Cass. pen., sez. I, sentenza 02/05/2023, n. 18211
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DI GIACOMO GIUSEPPE MARIA nato a ACI CATENA il 06/03/1965 avverso la sentenza del 19/05/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANIAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere V G;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SIMONE PERELLI che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;lette le conclusioni del difensore dell'imputato che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;lette le conclusioni del difensore delle parti civili che ha chiesto affermarsi la penale responsabilità dell'imputato;RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19 maggio 2022 la Corte di assise di appello di Catania ha confermato quella emessa il 24 marzo 2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato G M D G responsabile, quale mandante, di tre omicidi commessi, rispettivamente, il 18 dicembre 1993, il 3 agosto 1994 e il 21 febbraio 1995 e, ritenuta l'attenuante di cui all'art. 416b/s.1, comma 3, cod. pen. e la continuazione con i delitti di cui alla sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania dell'Il marzo 2015, lo aveva condannato alla ulteriore pena di quattro anni di reclusione, oltre statuizioni accessorie anche in relazione alle parti civili costituite. L'imputato è stato ritenuto responsabile dei tre delitti di omicidio aggravati dalla premeditazione, mentre l'aggravante di cui all'art. 416bis.1 cod. pen. non è stata giudicata operante in ragione del riconoscimento della circostanza attenuante della collaborazione. La prova della responsabilità penale è stata desunta dalle dichiarazioni confessorie dell'imputato il quale ha fatto parte, ricoprendo posizioni di vertice, del clan mafioso dei Laudani ed è stato mandante (impartendo i relativi ordini dal carcere ove era detenuto) degli omicidi per i quali si procede nel contesto della contrapposizione con il gruppo Cappello. La Corte di assise di appello si è soffermata sui tre motivi di impugnazione proposti dalla difesa e ha ritenuto, in primo luogo, non fondati i rilievi relativi alla intervenuta prescrizione dei delitti di omicidio, sulla scorta di quanto deciso dalle Sezioni Unite con sentenza n. 19756 del 24/09/2015, dep. 2016 della quale ha riportato ampi stralci. Il secondo motivo di impugnazione ha avuto riguardo all'estensione della diminuzione della pena per effetto dell'attenuante della collaborazione che, a dire della difesa, avrebbe dovuto essere riconosciuta nella sua massima estensione. Sul punto la Corte catanese ha disatteso il motivo di appello segnalando come la pena sia stata determinata in continuazione con altra sentenza irrevocabile con determinazione ritenuta, da un lato, congrua e, altresì, coerente con la pena minima applicabile nel caso di mancato riconoscimento della continuazione. Ha ritenuto, inoltre, infondato il terzo motivo di appello relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche per le quali, pur potendo le stesse concorrere con l'attenuante della collaborazione, è stata negata la concedibilità avendo la difesa valorizzato circostanze già valutate ai fini della concessione dell'attenuante speciale ed essendo stato il comportamento processuale già «premiato» con la riduzione per il rito prescelto. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione G M D G, per mezzo del proprio difensore Avv. Sante F, articolando tre motivi. 2.1. Con il primo ha eccepito l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 157 e seguenti cod. pen. in punto di prescrizione. Ha ampiamente argomentato in ordine all'applicabilità, nel caso in esame, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte catanese, del termine di prescrizione di quindici anni, in base alla legge applicabile al caso di specie (antecedente alla riforma della prescrizione di cui alla legge n. 251 del 2005). Nel caso di specie, essendo stata riconosciuta, con regime di prevalenza, l'attenuante speciale (e conseguente riduzione della pena massima in misura inferiore ai ventiquattro anni di reclusione), nella determinazione del tempo necessario a prescrivere era necessario fare riferimento al giudizio di comparazione compiuto dal giudice e non al reato come contestato in rubrica. Peraltro, secondo la difesa, se anche volesse farsi riferimento alla imprescrittibilità dei reati puniti con la pena dell'ergastolo, occorrerebbe considerare che, nel caso di specie, l'applicabilità di tale pena è stata esclusa per effetto della concessione dell'attenuante speciale. Alla luce di tali considerazioni ha sollecitato la revisione dell'orientamento delle Sezioni Unite richiamato dai giudici di merito, anche alla luce di altro precedente arresto del massimo organo nomofilattico che, proprio alla concessione dell'attenuante speciale, aveva collegato la produzione di effetti favorevoli al reo anche in punto di prescrizione. L'orientamento fatto proprio dalla Corte siciliana non spiegherebbe, inoltre, l'equiparazione, a fini prescrizionali, di un reato punito ex se con la pena dell'ergastolo con quello che riceve la medesima sanzione solo per effetto della ricorrenza di una circostanza aggravante. Da ciò emergerebbero seri problemi di ragionevolezza dell'intero sistema. A supporto di quanto affermato, la difesa ha indicato le innovazioni introdotte con la riforma dell'art. 157 cod. pen. ad opera del d.lgs. n. 151 del 2005 proprio in relazione alla irrilevanza, ai fini del calcolo del termine necessario alla prescrizione, dell'art. 69 cod. pen. In sostanza, in base alla normativa applicabile ratione temporis, il calcolo della prescrizione andrebbe eseguito tenendo conto della concreta qualificazione giuridica del reato effettuata dal giudice alla luce di tutti gli elementi circostanziali ritenuti. 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione di legge con ( riferimento all'art. 62-bis cod. pen. in ragione della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Sul punto la Corte avrebbe anche reso una motivazione contraddittoria e illogica laddove ha assegnato rilievo a circostanze quali la gravità del reato e la capacità a delinquere ricavati dalla «eccezionale resipiscenza» dell'imputato dalla quale è originata la scelta di recidere il collegamento con gli ambienti criminali e di rendere ampia confessione. Il ricorrente ha, quindi, individuato nella scelta di collaborare con la giustizia l'elemento rivelatore delle connotazioni negative valorizzate dai giudici di merito che, in assenza delle dichiarazioni confessorie, mai sarebbero venuti a conoscenza dei particolari riferiti dall'imputato. Ha, inoltre, ritenuto che alla base del giudizio della Corte di appello vi sia l'assunto secondo cui la concessione dell'attenuante della collaborazione sarebbe preclusiva di quella delle attenuanti generiche. Tale argomentazione contrasta con la sostanziale atipicità degli elementi suscettibili di essere valorizzati ai fini dell'applicazione dell'art. 62-bis cod. pen. Inoltre, è stata censurata la decisione della Corte di assise di appello di non prendere in considerazione una serie di elementi (analiticamente indicati in ricorso) che avrebbero dovuto, invece, essere presi in esame.
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