Cass. civ., sez. V trib., sentenza 25/07/2022, n. 23231
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Testo completo
iato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 6749/2014R.G. proposto da C F, rappresentato e difes o dagli Avv.ti M T e Francesco D’Ayala Valva, con domicilio eletto presso il secondo in Roma,viale dei Parioli n. 43, giusta procura a margine del ricorso;–ricorrente – contro Agenzia delle entrate, rappresentata e difes a dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;–controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 12/18/2013, depositata il 22 gennaio 2013. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio della pubblica udienza dell’8 marzo 2022, fissata ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis, l. n. 176 del 2020, dal Cons. G F T. Oggetto: Frode carosello –società di capitali –gestore uti dominus–responsabilità –condizioni - sanzioni Lette le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale M V, che ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della società Unika Srl, nonché di C F, A F, B R, F C, I E e S E, avviso di accertamento per Iva, Irpeg e Irap per l’anno 2001 in relazione ad una evasione d’imposta nell’ambito di una frode carosello negli scambi intracomunitaried irrogava le conseguenti sanzioni. L’Ufficio, in particolare, evidenziava che, a seguito di indagini svolte dal Nucleo operativo delle Dogane di Trento, in collaborazione con i nuclei di polizia tributaria di Padova e Verona, nell’ambito di un procedimento penale, era emersa la realizzazione di una complessa frode unionale relativa agli scambi intraunionali di acquisto e rivendita di auto, con la costituzione di società cartiera, tra cui Unika Srl, che erano fittiziamente interposte dagli effettivi autori della frode, i quali, nella veste di amministratori di fatto, avevano materialmente agito per conto della società, sicché erano costoro gli effettivi autori degli illeciti e i debitori d’imposta. L’impugnazione, proposta da C F, che deduceva l’illegittimità dell’avviso, la propria estraneità alla vicenda e, in ogni caso, l’assenza di una propria responsabilità per l’attività della società di capitali, era rigettata dalla CTP di Milano. La sentenza era confermata dalla CTR in epigrafe. C F propone ricorso per cassazione con sette motivi, poi illustrato con memoria. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione circa punto decisivo in ordine al coinvolgimento del contribuente nell’attività della società Unika Srl, argomentata dalla CTR dalla definizione ex art. 444 c.p.p. del giudizio penale nei confronti dello stesso, senza tenere conto che l’avviso era stato notificato a sei soggetti diversi e che il C aveva un ruolo di mero esecutore. 1.1. Il secondo motivo denuncia, sulle medesime circostanze, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. come modificato dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, conv. con modificazioni nella l. n. 134 del 2012, omesso esame circa fatti decisivi. 2. I motivi sono entrambi inammissibili. La prima censura, infatti, non è più proponibile ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo ratione temporisapplicabile trattandosi di sentenza pubblicata il 22 gennaio 2013 (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014). La secondaè parimenti inammissibile in quanto, pur formulata ai sensi della disposizione novellata, mira sempre a contestare la sufficienza e adeguatezza della motivazione e la stessa valutazione operata dal giudice di merito sulle risultanze di prova acquisite nel giudizio, avendo la CTR tenuto conto anche dei profili dedotti , sì da ritenere, e non in base alla sola sentenza di patteggiamento, che il contribuente aveva avuto un ruolo di «referente e gestore di Unika» in quanto colui «che gestiva le vetture una volta giunte in Italia comunicando a chi consegnarle». 3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 2472 e 2332 c.c., 87 tuir, 3 d.lgs. n. 446 del 1997, 1 e 4 d.P.R. n. 633 del 1972e 7 d.l. n. 269 del 2003, conv. nella l. n. 326 del 2003 per aver la CTR ritenuto responsabile l’amministratore di fatto per i debiti tributari della societàdi capitali.3.1. Il quarto motivo denuncia, sul medesim o profilo , ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. 3.2. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 7 d.l. n. 269 del 2003 e 16 e 17 d.lgs. n. 472 del 1997, per aver la CTR ritenuto le violazioni tempestivamente contestate in quanto contenute nel processo verbale di constatazione, da cui l’irrogazione delle sanzioni alla persona fisica anziché alla sola società di capitali. 4. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi. Lecensure, infatti, si incentrano su un’unitaria questione, ossia se, e in quale misura, l’attività, e le imposte, di una società di capitali siano direttamente imputabili ad un soggetto distinto da quest’ultima, nonché, in via correlata, se le sanzioni per le attività illecite ed evasive dell’ente siano ascrivibile al medesimo soggetto terzo. 5. Le doglianze, inoltre,sono infondate. 5.1. Nella recente giurisprudenza, invero, la problematica è stata affrontata, in particolare, con riguardo all’applicazione delle sanzioni all’amministratore di fatto. Questa Corte ha precisato che l'applicazione della norma eccezionale introdotta dall'art. 7 d.l. n. 269 del 2003 presuppone che la persona fisica, autricedella violazione, abbia agito nell'interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l'autoremateriale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico deldiverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore;viceversa, «qualora risulti che il rappresentante o l'amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l'ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio», verrebbemeno la ratio giustificatrice del l'applicazione dell'art. 7 d.l. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con pers onalità giuridica, e deve essere ripristinata la regolagenerale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell'illecito (v. Cass. n. 28332 del 7 /11/ 2018 ;Cass. n. 10975 del 18/04/2019;Cass. n. 32594 del 12/12/2019;Cass. n. 25757 del 13/11/2020;Cass. n. 29038 del 20/10/2021). Si è osservato, peraltro, che tale ragionamento non riguarda solo il profilo sanzionatorio in senso stretto, il quale, anzi, costituisce un aspetto ulteriore, un posterius, rispetto alla pretesa sostanziale e al debito tributario. È evidente, infatti, che se l’”amministratore di fatto” ha utilizzato lo schermo sociale nel suo esclusivo interesse sorge la presunzione che puredei proventi dell’attività egli abbia tratto esclusivo beneficio. Come precisato da ultimo (v. Cass. n. 36003 del 22/11/2021) non va trascurato che «la materia delle imposte sui redditi, per effetto dell’art. 19 del d.lgs. n. 46 del 1999, è regolata dall’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973» sicché «in via presuntiva, e secondo l’id quod plerumque accidit, può ritenersi che l’amministratore di fatto di una “cartiera” abbia direttamente incamerato i proventi dell’evasione addebitabile alla società e che, conseguentemente, spetti all’amministratore stesso fornire la prova contraria. Con la precisazione che in simili ipotesi è ben possibile l’assenza di evidenze contabili dell’evasione, analogamente a quanto chiarito dalla Corte a proposito dei ricavi occulti di società di capitali a ristretta base, distribuiti ai soci».5.2. Tale approccio, pur cogliendo un dato innegabile, ossiache, in tali ipotesi, esiste un soggetto che governa uti dominus la società di capitali, il quale fa proprie le attività, i redditi e i proventi dell’ente, cui lascia la formale responsabilità e l’onere delle imposte, non assolte, non appare pienamente soddisfacente dove sembra prefigurare che la società costituisca una mera fictio, dunque priva di realtà giuridica. Occorre sottolineare, sul punto, che, come affermato da questa Corte, «la simulazione assoluta dell'atto costitutivo di una società di capitali, iscritta nel registro delle imprese, non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell'agire sociale, destinata ad interferire con gli interessi dei terzi, donde l'irrilevanza, dopo l'iscrizione della società nel registro delle imprese e la nascita del nuovo soggetto giuridico, della reale volontà dei contraenti manifestata nella fase negoziale;tale fondamento, espressione del valore organizzativo dell'ente, è sotteso all'art. 2332 c.c., imponendosi dunque una lettura restrittiva dei casi di nullità della società da essi previsti, in nessuno dei quali è, quindi, riconducibile la simulazione»(Cass. n. 22560 del 04/11/2015;Cass. n. 20888 del 05/08/2019;Cass. n. 29700 del 14/11/2019, che precisa «tale nuovo autonomo soggetto giuridico, una volta iscritto nel registro delle imprese, agisce coinvolgendo terzi a prescindere dalla volontà effettiva, vive di vita propria ed opera compiendo la propria attività per realizzare lo scopo sociale, a prescindere dall'intento preordinato dei suoi fondatori»).
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