Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/03/2009, n. 6769

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Massime1

In tema di espropriazione per pubblica utilità, il mero ricorso allo strumento della concessione traslativa, con l'attribuzione al concessionario affidatario dell'opera della titolarità di poteri espropriativi, non può comportare indiscriminatamente l'esclusione di ogni responsabilità al riguardo del concedente, essendo necessario a tal fine che, in osservanza al principio di legalità dell'azione amministrativa, l'attribuzione all'affidatario di detti poteri e l'accollo da parte sua degli obblighi indennitari e risarcitori siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi. Ne consegue che - avendo gli artt. 80, 81 e 84 (e, segnatamente, l'art. 81) della legge 14 maggio 1981, n. 219 (relativa al programma straordinario di urbanizzazione nell'area metropolitana del Comune di Napoli) autorizzato, in forza di una disciplina speciale e in parte derogatoria rispetto a quella sulle espropriazioni, il ricorso alla concessione traslativa - la fonte della responsabilità esclusiva del concessionario e della sua legittimazione passiva, sia in relazione al risarcimento del danno per l'occupazione acquisitiva, che in relazione al pagamento delle indennità dovute in conseguenza di espropriazioni rituali, deve essere individuata proprio nelle menzionate norme di legge.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/03/2009, n. 6769
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 6769
Data del deposito : 20 marzo 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. S S - Presidente di sezione -
Dott. V A - Presidente di sezione -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. B M - Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. S S - rel. Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI G M, DI V R, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DELLA BALDUINA

120/5, presso lo studio dell'avvocato A F, rappresentati e difesi dall'avvocato F D, per procura in calce al ricorso;



- ricorrenti -


contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - FUNZIONARIO DELEGATO CIPE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;



- controricorrente -


e contro
CO.GE.RI. - CONSORZIO GENERALE RICOSTRUZIONE, A.N.A.S. S.P.A.;



- intimati -


sul ricorso n. 23099 - 2004 proposto da:
CONSORZIO CO.GE.RI., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARLO MIRABELLO

26, presso lo studio dell'avvocato IANNUCCILLI PASQUALE, che lo rappresenta e difende per procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
DI G M, DI V R, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DELLA BALDUINA

120/5, presso lo studio dell'avvocato A F, rappresentati e difesi dall'avvocato F D, per procura speciale in calce al ricorso principale;

- controricorrenti al ricorso incidentale -
e contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

- intimata -
avverso la sentenza n. 1498/2004 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito l'Avvocato FIMMANÒ Domenico;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI DOMENICO, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso principale, rigetto degli altri motivi;
rigetto del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. Il Tribunale di Napoli con sentenza dell'8 giugno 2001 condannò il Funzionario CIPE delegato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri L. n. 219 del 1981, ex art. 84, al risarcimento dei danni in favore di Di G Mario e D Vo Rosa per l'illegittima occupazione ed irreversibile trasformazione di un terreno di loro proprietà, esteso complessivamente mq. 2000 (di cui mq. 1800 in esecuzione dell'ordinanza commissariale 30 dicembre 1986 e la restante porzione in seguito alle ordinanze

