Cass. civ., sez. I, sentenza 15/09/2004, n. 18554
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Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE M R - Presidente -
Dott. P U R - Consigliere -
Dott. P D - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. G P - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso proposto da:
C di R, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'Avv. F A in forza di procura speciale a margine del ricorso
- ricorrente -
contro
M A, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'Avv. I G in forza di procura speciale a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania n. 471/2000 pubblicata il 28.7.2000. Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18.2.2004 dal Consigliere Dott. G P.
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. M V, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28.11.1997, M A conveniva davanti alla Corte di Appello di Catania il Comune di Ragusa, premettendo:
a) che, con decreto del 9.4.1990, il Sindaco di detto Comune aveva pronunciato l'espropriazione di mq. 3.108 di un terreno di sua proprietà sito nel Comune medesimo, del quale era stata disposta l'occupazione temporanea ed urgente, con ordinanza dell' 11.1.1984, per la costruzione dell'edificio sociale della Cooperativa Castellana di Marina di Ragusa;
b) che l'indennità provvisoria offerta nella misura di lire 14.000 al metro quadrato non era stata accettata e che la competente Commissione Provinciale aveva determinato l'indennità definitiva sulla base di lire 40.000 al metro quadrato per il calcolo di cui all'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992. Tanto premesso, l'attore, ritenendo esiguo il valore attribuito al terreno espropriato, posto in zona edificabile interamente urbanizzata alla data del provvedimento ablatorio, chiedeva la determinazione dell'indennità di espropriazione sulla base del valore di mercato di lire 400.000 al metro quadrato, oltre che dell'indennità di occupazione legittima, con relativa liquidazione delle somme dovute dall'Ente territoriale unitamente agli accessori. Costituitosi in giudizio, quest'ultimo eccepiva l'inammissibilità della domanda tesa alla determinazione dell'indennità di occupazione, siccome proposta dopo la scadenza del termine di giorni trenta dalla comunicazione, asserendo inoltre che il valore indicato dalla Commissione Provinciale era corrispondente al valore di mercato del terreno e che l'indennità di espropriazione doveva essere liquidata in base alla metà di tale valore, oltre che decurtata del 40%.
Il Giudice adito, con sentenza del 6.3/28.7.2000, determinava ambedue le indennità in argomento, impartendo le conseguenziali statuizioni e, per quanto qui interessa, segnatamente assumendo:
a) che il consulente di ufficio, detraendo dal valore lordo delle aree (riconosciute edificabili dallo stesso espropriante) l'estensione destinata ad opere di urbanizzazione ed il costo delle stesse, avesse posto a base del sistema di calcolo con il metodo sintetico e di quello con il metodo analitico il valore di lire 200.000 al metro quadrato, addivenendo quindi al valore di lire 112.000 al metro quadrato, risultante dalla media dei valori raggiunti attraverso quattro diversi sistemi di calcolo;
b) che il valore, determinato in lire 66.000 ed in lire 74.000 al metro quadrato rispettivamente, attribuito dalla medesima Corte, in precedenti decisioni, a terreni limitrofi a quello in oggetto, espropriati nel 1988, non fosse significativo, dal momento che nella relazione di altro consulente di ufficio, allegata agli atti, era stato sottolineato il notevole aumento di valore, pari al doppio o addirittura al triplo, registrato dalle aree della zona a partire da tale anno, così da determinare, con riferimento all'anno di espropriazione 1989, un valore di mercato di lire 145.000 al metro quadrato;
c) che non dovesse venire operata la decurtazione del 40%, atteso che il valore attribuito dall'espropriante all'area, di indiscussa vocazione edificatoria, sia nella liquidazione provvisoria di lire 14.000 al metro quadrato sia in quella definitiva di lire 40.000, come pure il valore effettivo di lire 17.000 al metro quadrato, risultava decisamente inferiore al valore di mercato indicato dal consulente di ufficio, nonché a quello determinato in lire 74.000 al metro quadrato dalla medesima Corte in altra pronuncia passata in giudicato.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione il Comune di Ragusa, deducendo tre motivi di gravame ai quali resiste l'Arezzo con controricorso, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve, innanzi tutto, essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso preliminarmente sollevata dal controricorrente in riferimento all'asserita mancanza di prova circa la legittimazione processuale del legale rappresentante dell'Ente avversario, affermandosi, da parte del medesimo controricorrente, che, sebbene nel ricorso anzidetto sia indicata la deliberazione della Giunta Municipale (n. 253 del 27.3.2001) di autorizzazione a stare in giudizio conferita al Sindaco, la deliberazione stessa non risulta poi prodotta agli atti.
