Cass. civ., sez. III, sentenza 28/07/2004, n. 14243

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 28/07/2004, n. 14243
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14243
Data del deposito : 28 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F G - Presidente -
Dott. L E - rel. Consigliere -
Dott. P R - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. P L R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S M L, F ECA, F G, elettivamente domiciliati in Roma Via Bodoni, 6 presso lo studio dell'avvocato D M, che li difende unitamente all'avvocato G B, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


contro
C.A.M.P.A. (CASSA NAZIONALE ASSISTENZA MALATTIE PROFESSIONISTI ARTISTI E LAVORATORI AUTONOMI);
Società di Mutuo Soccorso in persona del Presidente Avv. F B, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA PISANELLI

4, presso lo studio dell'avvocato G G, difesa dall'avvocato M C, giusta delega in atti;

- controricorrante -
avverso la sentenza n. 859/00 della Corte d'Appello di B BRESCIA, sezione seconda civile emessa e depositata il 29/12/2000;
RG. 781/95;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/06/04 dal Consigliere Dott. E L;

udito l'Avvocato M C;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO

Pasquale Paolo Maria che ha e concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 25 novembre 1991 M L S vedova F, E e G F, quali eredi dell'avv. Armando F, deceduto il 17 maggio 1989, esponevano che: a) il loro congiunto era stato iscritto alla Cassa Assistenza Malattie Professionisti, Artisti, Lavoratori Autonomi (d'ora in poi:
C.A.M.P.A.) per gli anni 1988 e 1989);
b) egli, a seguito di malattia, aveva subito numerosi ricoveri comunicati e documentati alla C.A.M.P.A., la quale, però, aveva respinto le richieste di rimborso spese e di indennità per il mancato rispetto dei termini prescritti per l'invio della documentazione sanitaria. Gli attori, pertanto, convenivano davanti al Tribunale di Brescia la menzionata C.A.M.P.A. per sentirla condannare al pagamento a loro favore della somma di L. 4l.126.780.
Costituitosi l'ente convenuto, il Tribunale adito, con la sentenza depositata il 15 maggio 1995, accoglieva la domanda attorea. La C.A.M.P.A. proponeva appello. Costituitisi gli appellati, la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza depositata il 29 dicembre 2000, ha respinto il primo motivo di appello, con cui l'appellante sosteneva che la controversia era devoluta ad arbitri ai sensi dell'art. 29 dello statuto della detta Cassa, perché ha giudicato nulla la richiamata previsione statutaria. La Corte ha, invece, accolto il secondo motivo di appello, premettendo che la C.A.M.P.A., essendo una società di mutuo soccorso (e non una società di mutua assicurazione, come affermato dal tribunale), non è soggetta alle norme del codice civile sul contratto di assicurazione;
ha perciò fatto applicazione dell'art. 20 dello statuto della C.A.M.P.A., del seguente tenore: "Per il conseguimento delle prestazioni è fatto obbligo al titolare del rapporto di associazione di inoltrare la domanda di assistenza entro otto giorni dall'insorgenza della malattia. La documentazione delle spese sostenute deve essere inviata alla C.A.M.P.A., con le modalità indicate nel regolamento, entro il termine massimo di tre mesi dalla fine dell'infermità o del periodo massimo di assistenza". Secondo la Corte, i termini indicati da tale clausola statutaria sono previsti a pena di decadenza dal diritto alla prestazione, "sia alla luce di una interpretazione letterale e logica della norma, sia alla luce di una interpretazione teleologica, sia ragionando in via analogica". Pertanto la Corte di appello, in riforma della pronunzia di primo grado, ha respinto la domanda degli attori.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia M L S ved. F, E e G F hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, a cui la C.A.M.P.A. ha resistito con controricorso e con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo i ricorrenti deducono "violazione e falsa applicazione di norme di legge (artt. 360 n. 3 e n. 5 in relazione ad art. 1362, 1363, 1366, 1369, 1370 e 1371 c.c.), omesso esame di questione decisiva, violazione dei criteri ermeneutici del contratto dettati dal codice, motivazione contraddittoria inesistente ed insufficiente in relazione alle questioni decisive", poste dalla interpretazione dell'art. 20 dello statuto della C.A.M.P.A. (trascritto in narrativa). I ricorrenti ripercorrono le argomentazioni esposte dalla sentenza impugnata a sostegno della natura perentoria dei termini previsti dal detto art. 20 e criticano specificamente gli argomenti di interpretazione letterale e logica, di interpretazione analogica e di interpretazione teleologica utilizzati dalla Corte di Appello.
Con il secondo motivo i ricorrenti sostengono che la qualificazione come perentori dei termini previsti dall'art. 20 dello statuto comporta la violazione e falsa applicazione di legge "in relazione ad art 1374 e 1323, 2964 e 2965, 1453, 1455, 1460 e 1218 c.c. (principi generali) da un lato e in relazione ad art. 14 delle preleggi ed artt. 1913 e 1915 comma 2 ex. da altro lato i (analogia)". I due motivi di ricorso sono strettamente connessi perché censurano l'interpretazione che la sentenza impugnata ha dato al disposto dell'art. 20 dello statuto della C.A.M.P.A..