CIPE

11 aprile e 22 giugno 1990), ed utilizzato per la realizzazione di un raccordo stradale nell'ambito del programma di edilizia residenziale di cui al titolo Vili della menzionata L. n. 219 del 1981: danni che liquidò in complessive L. 198.931.680, oltre all'indennizzo per l'occupazione illegittima determinato in L. 27.574.312. Rigettò analoghe richieste dei proprietari nei confronti del Consorzio COGERI, concessionario dell'opera e delegato al compimento delle espropriazioni, per mancanza di legittimazione passiva.
L'impugnazione dell'Amministrazione dello Stato è stata accolta dalla Corte di appello di Napoli che, con sentenza del 6 maggio 2004 ha respinto, invece, la richiesta risarcitoria nei confronti del Funzionario CIPE, ritenuto privo della titolarità passiva del rapporto obbligatorio per aver affidato in concessione l'opera unitamente alle procedure espropriative al Consorzio COGERI;
ha condannato quest'ultimo ente a corrispondere ai proprietari per l'avvenuta occupazione espropriativa del loro fondo la somma di Euro 180.184,34, comprensiva di interessi legali e svalutazione monetaria, osservando: a) che tra l'Amministrazione statale ed il Consorzio COGERI era intercorsa una concessione c.d. traslativa, specificamente prevista dalla L. 219 del 1981, che rendeva responsabile dell'illegittima ablazione esclusivamente il concessionario delegato al compimento dell'intera procedura espropriativa ed autore dell'occupazione, peraltro dopo la scadenza del termine trimestrale di efficacia concessogli dalla L. n. 865 del 1971, art. 20;
b)che era irrilevante il decreto di espropriazione sopravvenuto nel 1995 una volta che il Consorzio si era immesso nel possesso del terreno D G - D Vo senza alcun titolo e che lo aveva
irreversibilmente trasformato nell'opera pubblica programmata nel periodo compreso tra il 15 marzo ed il 4 maggio 1988, dando luogo alla cd. occupazione acquisitiva;
c) che tale situazione non poteva considerarsi sanata dal D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, che aveva introdotto proroghe per qualsiasi tipologia di occupazione - quindi pur illegittima - perché l'espropriazione si era già conclusa in epoca antecedente al menzionato provvedimento legislativo;
che dunque non era ad essa applicabile;
d)che una porzione del fondo ubicata in zona C3 dello strumento urbanistico del comune aveva destinazione agricola;per cui tenendo conto che alcune compravendite nell'anno 1984 indicavano un valore di L. 15.000 mq. e che la trasformazione radicale era avvenuta nell'anno 1988, si perveniva ad un prezzo di L. 22.350 mq. Mentre per la restante porzione edificatoria, la stima doveva essere compiuta applicando il criterio riduttivo introdotto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, sulla base di un valore di L. 159.996 mq.
Per la cassazione della sentenza gli espropriati hanno proposto ricorso per tre motivi;
cui resistono sia la Presidenza del Consiglio dei Ministri che il Consorzio COGERI con controricorso. Quest'ultimo ente ha formulato, altresì, ricorso incidentale per 4 motivi. MOTIVI DELLA DECISIONE


2. I ricorsi vanno, anzitutto riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., perché proposti contro la medesima sentenza.
Con il primo motivo di quello principale, il Di G e D Vo Rosa, deducendo violazione dell'art. 2043 e 2055 c.c., nonché della L. n. 219 del 1981, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto la legittimazione passiva del solo Consorzio COGERI, assolvendo da ogni addebito il Funzionario CIPE che invece doveva ritenersi corresponsabile dell'illecita ablazione:anzitutto perché quest'ultimo era il beneficiario dell'opera pubblica, nonché l'ente delegante cui incombeva l'onere di coordinare i tempi dell'attività amministrativa con quelli dell'attività materiale;
quindi perché il delegante secondo la giurisprudenza di questa Corte, resa anche a Sezioni Unite, ha il potere-dovere di esercitare i propri poteri di controllo e di stimolo sul comportamento del delegato;
per cui la relativa omissione costituisce causa concorrente nella produzione dell'illecito. Sia infine perché;
per l'insorgenza della responsabilità solidale è sufficiente che i fatti avvenuti per ultimi produttivi dell'evento dannoso indipendentemente dalla loro idoneità a configurare anche altri illeciti previsti dall'ordinamento siano indotti secondo una prevedibile evoluzione, da una causa iniziale che perciò non può scadere al rango di occasione.
A sua volta il Consorzio COGERI, con il primo motivo del ricorso incidentale, deducendo violazione della L. n. 219 del 1981, art. 80, e ss., nonché insufficiente ed erronea motivazione su punti decisivi della controversia censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la responsabilità esclusiva di esso ente nell'illegittima appropriazione dell'immobile D G - D Vo senza considerare: a) che non eragli stato trasferito il potere ablatorio, ma esso ente aveva agito al più in nome e per conto del concedente come dimostrava il fatto che i verbali di consistenza erano redatti dai funzionar CIPE e che si era limitato ad anticipare l'importo degli indennizzi;
b)che la propria responsabilità non poteva farsi discendere neppure dalla clausola di manleva a favore del concedente contenuta nell'art. 6 della Convenzione: perché la stessa riguardava le contestazioni delle imprese appaltatrici, nonché di eventuali terzi in merito all'esecuzione dei lavori;
ed era da porsi in relazione all'obbligo di vigilanza a carico del concedente che per il successivo art. 17, non poteva ridurre la responsabilità di esso concessionario;
c) che gli erano stati devoluti compiti meramente esecutivi si da rendere la sua posizione analoga a quella di un nuncius in quanto gli era consentita soltanto l'immissione in possesso dopo che lo stato di consistenza era stato redatto dal concedente, di proporre uno schema di stima, nonché di preparare la documentazione necessaria per la pronuncia del decreto di esproprio;

d) che d'altra parte lo stato di consistenza dei terreni veniva preparato dai funzionari del Delegato CIPE, cui competeva peraltro di concedere proroghe o di adottare il decreto ablativo.