Basterà, al riguardo, notare come, contrariamente all'assunto che precede, la deliberazione in parola figuri regolarmente depositata, rinvenendosi quindi nel relativo fascicolo del ricorrente. Con il primo motivo di impugnazione, lamenta quest'ultimo violazione di legge, nonché erroneità ed insufficienza della motivazione su un punto rilevante della controversia, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., deducendo:
a) che il Comune ha censurato il valore dell'area determinato dal CTU, acriticamente fatto proprio dalla Corte territoriale, sia perché siffatta determinazione risulta sproporzionata rispetto ad altre stime di terreni limitrofi espropriati nel 1988, sia perché le quattro ipotesi di stima operate dal medesimo CTU (e poi da lui mediate) non sono omogenee, presentando, invece, delle divergenze (da lire 92.000 e lire 140.000 al metro quadrato) tali da farle apparire inattendibili;
b) che sulle valutazioni critiche della stima la sentenza sorvola inspiegabilmente, limitandosi a sostenere che altro CTU avrebbe affermato che il valore dell'area sarebbe notevolmente aumentato a partire dal 1989;
c) che un simile assunto, oltre che illogico ed immotivato, non è neppure documentato, laddove, del resto, esso appare in contrasto con elementi di prova certi (le sentenze pronunciate dalla stessa Corte territoriale nel 1995 e nel 1996), che detto giudice incongruamente disattende senza alcuna spiegazione ragionevole;
d) che il medesimo giudice non ha poi tenuto conto, neppure per rigettarle, delle valutazioni difensive del Comune con le quali, in particolare, veniva rappresentata la disomogeneità della stima di capitalizzazione rispetto agli altri criteri adottati dal CTU e la sua difficoltà a trovare corretta applicazione in una frazione balneare a causa di molteplici peculiarità;
b) che il CTU, pertanto, per rendere credibile il criterio di capitalizzazione di stima, avrebbe dovuto distinguere tra locazioni stagionali a tipologia turistica e locazioni per abitazione, laddove il criterio uniforme seguito rende inattendibile la stima, tanto vero che conduce alla formazione di un dato non omogeneo di gran lunga superiore agli altri criteri utilizzati, onde, poiché la stima è stata effettuata sulla base della media dei criteri utilizzati dal CTU, è evidente che il criterio di capitalizzazione di gran lunga divergente, in eccesso, dagli altri non solo è stato erroneamente valutato ed applicato, ma ha altresì inciso gravemente sulla media falsandone le risultanze.
Il motivo non è fondato.
La Corte territoriale, infatti, è addivenuta alla determinazione in lire 112.000 al metro quadrato del valore venale dell'area espropriataci indiscussa vocazione edificatoria", sulla base dei seguenti rilievi:
a) che "L'ente pubblico espropriante ha apprezzato l'ottima cognizione delle modalità di computo del valore venale dell'area espropriata del consulente di ufficio, il quale, sia nella stima secondo il metodo sintetico che in quella con il metodo analitico..., (ha elaborato) i dati in suo possesso con valutazioni ineccepibili, ma ha ritenuto erroneo il valore di L. 200.000 mq. posto a base dei due sistemi di calcolo senza indicare altro diverso e più congruo valore dell'area";
b) che "Il Comune di Ragusa ha criticato anche il valore del terreno di L. 112.000 al mq., risultante dalla media dei valori raggiunti attraverso quattro diversi sistemi di calcolo, ritenendolo eccessivo anche in relazione al valore attribuito a terreni limitrofi a quello in questione espropriati nel 1988 e determinati in L. 66.000 e in L. 74.000 al mq.";
c) che "La sentenza n. 434 del 1996 di questa Corte che ha adottato quest'ultimo valore per altro tratto di terreno espropriato per la costruzione di edifici della stessa cooperativa Castellana è stata richiamata nella relazione (redatta da altro consulente di ufficio) allegata agli atti nella quale è stato sottolineato il notevole aumento di valore, raddoppiato o addirittura triplicato, delle aree della zona a partire dal 1988, determinando, con riferimento all'anno di espropriazione - 1989 - il valore di mercato in L. 145.000 al mq.".
