizzatore, tale da impedire l'acquisizione del bene alla massa, comporta distrazione non già del bene medesimo, ma dei diritti esercitabili dal fallimento al termine del contratto, determinando altresì per i creditori il pregiudizio derivante dall'inadempimento delle obbligazioni verso il concedente (v. sez. 5, n. 33380 del 18/07/2008, Bottamedi, Rv. 241397;
Sez. 5, n. 6882 del 08/04/1999, Trifiletti, Rv. 213604)." Peraltro, con particolare riferimento al concetto di disponibilità dei beni, la medesima pronuncia ha precisato che, benché nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano solo le cose che abbiano fatto ingresso nel patrimonio di quest'ultimo, per cui non possono essere oggetto delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale i beni sui quali il fallito ha un possesso solo precario e il proprietario vanta un diritto alla restituzione, come nel caso di beni ricevuti in locazione, deposito o comodato (Cass., Sez. 5, sentenza n. 13556 del 27/02/2015, Arlati, Rv. 262899);
tuttavia detti principi di diritto "debbono essere letti in relazione al decisivo profilo della ravvisabilità di un effettivo ingresso del bene nel patrimonio dell'imprenditore, al di là della sussistenza o meno di un valido rapporto negoziale quale presupposto dell'acquisizione della disponibilità del bene stesso ( così, Sez. 5, n. 44350/2016, cit. supra ). Occorre, pertanto, "distinguere le ipotesi in cui un bene sia individuabile e reperibile nella sua originaria materialità da quelle dove un atto di disposizione di quel bene abbia comportato l'ingresso di denaro nel patrimonio dello stesso fallito, la cui spendita o sottrazione alla massa fallimentare può costituire distrazione penalmente rilevante (v. Cass., Sez. V, n. 4708 del 06/02/1986, Febbo)." Il tema centrale, quindi, concerne la concreta acquisizione del bene da parte del fallito, acquisizione che ben può risolversi anche in una disponibilità di fatto: "Non a caso, decisioni più recenti hanno chiarito che 'in tema di bancarotta per distrazione di beni ottenuti in leasing, ai fini (lella configurabilità del reato in capo all'utilizzatore poi fallito, è necessario che tali beni fossero nella sua effettiva disponibilità, in conseguenza del/'avvenuta consegna, e che di essi vi sia stata appropriazione, non rilevando la tipologia del contratto di leasing (traslativo o di godimento)' (Cass., Sez. V, n. 44898 del 01/10/2015, Cantore, Rv 265509). La configurabilità del reato di bancarotta per distrazione postula, infatti, che i beni non rinvenuti in sede di inventario siano entrati realmente nella sfera patrimoniale della società fallita, di talché possa ipotizzarsi quel distacco ingiustificato che integra sul piano oggettivo la fattispecie incriminatrice, il che è quanto si è verificato nel caso in esame, in cui il Senatore non aveva provveduto alla consegna dei quattro semirimorchi, c:lei due autocarri e del siloveicolo acquisiti a seguito di leasing, e di cui egli aveva la disponibilità di fatto. Il concetto espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, riguarda la circostanza che ove il fallimento, come nel caso di specie, riguardi l'utilizzatore, può venire in rilievo la sola disponibilità di fatto, essendo pacifico che il soggetto non realizza la disponibilità giuridica del bene in leasing almeno sino alla fine rapporto e, cioè, sino a quando, previo esercizio del diritto di opzione, egli non abbia corrisposto il prezzo di riscatto, acquisendo così la proprietà del bene. Ne consegue che anche la mera disponibilità di fatto — situazione configurabile in capo all'utilizzatore - postula, pur sempre, l'avvenuta consegna del bene oggetto di contratto di leasing. "Orbene, verificatosi tale indefettibile presupposto, la relativa appropriazione da parte sua integra distrazione, in guanto la sottrazione o la dissipazione del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore dello stesso - che avrebbe potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale - e, al tempo stesso, gravata di ulteriore onere economico scaturente dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione (per l'affermazione degli stessi principi, v. anche, già in precedenza, Cass., Sez. V, n. 33380 del 18/07/2008, Bottamedi, nonché Cass., Sez. V, n. 9427/2012 del 03/11/2011, Cannarozzo)." Quanto al profilo concernente le azioni intraprese, va ricordato che la banca Agrileasing s.p.a. aveva esercitato un'azione di rivendica a seguito del mancato pagamento dei canoni di leasing, e solo in seguito a detta