Cass. civ., sez. V trib., sentenza 05/04/2022, n. 10900
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Testo completo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma (n. 251/50/2009), che aveva accolto il ricorso presentato da C.B. contro l'atto di irrogazione della sanzione amministrativa prevista dal D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, per Euro 17.412,00, per avere impiegato, nell'anno 2004, un lavoratore dipendente senza adempiere agli obblighi di legge. In particolare, il giudice di prime cure aveva accolto il ricorso, in quanto dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa la signora D.D. risultava una collaboratrice del C., sicchè non poteva essere applicato il D.L. n. 12 del 2002, art. 3, convertito in L. n. 73 del 2002. A fronte dell'appello principale dell'Agenzia delle Entrate, fondato sulla circostanza che il contratto era risultato sfornito di data certa e che la domanda di iscrizione alla gestione separata era stata presentata il 5 agosto 2004, quindi successivamente all'accesso presso i locali della ditta da parte dei militari accertatori, il contribuente ha proposto appello incidentale in ordine al difetto di giurisdizione della Commissione Tributaria, con riferimento alla sentenza n. 130 del 2008 della Corte Costituzionale che aveva stabilito la carenza di giurisdizione delle Commissioni Tributarie rispetto alle controversie concernenti violazioni di natura extratributaria. Il Giudice d'Appello, muovendo dalla circostanza che il contribuente aveva impugnato un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate ai fini IRPEF, evidenziava che il contratto era privo di data certa e che, per individuare l'effettiva natura del rapporto di lavoro, era necessario tenere conto delle intenzioni delle parti e del loro comportamento anche posteriore alla conclusione del contratto;
l'accesso dei militari della Guardia di Finanza presso i locali della ditta era avvenuto il 16 giugno 2004, mentre la domanda di iscrizione alla gestione separata era del 5 agosto 2004, quindi successivamente all'accesso, e quindi non idonea a dimostrare l'esistenza di una certa autonomia nell'esecuzione delle prestazioni. Sussistevano indici sintomatici del rapporto di subordinazione, da cui emergeva che la D.D. aveva svolto la sua prestazione di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro;
la natura subordinata del rapporto era conformata dal comportamento tenuto dal contribuente successivamente all'emanazione dell'avviso di accertamento ed agli atti di contestazione da parte dell'ufficio, in quanto il signor C. in una sua memoria illustrativa, relativa agli avvisi di accertamento Irpef, poi oggetto di accertamento con adesione, non aveva contestato la qualificazione del rapporto quale lavoro dipendente, ma si era limitato a chiedere una riduzione del compenso settimanale accertato e delle settimane lavorative imputati, prestando, quindi acquiescenza alle contestazioni dell'Ufficio.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente.
3. L'Agenzia delle Entrate ha depositato "atto di costituzione", al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370 c.p.c., comma 1, senza provvedere alla redazione di un controricorso da notificare alla controparte.
4. Con ordinanza del 4 dicembre 2019 questa Corte ha disposto l'acquisizione del provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la "violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, nel testo inciso dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 130 del 2008, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, e all'art. 362 c.p.c.". Il contribuente, una volta ricevuta la notifica dell'avviso di irrogazione delle sanzioni n. (XXXXX), aveva proposto impugnazione presso la Commissione Tributaria Provinciale di Roma che, ai sensi del testo allora vigente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, esercitava la giurisdizione rispetto alle controversie relative a sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche conseguenti a violazioni di disposizioni di natura non tributaria. Dopo la proposizione dell'appello da parte dell'Agenzia, contro la sentenza di primo grado integralmente favorevole al contribuente, quest'ultimo, con appello incidentale aveva preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione della Commissione Tributaria Regionale. Infatti, con sentenza n. 130 del 14 maggio 2008, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, per contrasto con l'art. 102 Cost., nella parte in cui attribuiva alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguissero alla violazione disposizioni non aventi natura tributaria. La sentenza di accoglimento della Corte Costituzionale aveva effetto dal giorno successivo alla sua pubblicazione, con efficacia ex tunc, quindi anche con riferimento ai rapporti sorti anteriormente alla pronuncia di legittimità. La Corte di cassazione aveva stabilito che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 130 del 2008, doveva escludersi la giurisdizione del giudice tributario sulle controversie aventi ad oggetto l'irrogazione delle sanzioni previste dal D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, per omessa registrazione di lavoratore dipendente nelle scritture obbligatorie e che la questione di giurisdizione rientrava tra quelle proponibili per la prima volta in appello, trattandosi, peraltro, di questione rilevabile d'ufficio, ex art. 38 c.p.c., comma 3. Pertanto, la giurisdizione era del giudice ordinario;
la Commissione Regionale, invece, aveva omesso qualsiasi pronuncia sul punto, decidendo nel merito e risolvendo quindi implicitamente la questione di giurisdizione nel senso della propria "competenza", mentre avrebbe dovuto riconoscere l'ammissibilità e la fondatezza della eccezione e, quindi, rimettere le parti dinanzi al giudice ordinario competente secondo le regole della translatio iudicii.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la "violazione dell'art. 116 c.p.c., e, per quanto occorra, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3". L'art. 116 c.p.c. prescrive che le prove debbano essere valutate dal giudice secondo il suo "prudente apprezzamento";
tuttavia il giudice d'appello ha affermato che sussistevano gli indici della subordinazione, ritenendo che la signora D.D. avesse svolto lavoro alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro;
in realtà, la qualificazione del rapporto di lavoro si basava unicamente sulle dichiarazioni rese