Tanto premesso, giova quindi notare in ordine alle censure specificatamente dedotte dal ricorrente:
1) che la Corte territoriale, per quanto attiene alla critica rivolta dal Comune al "valore dell'area determinato dal CTU...perché l'indennità è stata determinata in maniera sproporzionata rispetto ad altre stime di terreni limitrofi espropriati nel 1988", non solamente ha fornito congrua motivazione (secondo quanto riportato sotto la lettera "c" che precede), ma ha altresì offerto una giustificazione (fondata, come si è detto, sul rilievo del "notevole aumento di valore, raddoppiato o addirittura triplicato, delle aree della zona a partire dal 1988") di per sè affatto ragionevole (e, come tale, immune da vizi logico-giuridici), ancorandola a specifici elementi probatori (la relazione, redatta da altro consulente di ufficio ed allegata agli atti, da cui peraltro risulta, con riferimento all'anno di espropriazione "1989", il valore di mercato di L. 145.000 al metro quadrato), tanto più significativi quanto più si consideri la mancanza, secondo quel che è dato di ricavare già dallo stesso apprezzamento del giudice di merito, di indicazioni di sorta circa "altro diverso e più congruo valore dell'area" da parte dell'odierno ricorrente, il quale neppure in ricorso ha fornito più analitiche precisazioni a quest'ultimo riguardo;
2) che, del pari, appaiono infondate le censure relative alle "quattro ipotesi di stima operate dal CTU (e poi da lui mediate)", atteso che, risultando di per sè perfettamente ragionevole che "diversi sistemi di calcolo" presentino "divergenze", nessuno specifico elemento ha comunque prospettato il ricorrente, il quale non ha analiticamente riportato in ricorso le "valutazioni difensive" che si pretendono sviluppate in sede di merito, a sostegno dell'assunto circa la loro "disomogeneità" e "inattendibilità";
3) che, a quest'ultimo proposito, non può sottacersi, in particolare, come la Corte territoriale abbia determinato in L. 112.000 al metro quadrato il valore venale del terreno sulla base della "media" dei valori raggiunti attraverso i quattro diversi sistemi di calcolo sopra indicati, laddove il ricorrente, il quale ha dedotto la pretesa "disomogeneità della stima di capitalizzazione rispetto agli altri criteri adottati dal CTU", ovvero la divergenza (in eccesso, siccome di gran lunga superiore) del criterio (uniforme) di capitalizzazione rispetto a questi ultimi, la cui "erronea elaborazione" avrebbe inciso "gravemente sulla media falsandone le risultanze", non ha neppure minimamente specificato, così contravvenendo al principio stesso di autosufficienza del ricorso, la reale portata e l'effettiva consistenza vuoi dell'uno vuoi degli altri, in guisa tale da mettere questa Corte nelle condizioni di apprezzare, semmai, la sussistenza, sotto le specie prospettate, del denunciato vizio di motivazione.
Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione di norme di diritto, alla luce dell'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 ed in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c.,
deducendo:
a) che la Corte territoriale ha ingiustamente ritenuto di non effettuare la detrazione del 40% per indennità non accettata, sostenendo che "solo l'opposizione alla giusta indennità rende applicabile la riduzione";
b) che la giurisprudenza della Suprema Corte addotta a sostegno dal giudice di merito riguarda la fase intermedia cui fa riferimento la nota sentenza additiva della Corte Costituzionale, secondo la quale, nell'ambito dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della richiamata legge n. 359 del 1992, la riduzione è del 40% non poteva essere disposta se non fosse intervenuta un'offerta adeguata e congrua dell'indennità;
c) che il caso di specie riguarda, invece, la piena ed integrale applicazione dell'art. 5 bis, dal momento che, pur essendo stato il decreto di esproprio emesso precedentemente all'entrata in vigore della già citata legge n. 359/1992, la stima dell'UTE risale ad un'epoca successiva alla medesima entrata in vigore, onde, in mancanza del fatto eccezionale costituito dalla cessione volontaria, deve operare la riduzione in parola, la quale è uno degli elementi essenziali (e non eventuali) di determinazione dell'indennità;
d) che, non essendo poi la giusta misura di quest'ultima quella erroneamente determinata nella sentenza impugnata, ma quella che risulterebbe da una stima più adeguata, il giudizio di inadeguatezza verrebbe a cadere, dal momento che il quantum debeatur in favore del proprietario espropriato verrebbe corretto in termini ampiamente riduttivi.
Il motivo non è fondato.
Occorre, al riguardo, premettere che, vuoi sulla base della prospettazione del ricorrente, vuoi sulla base di quanto traspare, comunque, dall'incensurato apprezzamento di fatto della Corte territoriale, il decreto di espropriazione è stato emesso, nella specie, il "9 aprile 1990", ovvero anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, laddove, a tale data, non risultava intervenuta neppure la determinazione "definitiva", in via amministrativa, della relativa indennità ad opera della competente Commissione Provinciale presso l'UTE, la quale, recando "il calcolo di cui all'art. 5 bis della (citata) L. 359 del 1992", risale evidentemente ad una data "posteriore" a quella da ultimo indicata. Ne consegue che, nella specie, deve trovare applicazione il regime risultante:
a) per un verso, dalla pronuncia additiva della Corte Costituzionale (sentenza n. 283 del 1993), là dove quest'ultima, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 bis della richiamata legge n. 359/1992, nella parte in cui non era previsto, in favore dei soggetti già espropriati al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina normativa concernente i criteri per la liquidazione dell'indennità di espropriazione di cui allo stesso art. 5 bis (semisomma del valore venale e del reddito dominicale rivalutato, ridotta del quaranta per cento) senza che l'indennità di esproprio fosse divenuta, a quella medesima data, incontestabile per esserne stata determinata in via definitiva l'entità, il diritto di accettare l'indennità determinata ai sensi del primo comma della disposizione sopra riportata così evitando la decurtazione del 40%, ha introdotto per i soggetti anzidetti la facoltà di sottrarsi all'indicata decurtazione attraverso l'accettazione appunto dell'indennità calcolata alla stregua di tali nuovi criteri, onde, qualora l'espropriante, dopo il decreto ablatorio, abbia offerto nel corso della procedura espropriati va iniziata prima dell'entrata in vigore del decreto legge n. 333 del 1992 (poi convertito nella già citata legge n. 359 del 1992) un'indennità determinata secondo i nuovi criteri e questa non venga accettata dagli espropriati, va applicata la riduzione del quaranta per cento;
