Cass. pen., sez. I, sentenza 15/12/2020, n. 35861

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 15/12/2020, n. 35861
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 35861
Data del deposito : 15 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: PU IG nato a [...] il [...] CC LO nato a [...] il [...] avverso l'ordinanza del 08/07/2020 del TRIBUNALE LIBERTA' di NAPOLI udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Binenti;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppina Casella, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori dei ricorrenti, Avvocati Marco Natale e Stefano Montone, che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale di Napoli, decidendo a seguito di richiesta di riesame, confermava l'ordinanza con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di LO UC e LU CA. A entrambi venivano addebitati il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. (capo 21) e quello previsto dall'art. 86, d.P.R. n. 570 del 1960, aggravato ai sensi dell'art. 416-bis 1. cod. pen. (capo 10) A LU CA si contestava, inoltre, il delitto di trasferimento fraudolento di valori, anch'esso aggravato ai sensi dell'appena menzionato art. 416-bis 1. (capo 24).

2. Le suddette accuse venivano ritenute dai giudici di merito supportate dai gravi indizi di colpevolezza, principalmente, sulla base delle dichiarazioni rese da collaboratori e delle risultanze di attività di intercettazione. Esse erano state acquisite nell'ambito di complesse indagini riguardanti il clan di camorra "CA" operante nel territorio di S. Antimo. LU CA e LO UC erano ritenuti inseriti con diverso ruolo in tale sodalizio: il primo quale imprenditore "colluso" in rapporto di organica compenetrazione con l'organizzazione criminale;
il secondo, primariamente, assumendo il compito di garantire il condizionamento dell'attività amministrativa locale nell'interesse del clan. L'altro addebito mosso a entrambi atteneva al procacciamento di voti in occasione delle elezioni amministrative di detto ente locale del 2017, in cambio della dazione o promessa di denaro o altre utilità. La condotta di trasferimento fraudolento di valori ascritta a LU CA vedeva tale indagato intestare fittiziamente alla Società Immobiliare D'Angelo s.r.I., a lui riferibile, la proprietà di un terreno in realtà nella disponibilità dei qualificati esponenti del clan di cui sopra, LO e PA CA.

3. Propongono ricorso per cassazione LO UC e LU CA, tramite il comune difensore e un unico atto di impugnazione.

3.1. Attraverso motivi aventi contenuto parzialmente sovrapponibile, rispettivamente dedotti nell'interesse dei due ricorrenti, vengono denunciate violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento al rigetto dell'eccezione di inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni. Quanto al decreto RIT 3422/16 si deduce che rimangono non superate le doglianze che avevano rappresentato come le operazioni captative all'interno dell'autovettura di LU RA non avessero riguardato solo casualmente il Senatore LU AR, ma fossero state rivolte direttamente all'ascolto proprio delle conversazioni di quest'ultimo, senza la prescritta autorizzazione del Senato della Repubblica. Infatti, secondo quanto già dedotto davanti al Tribunale, dal contenuto degli atti relativi a dette intercettazioni e delle informative di polizia giudiziaria risultava che, tramite servizi in apparenza riguardanti LU RA, si mirava a conoscere l'oggetto di incontri e di conversazioni del parlamentare. Né poteva rilevare la richiesta di autorizzazione inoltrata, ai sensi dell'art. 6, legge 20 giugno 2003, n. 140, al Senato della Repubblica solamente dopo la violazione della tutela di rango costituzionale del parlamentare prevista dall'art. 68 Cost. Con riguardo alle stesse operazioni, il primo provvedimento di proroga indicava il periodo di ascolto di giorni venti a partire "dal 14 ottobre", mentre il provvedimento esecutivo del pubblico ministero contemplava un periodo di giorni quaranta. Ne erano derivate operazioni captative non coperte da autorizzazione, su cui si era basata la successiva richiesta di proroga. In ordine al conseguente avverarsi dell'inutilizzabilità, il provvedimento impugnato nulla ha rilevato, nonostante i precedenti rilievi mossi in sede di procedimento di riesame. Non sono state esaminate le doglianze riferite al RIT 1431/17, avendosi così un'assenza di motivazione in ordine alla validità di elementi di assoluta rilevanza. Con riferimento al decreto RIT 4004/17, sono stati disattesi articolati rilievi ritenendosi praticabile il ricorso alla procedura della correzione dell'errore materiale della decisione di convalida del G.i.p., nonostante l'impossibilità, come rappresentata davanti al Tribunale del riesame, di ripercorrere attraverso il contenuto del provvedimento l'effettiva volontà e le determinazioni del giudice. Relativamente ai decreti RIT 1118/17 e RIT 1207/17 si è giunti a ipotizzare che il G.i.p., ai fini della decisione avesse, esaminato le richieste del pubblico ministero, benché il primo dei due anzidetti decreti fosse stato in seguito irritualmente "rettificato", non contenendo l'indicazione dell'utenza in uso a LO CI e il suo nominativo quale "bersaglio" delle operazioni captative.