3. Le suesposte censure sono infondate.
Anche in questa controversia il Consorzio COGERI ed i proprietari espropriati per sostenere la responsabilità esclusiva (il primo) o solidale (i secondi) dell'Amministrazione dello Stato nel verificarsi dell'occupazione espropriativa del terreno di costoro, hanno elencato le attività amministrative asseritamente di competenza di quest'ultima e quelle che per legge o per la convenzione intercorsa tra di essa ed il concessionario Consorzio avrebbero dovuto gravare sul ricorrente incidentale, ovvero sono state da questo effettivamente svolte;ed incentrando l'esame quasi esclusivamente sul rapporto obbligatorio tra dette amministrazioni, hanno cercato di dimostrare che nell'ipotesi di cooperazione di più enti alla realizzazione di un'opera pubblica, allorquando il procedimento di espropriazione debba essere curato o portato a compimento da un soggetto diverso da quello che è ne beneficiario, detta responsabilità va accertata esclusivamente in funzione del rapporto fra le competenze ad ognuno devolute dalla legge o dalle convenzioni (di volta in volta intercorse tra di essi), nonché, in particolar modo, delle rispettive inadempienze procedimentali: perciò ponendo in secondo piano quello, invece, fondamentale con il diritto di proprietà dell'espropriato, leso innanzitutto dall'attività materiale illecita che gli ha impedito "di godere e di disporre" del proprio bene e/o che glielo ha sottratto definitivamente. Le Sezioni Unite, e numerose pronunce della 1^ sezione civile della Corte, hanno invece che nell'azione intrapresa a seguito di occupazione illegittima dei loro terreni da parte delle pubbliche amministrazioni, i titolari (espropriandi o espropriati) fanno valere il loro diritto di proprietà, quale riconosciuto dagli art. 42 Cost., ed art. 1 dell'allegato alla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo, sugli immobili dapprima appresi e, poi, detenuti senza titolo dagli enti esproprianti, deducendo di esserne stati illegittimamente privati del godimento;
ed invocando la tutela concessa dagli artt. 2043 e 2058 c.c., contro il fatto ingiusto delle controparti, non supportato da idonea attività provvedimentale e ritenuto lesivo del loro diritto dominicale. La ragione giuridica costitutiva della loro pretesa non trae, quindi, ragione e fondamento dal rapporto derivante dalla concessione tra gli enti a questa interessati, nonché dai rispettivi obblighi assunti in ordine al compimento di questo o di quello degli atti del procedimento ablativo, cui il proprietario resta del tutto estraneo: avendo, invece, anche i D G - D Vo intrapreso un'azione (reintegratoria e/o) risarcitoria correlata al diritto di proprietà sugli immobili in questione, preesistente al procedimento ablatorio, e non affievolito per il mancato compimento di questo, in cui il fatto generatore del danno è costituito dalla condotta illecita di detti enti, concretatasi anzitutto nell'apprensione degli immobili senza alcun titolo e, quindi, nel perdurare della detenzione abusiva ed irreversibile senza più rimettere i beni nella disponibilità dei proprietari. Ed il nesso di causalità con l'evento dannoso è ravvisato esclusivamente in relazione al contenuto dell'attività lesiva suddetta nonché all'attitudine di questa a produrre danno di continuo, che perdura nel tempo, sino a quando permanga la situazione illegittima posta in essere e nella quale si concreta una ininterrotta violazione del loro interesse a goderne e disporne entro i limiti riconosciuti dall'art. 832 c.c.: o se ne verifichi l'acquisizione in favore dell'amministrazione espropriante, pur senza che questa abbia conseguito il provvedimento ablatorio richiesto dalla legge.
Proprio in questa prospettiva è stata inquadrata detta anomala e definitiva appropriazione dell'immobile privato nella materia espropriativa fin dalle prime sentenze delle Sezioni Unite che ne hanno evidenziato presupposti ed elementi costitutivi: avvertendo che il relativo istituto, non si riferisce al "fenomeno indeterminato e generico, dell'apprensione "sine titulo" da parte di un ente pubblico, per qualsivoglia ragione e fine, di un bene immobile del privato";
bensì a quello specifico, "caratterizzato quale suo indefettibile punto di partenza da una dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e quale suo indefettibile punto di arrivo dalla realizzazione dell'opera medesima;
nonché dall'inserimento tra questi due poli, di una attività esecutiva manipolatrice del bene altrui nella sua fisionomia materiale di comportamento dettato dalle leggi in materia", che ne attua l'irreversibile e definitiva trasformazione nell'opera pubblica preventivata dalla dichiarazione di p.u..
Per cui, a prescindere dall'assetto dominicale del nuovo bene che qui non rileva, l'intera vicenda non perde per tale effetto traslativo la sua connotazione tipica di fatto illecito sia con riguardo al momento dell'occupazione abusiva, sia con riguardo alla costruzione dell'opera pubblica con violazione delle norme che fissano i casi ed i modi per il sacrificio della proprietà privata ai fini pubblici, sia con riguardo all'attività materiale medio tempore espletata nel corso dell'occupazione (Cass. sez. un. 761/1998;
12546/1992
;
nonché 10840/1997): perciò interamente ed unitariamente qualificate dall'illecito comportamento dell'ente al quale sono riconducibili sia l'occupazione (illegittima ab origine o divenuta tale) sia l'impossibilità della restituzione (cui segue l'effetto acquisitivo del suolo). Tant'è che la giurisprudenza e poi lo stesso legislatore (L. n. 458 del 1988, art. 3;
L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 7;
L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis) hanno attribuito in
compenso al proprietario che ha perduto l'immobile l'opportuna tutela risarcitoria, pur discendente dallo stesso precetto contenuto nell'art. 42 Cost., comma 3, (Corte Cost. 188/1995;
369/1996
;

