Cass. civ., sez. I, sentenza 03/06/2004, n. 10564
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Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE M R - Presidente -
Dott. P U R - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. F F - rel. Consigliere -
Dott. G P - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi riuniti, iscritti ai n.ri 19309 e 23648 del Ruolo Generale degli affari civili dell'anno 2001, proposti da:
F A, elettivamente domiciliata in Roma, V. Cassiodoro n. 1/A presso l'avv. S D M, e rappresentata e difesa, per procura a margine del ricorso, dall'avv. G L di Bari. - ricorrente -
contro
I E, domiciliata elettivamente in Roma, V. Fontanella Borghese n. 72, presso l'avv. A V, con l'avv. V T che la rappresenta e difende, per procura a margine del controricorso con ricorso incidentale.
- controricorrente e ricorrente incidentale -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Bari, 1^ Sez. civ., n. 518, del 23 maggio - 8 giugno 2000. Udita, all'udienza dell'8 gennaio 2004, la relazione del Cons. Dr. F F.
Uditi gli avv. C, delegato, per la ricorrente, e T, per la resistente, e il P.M. Dr. D C, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e L'assorbimento dell'incidentale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29 settembre 1998, il Tribunale di Bari ha accolto la domanda del settembre 1995 di Irma E, divorziata da Luigi D B deceduto il 23 novembre 1994, attribuendole il 78,11% della pensione di reversibilità della vedova Anna F, alla quale era riservato il residuo 21,89%, in rapporto alla durata dei due matrimoni, il primo con l'attrice contratto il 20 luglio 1955 e finito con la sentenza che ne aveva dichiarato cessati gli effetti civili il 24 agosto 1985 e il secondo con la convenuta, dal 19 giugno 1986 fino al decesso dell'uomo.
La F ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale, domandando di ridurre la quota di pensione riconosciuta alla E, considerando la sua convivenza more uxorio con il D B iniziata nel 1975 e le altre questioni alle quali i primi giudici non avevano dato rilievo, come la misura dell'assegno divorzile in favore della E o le condizioni economiche sue e di controparte, anche a ritenere il criterio della durata dei matrimoni con il deceduto, fondamentale al riparto tra loro della pensione di reversibiltà del defunto;solo nella conclusionale l'appellante ha richiamato le nuove circostanze del suo stato d'indigenza e delle patologie da cui era affetta.
La E, in secondo grado, ha ribadito le sue tesi, rafforzate a suo avviso dalle sentenze della Corte Costituzionale del 24 gennaio 1991 n. 13 e delle S.U. di questa Corte del 19 gennaio 1998 n. 159. La Corte d'appello di Bari con sentenza 8 giugno 2000, ha respinto il gravame e compensato le spese del grado, confermando il criterio della durata legale del matrimonio come principale nel disporre la ripartizione della pensione di reversibilità del coniuge divorziato, come statuito anche dalla cit. S.U. n. 159/98. Secondo la Corte di merito, peraltro la F nessuna prova aveva dato della sua convivenza more uxorio con il D B per oltre dieci anni prima del divorzio ne' potevano avere rilievo il fatto che l'assegno divorzile per la E corrispondeva al 20% della pensione di reversibilità o lo stato d'indigenza o le situazioni patologiche dell'appellante, dovendosi negare che ella dovesse mantenere il figlio maggiorenne G, titolare di autonoma pensione di reversibilità. Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso di due motivi, illustrati da memoria, la F e resiste, con controricorso e ricorso incidentale condizionato di un unico motivo, la E. MOTIVI DELLA DECISIONE
Anzitutto va disposta la riunione dei due ricorsi proposti contro la stessa sentenza, ex art. 335 c.p.c.. 1. Il primo motivo di ricorso principale deduce violazione dell'art. 9, commi 2^ e 3^, della L. 1^ dicembre 1970 n. 898, per avere la Corte d'appello erroneamente ritenuto che solo criterio per determinare la quota di pensione di reversibilità in favore del coniuge divorziato del de cuius. sia quello di proporzionarla alla durata legale del suo matrimonio in relazione a quella del coniuge avente diritto alla medesima pensione.