b) per altro verso, dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha costantemente ritenuto che, affinché abbia ad operare il meccanismo di decurtazione dianzi riferito, non è tuttavia sufficiente il solo fatto che l'espropriante abbia avuto a formulare una nuova offerta di indennità calcolata sulla base dei sopravvenuti criteri normativi, ma è altresì necessario che quest'ultima, oltre che ragionevolmente tempestiva, sia altresì congrua, ovvero non si manifesti palesemente irrisoria, simbolica o, comunque, strumentalmente mirata ad ottenere l'abbattimento, così da garantire, e non elidere o vanificare, la facoltà di scelta del proprietario tra l'accettazione dell'indennità offerta, ancorché in misura (non eccessivamente) minore, ma esente da decurtazione ed il rischio della liquidazione giudiziale gravata dall'applicazione del criterio riduttivo (Cass. 16 marzo 2000, n. 3040;Cass. 21 febbraio 2001, n. 2498;Cass. 8 maggio 2001, n. 6361;Cass. 12 aprile 2002, n. 5263;Cass. 6 giugno 2003, n. 9097). Nella specie, quindi, del tutto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto di non dover operare "la decurtazione del 40% per la mancata accettazione dell'indennità offerta", atteso che una simile decisione, per un verso, sottende implicitamente, o comunque non contraddice, il riferimento al regime "transitorio" sopra illustrato, laddove, per altro verso, poggia su un apprezzamento il quale (rappresentato com'è dal rilievo che "il valore attribuito dall'espropriante all'area, di indiscussa vocazione edificatoria, sia nella liquidazione provvisoria di L. 14.000 al mq. che in quella definitiva di L. 40.000 quale base di calcolo ai sensi dell'art. 5 bis della L. 359 del 1992 e quindi il valore effettivo di L. 17.000
al mq. è decisamente inferiore al valore di mercato indicato dal consulente di ufficio, oltre che a quello determinato nella...decisione della Corte n. 434 di L. 74.000 mq. passata in giudicato") va immune da censura siccome estrinsecato attraverso una motivazione che, anche in relazione a quanto osservato precedentemente, si palesa del tutto ragionevole (e, perciò, esente da vizi logico-giuridici), segnatamente per quel che concerne la riconosciuta "incongruità" dell'indennità offerta. Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione di norme di diritto, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c. e dell'art. 41 della legge n. 2359 del 1865, deducendo:
a) che il terreno de quo, originariamente agricolo, era completamente sprovvisto di strade ed opere di urbanizzazione, le quali vennero realizzate dal Comune, a proprie spese, nel periodo di occupazione di urgenza, sicché l'area, al momento dell'espropriazione, è stata ritenuta dotata già di alcuni servizi ed interventi pubblici che in una lottizzazione sarebbero stati sopportati dai privati lottizzanti;
b) che la Corte territoriale non ha ritenuto di detrarre dalla determinata indennità l'estensione delle aree che, in una lottizzazione, vengono cedute gratuitamente all'ente pubblico, ne' il valore delle opere di urbanizzazione che, in una lottizzazione, vengono addossate al privato lottizzante, così come non ha ritenuto di detrarre dall'indennità le spese per opere di urbanizzazione realmente sostenute dal Comune;
c) che l'indennità doveva essere decurtata, ai sensi dell'art. 42 della legge n. 2359 del 1865, dell'incremento di valore determinato
dalla realizzazione dell'opera pubblica, avendo a tal fine la giurisprudenza più volte precisato che vanno computati e, quindi, detratti i benefici che siano pure indipendenti dall'espropriazione, ivi comprendendo anche le opere di urbanizzazione eseguite nella zona dall'espropriante ed incidenti sulla edificabilità di fatto. Il motivo non è fondato.
