Cass. pen., sez. V, sentenza 07/04/2021, n. 13075
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MINESE SALVATORE nato a FOGGIA il 07/08/1954 avverso la sentenza del 03/02/2020 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore T E che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 3 febbraio 2020, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, riconosciute le circostanze attenuanti generiche che dichiarava equivalenti alla contestata aggravante contestata, rideterminava la pena inflitta a S M per il delitto contestatogli ai sensi degli artt. 485, 491, 61 n. 7 cod. pen., per avere, in concorso con il materiale redattore rimasto ignoto, formato un falso testamento olografo datandolo 12 ottobre 1980 attribuito alla mano di M M, deceduto il 31 luglio 2006, consegnandolo ad un notaio, il 4 settembre 2013, per la pubblicazione, così provocando una danno rilevante a coloro che, altrimenti, ne sarebbero stati gli eredi legittimi. Il prevenuto era stato condannato, anche, a risarcire i danni causati alle costituite parti civili, L V B e A M. 1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte distrettuale osservava quanto segue. Ricordava, innanzitutto, la successione dei fatti. Il de cuius M M era mancato il 31 luglio 2006 ed il suo asse ereditario comprendeva immobili ed oggetti d'arte e di antiquariato. In assenza di legittimari, essendogli premorta la madre, il fratello e la sorella, gli eredi legittimi erano i fratelli e le sorelle della madre, V, A, A e L V M (gli ultimi due sono le costituite parti civili), la cui esistenza in vita aveva comportato l'esclusione dei figli degli altri zii materni, fra i quali l'odierno imputato S M, figlio del premorto Gerardo. Ciò nonostante, l'imputato (insieme ai suoi fratelli ed agli altri cugini) aveva citato in giudizio gli zii per vedersi riconoscere la qualità di erede legittimo. La causa si era però avviata verso la soccombenza, avendo il giudice escluso le prove richieste, con ordinanza del 16 maggio 2013 in cui aveva anche disposto che si precisassero le conclusioni alla successiva udienza del 5 luglio 2013. Nelle more di tale controversia civile, il 4 settembre 2013, il prevenuto aveva consegnato ad un notaio di Torino un testamento olografo, apparentemente redatto, quindi, dal de cuius, in cui questi l'avevano nominato erede universale. Cinque giorni dopo, il 9 settembre 2013, l'imputato stipulava con tale Antonio Lo Giudice un contratto preliminare di cessione di tutti gli immobili, ottenendo come corrispettivo promesso la compensazione di debiti contratti con il medesimo per euro 440.000 e il residuo, valutato 4.000.000 di euro, la costituzione di una rendita vitalizia mensile di euro 20.000.Concludeva poi, con lo stesso Lo Giudice, i seguenti contratti, definitivi, così effettivamente cedendo alcuni immobili: - il 21 novembre 2013, gli vendeva due alloggi, rinunciando all'ipoteca legale a garanzia del pagamento del prezzo, per complessivi euro 300.000 euro, ricevendo un assegno che non incassava;- il 6 dicembre 2013, gli vendeva un altro immobile, al prezzo di euro 140.000, ricevendo un altro assegno che ancora non incassava. Per un totale, quindi, di euro 440.000 (la somma indicata in preliminare quale restituzione di un debito contratto con il Lo Giudice). Il 10 gennaio 2014, conferiva a Lo Giudice dieci distinte procure alla vendita dei residui immobili. Nel frattempo, il 19 dicembre 2013 ed il 26 marzo 2014, gli zii materni, gli eredi legittimi pregiudicati dal testamento, formalizzavano le querele - sostenendo la falsità dello stesso - che davano origine al presente procedimento. 1.2. La Corte territoriale aggiungeva che: - l'imputato aveva riferito di avere rinvenuto il testamento per caso, nel corso del 2013, quando era caduto e si era rotto il quadro in cui era stato occultato dal testatore, un quadro che gli era stato donato proprio dal de cuius quando aveva fatto da padrino al battesimo di suo figlio, il 30 novembre 1980;- l'appellante aveva giustificato la preferenza accordatagli dal testatore, a detrimento degli altri eredi, con l'assidua frequentazione dovuta anche dall'essere entrambi consumatori di sostanze stupefacenti. 1.3. Tutto ciò premesso in ordine al succedersi degli eventi, la Corte distrettuale, e prima ancora il Tribunale, aveva ritenuto inattendibile la ricostruzione degli stessi offerta dall'imputato, pur se confermata dalla moglie e dalla compagna (che erano però interessate alle sue sorti economiche), considerando come: - nel 1980 il testatore era ancora così giovane da non avere alcuna ragione per redigere un atto di ultima volontà, che oltretutto, preternnettesse la madre alla quale era particolarmente legato;- non era stata individuata poi alcuna concreta giustificazione alla preferenza accordata al prevenuto, non avendo, il testatore, mostrato di prediligerlo rispetto alla vasta platea dei suoi altri (rispetto alla madre) parenti (con alcuni dei quali aveva mantenuto una costante corrispondenza epistolare, non intercorsa con l'imputato);- l'occultamento della scheda in un luogo ove aveva corso il rischio di non essere mai rinvenuta era del tutto incongruo;- lo stile utilizzato nel redigerlo era essenziale, totalmente diverso al suo solito, particolarmente ampolloso;- erano, poi, significative le immediate cessioni realizzate (a prezzi, non corrisposti, molto inferiori a quelli di mercato) dall'imputato, evidentemente volte a costituire un ostacolo al recupero degli stessi ad opera degli eredi legittimi (peraltro i beni erano stati poi sequestrati al Lo Giudice ad esito di una misura di prevenzione a suo carico);- il consulente del pubblico ministero aveva escluso che la scheda fosse stata redatta dal de cuius (pur se il consulente della difesa aveva altrimenti concluso). Non mutava il descritto quadro complessivo la rivendicata frequentazione familiare fra l'imputato ed il defunto e la circostanza che quest'ultimo coltivasse frequentazioni tali da provocarne la condanna per favoreggiamento di alcuni appartenenti a Cosa Nostra. Concludeva, così, la Corte territoriale, che, a fronte di un simile compendio probatorio - altrimenti raggiunta la certezza della falsificazione del testamento da parte del prevenuto - non vi era ragione per disporre la richiesta perizia per individuare la data di redazione del documento, datando la carta su cui era stato vergato (trattandosi di un accertamento non decisivo, potendosi in qualsiasi momento reperire carta risalente negli anni) e/o l'inchiostro (per l'inaffidabilità tecnica dell'accertamento).
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