Si è in tal modo trascurato il rilievo che nella norma assume il coniuge superstite e in concreto si è attribuita a questo una quota irrilevante, non comprendendo nella durata del rapporto quello della separazione legale antecedente al divorzio, comportante comunque una minore durata della solidarietà coniugale.
La Corte d'appello barese ha fondato la sua decisione sulla sentenza delle S.U. n. 159/98, ignorando quella della C. Cost. 4 novembre 1999 n. 419, che ha chiarito che la durata del matrimonio "pur costituendo momento imprescindibile dell'apprezzamento del giudice, non è elemento esclusivo di esso, sì che la valutazione non si riduce a calcolo matematico".
Secondo il giudice delle leggi, la norma vuole garantire all'ex coniuge la continuità del sostegno economico, per il permanere dell'effetto della solidarietà familiare, mediante la reversibilità in suo favore di una quota della pensione spettante al coniuge. Se si intende assicurare il principio solidaristico in relazione al coniuge divorziato, altrettanto va fatto nei confronti di quello superstite e nel caso ciò non è avvenuto perché alla F, che godeva di tutti i redditi del defunto marito con esclusione dell'assegno di divorzio di L. 600.000, è stata invece assegnata la quota del 21,89% della pensione di reversibilità, così attribuendo alla E, che in precedenza aveva fruito del solo assegno nella misura indicata, una somma mensile di circa L. 3.000.000. L'intervento del giudice si giustifica proprio per il fatto che la ripartizione non può avvenire sulla base di un mero calcolo matematico, al quale il legislatore si riporta espressamente quando vuole un'attribuzione rigidamente proporzionale, come ad es., per il T.F.R., di cui all'art. 12 bis della L. 898/70. Se certamente il parametro della durata del matrimonio è importante, secondo la Corte di Cassazione, vanno adottati quei correttivi a detto criterio, che eliminino effetti eccessivamente in contrasto con il principio di solidarietà familiare, come, ad es., il riferimento alla misura dell'assegno di divorzio per il coniuge divorziato o il raffronto tra le condizioni economiche di questo e del coniuge superstite (il ricorso cita, a proposito, Cass. 10 ottobre 2000 n. 13460, 2 marzo 2001 n. 3037 e 6 aprile 2001 n. 5132). La ricorrente richiama poi la sentenza di questa Corte n. 12426 del 20 settembre 2000, per la quale si devono tenere presenti, nell'attribuzione della quota di pensione, per quanto possibile, i diritti a conservare il tenore di vita di cui fruivano l'ex coniuge, con l'assegno di divorzio e il superstite, con gli emolumenti che il de cuius gli assicurava.
Occorre, secondo la ricorrente, dare rilievo anche al rapporto di fatto preesistente al matrimonio ed erroneamente ciò è stato negato in appello, dovendosi tener conto della durata del matrimonio in quanto reale rapporto di vita comune e non come formale esistenza del vincolo, pervenendosi altrimenti a risultati iniqui e contrastanti col principio di solidarietà familiare e postconiugale. Secondo la controricorrente, unico elemento temporale cui fa riferimento pure la sentenza della Corte Costituzionale è quello della durata legale del matrimonio, alla quale è riconosciuto rilievo decisivo e nessuno spazio vi è nella legge per i rapporti di fatto, non rilevando la durata della convivenza, ma altri correttivi a evitare effetti eccessivamente iniqui della rigida applicazione dell'indicato parametro;ad avviso della E, la corte territoriale, anche senza citarla, ha tenuto presente la sentenza C. Cost. n. 419/99, negando però che la F avesse provato i fatti che potevano modificare la misura della quota di pensione di reversibilità riconosciutale in rapporto alla durata del suo matrimonio con il defunto D B.