148/1999), e non il credito indennitario (in senso stretto) in rispondenza di un lecito acquisto della proprietà a titolo originario (decreto di esproprio o contratto di cessione). Le Sezioni Unite devono allora ribadire ancora una volta il risultato cui è pervenuta la giurisprudenza della Corte, da ultimo posto in rilievo dalla propria precedente pronuncia 24397/2007:
1) che, siccome nello schema dell'occupazione espropriativa l'illecito si perfeziona con effetto estintivo della proprietà privata al momento della radicale ed irreversibile trasformazione del fondo, se avvenuta in periodo di occupazione illegittima o alla scadenza dell'occupazione legittima, ricorrendo nel caso concreto la prima di dette fattispecie, di occupazione "ab inizio" illegittima, tutta l'attività svolta nel corso dell'occupazione da chiunque esplicata - per definizione illecita -, rende l'autore o gli autori responsabili del relativo risarcimento ai sensi degli artt. 2043 e 2055 c.c.;
2) che detta responsabilità grava sempre e comunque anzitutto sull'ente che ha consumato l'illecita apprensione in danno del proprietario e posto in essere il mutamento del suo regime di appartenenza dell'immobile (Cass. 11890/2006;
6591/2003;
15687/2001
;

1814/2000;
834/1999);
3) che all'ente suddetto non è consentito invocare la non imputabilità in ordine alla mancata o ritardata pronuncia del decreto ablativo, anche quando sia dipesa da omissione o inerzia di altra amministrazione, in quanto nel comportamento di chi ha appreso l'immobile altrui senza titolo e/o ne conserva abusivamente la detenzione ed infine persevera nell'esecuzione dell'opera, pur essendo a conoscenza della illegittimità dell'occupazione, possono individuarsi tutti gli elementi della responsabilità aquiliana: la condotta attiva od omissiva, l'elemento psicologico della colpa, il danno, il nesso di causalità tra condotta e pregiudizio;
e non è possibile per le medesime ragioni neppure trasferire la responsabilità dell'illegittima vicenda ablatoria in capo all'ente beneficiario o destinatario dell'opera pubblica inglobante quel fondo, ovvero a quello che per legge o per atto amministrativo ne diviene proprietario (Cass. 6591/2003).

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