3.2. Con altro motivo articolato nel solo interesse di LU CA si svolgono doglianze che lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione, in ragione del mancato confronto con le deduzioni difensive che avevano prospettato l'inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori e l'assenza di idonei riscontri. Contrariamente a quanto rilevato nel provvedimento, tali deduzioni erano analitiche, riguardando il fallimento del riconoscimento fotografico, un vistoso errore di identificazione, l'assenza di specificità dei contenuti, l'esito negativo della ricerca dei riscontri, l'incoerenza fra le fonti citate, sia in relazione al ruolo nelle indicate vicende imprenditoriali assegnato a CA, sia in considerazione di quanto emerso in ordine all'intento manifestato dal medesimo di sporgere denuncia per estorsione nei confronti dei soggetti che sarebbero stati suoi soci. La motivazione, dunque, non si è attenuta ai criteri di verifica delle fonti.

3.3. Infine, con un restante motivo nel solo interesse di LO UC si svolgono doglianze che lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione.Si osserva che le obiezioni difensive, dedotte tramite memoria davanti al Tribunale, anche con riguardo alla posizione di UC sono rimaste sostanzialmente prive di risposta, in quanto la loro definizione come generiche non si è misurata con i precisi rilievi rappresentati circa l'inaffidabilità delle fonti. E ciò in considerazione del fallimento del riconoscimento fotografico da parte del collaboratore ND CA, delle genericità dei contenuti dichiarativi, della loro insuscettibilità di riscontro, del vistoso errore di identificazione del ricorrente come il nipote del vigile, dei dimostrati esiti negativi delle verifiche quanto alle vicende relative agli "affari" NO e OS Capezza, dei contrasti fra le dichiarazioni rese dai collaboratori in ordine al ruolo di prestanome ovvero di semplice "accompagnatore/frequentatore" che avrebbe assunto dal ricorrente Sicché, anche in tal caso non ci si è uniformati ai corretti criteri di verifica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati per le ragioni di seguito illustrate.

2. Quanto alle doglianze nell'interesse di entrambi i ricorrenti che riguardano i decreti con cui sono state disposte e prorogate le intercettazioni, va in primo luogo rilevato che, in sede di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità indicare gli atti specificamente affetti dai vizi denunciati e chiarirne l'effettiva incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, così da potersi inferire la loro decisività rispetto alla tenuta motivazionale (fra le altre, Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, Rv. 278123;
Sez. 4, n. 18232 del 12/04/2016, Rv. 266644;
Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254108). L'applicazione di tale principio con riguardo alle intercettazioni comporta che i rilievi in ordine all'inutilizzabilità davanti alla Corte di cassazione non possono fermarsi a citare i numeri di registro riportati dai decreti di cui si assume l'adozione in violazione delle disposizioni in materia, ma debbono specificatamente indicare i risultati delle operazioni captative che ne sono derivati nel periodo di esecuzione dei medesimi decreti, ossia le specifiche conversazioni che in via consequenziale non possono essere valutate, in modo da rappresentarsi l'effettiva incidenza di quanto dedotto sulla decisione, non potendo gli altri elementi sorreggere autonomamente il percorso giustificativo. Orbene, tale onere nella specie non risulta assolto dai rilievi in sede di ricorso, posto che ci si limita a far riferimento al numero di registro dei decreti (quasi sempre senza indicarne neppure la data) e ai vizi che li avrebbero inficiati, a fronte di tante conversazioni valutate e dell'apprezzamento anche di altre fonti.

2.1. Tuttavia, prescindendo da tale premessa, le confutazioni del Tribunale in ordine ai temi di censura riproposti in questa sede appaiono non censurabili.

2.1.2. Quanto al decreto RIT 4004/17, va chiarito che il giudice, alla stregua di quanto previsto dall'art. 130 cod. proc. pen., è abilitato alla correzione dell'errore materiale in caso di adozione di sentenze, ordinanze o decreti «inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità, la cui eliminazione non comporta una

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