azioni il curatore era venuto a conoscenza della sussistenza dei menzionati beni. Il che, in sostanza, dimostra che il curatore non era stato neanche messo nella condizione di valutare la possibilità di subentrare o meno nel contratto di leasing, ai sensi dell'art. 72 legge fallimentare. Inoltre, la circostanza che il curatore ignorasse la sussistenza del contratto di leasing, aveva, di fatto, impedito l'applicazione dell'art. 72 quater, legge fallimentare, secondo cui, in caso di scioglimento del contratto, il concedente (che ha diritto alla restituzione del bene) è tenuto, tuttavia, a versare alla curatela la differenza tra la maggiore (eventuale) somma ricavata dalla vendita del bene ovvero da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al residuo credito vantato dal concedente in linea capitale per il mancato (eventuale) pagamento dei canoni di leasing. Ne consegue che l'appropriazione illecita da parte dell'utilizzatore del bene concesso in leasing non solo onera la impresa utilizzatrice (e dunque, dopo il fallimento, anche la curatela fallimentare) del costo economico derivante dall'inadempimento contrattuale all'obbligo di restituzione sopra delineato (e discendente direttamente dal sinallagma contrattuale sotteso al predetto negozio), ma determina per la fallita anche il pregiudizio economico causato dalla perdita del credito conseguente al "differenziale" di valore economico descritto dal secondo comma dell'art. 72 quater. Con la ulteriore conseguenza che diviene evidente e innegabile il pregiudizio economico per il ceto creditorio, determinato, da un lato, dal costo economico insorgente per l'obbligo di restituzione al concedente del bene oggetto del leasing (e successivamente oggetto di appropriazione) e, dall'altro, dalla perdita del credito previsto dal sopra menzionato secondo comma dell'art. 72 quater legge fallimentare. Quanto al profilo della restituzione di parte dei citati beni, in epoca successiva al fallimento, occorre ricordare che essa non esclude affatto la sussistenza dell'elemento materiale del delitto di bancarotta per distrazione, che si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio del fallito (Sez. 5, sentenza n. 17084 del 19/12/2014, dep. 23/04/2015, Caprara ed altri, Rv. 263243). Quanto alla bancarotta documentale, la sentenza impugnata riconosce che il capo di imputazione era stato formulato in maniera alternativa e, dopo aver distinto le varie ipotesi di reato relative alla tenuta della contabilità, afferma che nel caso di specie - in cui era stato dapprima omesso il deposito delle scritture, poi parzialmente depositate solo nel 2013, in maniera non compatibile con la ricostruzione del patrimonio, trattandosi di scritture incomplete e redatte solo fino al 2007, inidonee a documentare l'esito di alcuni crediti vantati dalla fallita - il Senatore avesse agito con piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dal grave ritardo nel deposito delle scritture medesime e dalla loro parzialità, apparendo incontestabile anche lo scopo fraudolento perseguito, ossia l'intenzione di trarre un vantaggio economico dalla mancata individuazione di una parte delle poste attive, come evidenziato dal curatore, oltre che dalla sua consapevolezza circa l'impossibilità di ricostruire la consistenza patrimoniale dell'azienda. Detta motivazione, quindi, offre argomentazioni a sostegno sia del dolo generico - afferente alla documentazione consegnata ed inidonea alla ricostruzione del patrimonio della fallita - sia del dolo specifico - in riferimento alla documentazione non consegnata, che sarebbe stata, invece, necessaria per documentare crediti della fallita - ed è assolutamente immune da censure logiche. In relazione, infine, alla sussistenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità, va rilevato che detto motivo risultava formulato in maniera estremamente generic:a già con i motivi di appello, dove non si comprendeva per quale ragione dovesse ritenersi di particolare tenuità il danno;
ne consegue che la motivazione della Corte territoriale - basata sul danno provocato dalla distrazione degli automezzi, tutt'altro che trascurabile alla luce dell'entità del risarcimento richiesto dalla società concedente ed all'intrinseco valore dei beni - non viene neanche affrontata dal ricorso che, quindi, non si confronta affatto con la stessa, risultando, sul punto, estremamente generico ed apodittico. Dall'inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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