Al riguardo, conviene premettere che, nel caso di liquidazione dell'indennizzo espropriativo di terreni edificabili, giusta i criteri dettati dall'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992, l'iniziale determinazione del valore venale del suolo va compiuta, avuto riguardo alla data del decreto di esproprio, senza calcolare gli incrementi direttamente conseguenti alla realizzazione dell'opera pubblica cui l'espropriazione risulti preordinata, ovvero detraendo dal valore venale dell'immobile ablato, determinato con riferimento all'area urbanizzata, gli aumenti derivati da opere di urbanizzazione compiute dall'espropriante, in epoca successiva all'occupazione, per la realizzazione anzidetta, ma tenendo conto, per converso, degli eventuali benefici derivanti da interventi diversi, preesistenti ed indipendenti, ancorché consistenti in opere di urbanizzazione eseguite, nella zona, dallo stesso espropriante prima dell'occupazione, le quali assicurano l'immediata utilizzazione edificatoria dell'area, apprezzabile come sua qualità intrinseca, rilevante in una libera contrattazione (Cass. 6 febbraio 1990, n. 798;Cass. 16 marzo 1993, n. 3126;Cass. 27 agosto 1998, n. 8523;Cass. 29 agosto 1998, n. 8648). Tanto premesso, con specifico riguardo alle censure dedotte dal ricorrente si osserva:
a) che quest'ultimo, contravvenendo al principio stesso di autosufficienza del ricorso, non ha fatto il benché minimo richiamo, riportandone semmai analiticamente il contenuto, alle risultanze dell'elaborato peritale dalle quali sia dato di ricavare che, in violazione dei criteri sopra enunciati, nella quantificazione dell'indennità sia stato computato l'"incremento di valore determinato dalla realizzazione dell'opera pubblica", tanto più che dall'incensurato (di per sè) accertamento di fatto della Corte territoriale si evince come "L'ente pubblico espropriante ha apprezzato l'ottima cognizione delle modalità di computo del valore venale dell'area espropriata del consulente di ufficio...ma ha ritenuto erroneo il valore di L. 200.000 mq., posto a base dei due sistemi di calcolo, senza indicare altro diverso e più congruo valore dell'area", ovvero "ha criticato anche il valore del terreno di L. 112.000 al mq., risultante dalla media dei valori raggiunti attraverso quattro diversi sistemi di calcolo, ritenendolo eccessivo anche in relazione al valore attribuito a terreni limitrofi a quello in questione espropriati nel 1988...";
b) che dal suddetto apprezzamento si ricava altresì come il medesimo consulente, vuoi nella stima secondo il metodo sintetico vuoi in quella con il metodo analitico, abbia comunque "detratto dal valore lordo delle aree l'estensione destinata ad opere di urbanizzazione e il costo delle stesse, elaborando i dati in suo possesso con valutazioni ineccepibili, onde, per ciò solo, si palesa l'infondatezza delle censure del ricorrente, là dove quest'ultimo ha lamentato invece che la Corte territoriale, da un lato, non abbia ritenuto di detrarre dalla determinata indennità l'estensione delle aree che in una lottizzazione vengono cedute gratuitamente all'ente pubblico ne' il valore delle opere di urbanizzazione che in una lottizzazione vengono addossate al privato lottizzante, nonché, dall'altro lato, che detto giudice non abbia ritenuto di detrarre dall'indennità le spese per opere di urbanizzazione realmente sostenute dal Comune.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
La sorte delle spese del giudizio di cassazione segue il disposto dell'art. 385, primo comma, c.p.c, liquidandosi dette spese in euro 100,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per onorario, oltre il rimborso delle spese generali (nella misura forfettaria del dieci per cento sull'importo dell'onorario medesimo) e gli accessori (IVA e Cassa Previdenza Avvocati) dovuti per legge.
Al riguardo, con specifico riferimento alla nota spese in data 6.2.2004 presentata dal controricorrente, si rappresenta:
a) da un lato, che le spese di registrazione della sentenza di appello appartengono al novero delle spese del relativo giudizio, non già di quelle del giudizio di Cassazione;
b) dall'altro lato, che all'avvocato cassazionista, per il patrocinio svolto innanzi alla Corte Suprema, spettano esclusivamente gli onorari secondo le prescrizioni della tabella A) della tariffa forense (di cui al decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585), mentre nulla è dovuto per le c.d. "competenze" procuratorie, ovvero per le attività eventualmente svolte in conformità alle voci della tabella B) della medesima tariffa, il cui compenso deve ritenersi conglobato negli indicati onorari (Cass. 3 luglio 1975, n. 2582;Cass. 10 gennaio 1976, n. 45;Cass. 27 febbraio 1979, n. 1278;Cass. 12 marzo 1986, n. 1672;Cass. 21 marzo 1989, n. 1410;Cass. 26 giugno
1997, n. 5712;Cass. 2 febbraio 2000, n. 1141).