2.- I due motivi sono fondati nelle censure di vizi logici e giuridici di motivazione.
Va premesso che l'interpretazione della citata norma statutaria, costituendo essa una norma interna della società parte in causa, rientra nei poteri del giudice del merito, sindacabile in questa sede di legittimità solo sotto l'aspetto della correttezza giuridica e logica della motivazione.
(Occorre, quindi, prendere in esame i diversi argomenti sulla base dei quali la sentenza impugnata è pervenuta a qualificare come perentori i due termini previsti dal trascritto art. 20 dello statuto, il primo di essi per l'inoltro della domanda di assistenza (otto giorni dall'insorgenza della malattia) ed il secondo per l'invio della documentazione delle spese sostenute (tre mesi dalla fine dell'infermità o del periodo massimo di assistenza). La correttezza di tali argomenti va valutata alla luce delle censure mosse nel ricorso per cassazione.
2.1.- Il primo argomento, desunto dalla formulazione letterale della norma statutaria, è cosi espresso dalla sentenza impugnata: "Non può essere ritenuta la natura ordinatoria dei termini, atteso che, in tal caso la norma si sarebbe dovuta limitare a indicare l'obbligo dell'avviso e dell'invio della documentazione, che attengono alle condizioni sostanziali per la genesi del diritto, senza necessità di riferimenti temporali".
L'argomento interpretativo, come esattamente si osserva nel ricorso (pag. 19-20), è illogico perché desume la natura perentoria del termine dal fatto che, nell'ipotesi opposta, la norma non avrebbe posto alcun "riferimento temporale", e cioè alcun termine per i due adempimenti in essa previsti (domanda di assistenza ed invio della documentazione). In tal modo il giudice del merito finisce con l'ignorare la distinzione tra termine perentorio e termine ordinatorio, il quale ultimo implica, anche esso, che un termine sia imposto per un determinato adempimento.
2.2.- Il secondo argomento, desunto da una interpretazione che la Corte di appello ha qualificato come "teologica", consiste nella considerazione che "la conoscenza tempestiva delle prestazioni da erogare" ha;
la finalità di consentire la "più corretta redazione dei bilanci di previsione" e di "calcolare la misura dei contributi a carico degli associati", tenuto conto che "la natura di società di mutuo soccorso della C.A.M.P.A. comporta il regime di ripartizione tra i contributi e le prestazioni".
Ma il collegamento tra il rispetto dei termini previsti dall'art. 20 dello statuto e la redazione del bilancio di previsione è meramente affermato, e non dimostrato o in alcun modo analizzato, onde rimane una enunciazione generica.
Nel controricorso della C.A.M.P.A. il collegamento viene instaurato (più che con il bilancio preventivo, da redigere entro il 31 ottobre di ciascun aiuto) con il bilancio consuntivo "che viene chiuso al 31 marzo successivo", data che consente di tenere conto delle "malattie verificatesi dopo il 31 ottobre". Ma tale affermazione della parte resistente (integrativa e parzialmente correttiva della sentenza impugnata) non tiene conto che il termine di tre mesi per rinvio della documentazione decorre, secondo l'art. 20 dello statuto, "dalla fine dell'infermità", che può verificarsi a distanza anche notevole dalla denuncia di "insorgenza" della stessa, onde è da escludere che il bilancio consuntivo di un dato anno possa tenere conto di tutte le spese determinate dalle malattie insorte nel corso dello stesso anno, anche ipotizzando il rispetto dei termini previsti dal citato art. 20.
Deve, allora, concludersi che l'elemento di interpretazione i teologica è motivato in modo generico ed insufficiente, come hanno osservato i ricorrenti (pag. 23 del ricorso).
2.3.- Il terzo elemento di interpretazione (qualificata "analogica"), utilizzato nella sentenza impugnata, consiste nel richiamo dell'art. 915 c.c.) sull'inadempimento, da parte dell'assicurato, dell'obbligo
di avviso, che, se doloso, perdere il diritto dell'assicurato all'indennità. La Corte di appello osserva: "Applicando, per mero gusto speculativo, un simile principio al caso concreto, si dovrebbe dire che poiché gli eredi F erano ampiamente a conoscenza dei termini per l'invio della documentazione, la loro inosservanza va qualificata come dolosa e comporta la perdita del diretto". Al riguardo va osservato che, nel caso di specie, come hanno esattamente rilevato i ricorrenti (pag. 21-22 del ricorso), non si è avuto l'inadempimento degli obblighi posti dall'art. 20 dello statuto, bensì la diversa ipotesi del ritardato adempimento. Se l'art. 915 c.c. prevede, nel secondo comma, che il mancato adempimento colposo dell'obbligo di avviso non determina la perdita del diritto all'indennità, ma soltanto una riduzione della stessa (in ragione del pregiudizio sofferto dall'assicuratore), ponendo inoltre una disciplina che può essere derogata solo in senso più favorevole per l'assicurato (art. 1932 c.c.), a maggior ragione tale perdita non può essere ricollegata ad un ritardato adempimento che, anche se fosse doloso, costituisce comunque un'inosservanza meno grave del mancato adempimento dell'obbligo.
Questa considerazione critica, relativa all'elemento interpretativo che la Corte di Appello ha ritenuto di desumere dal disposto dell'art. 1915 c.c., vale ancor più se si tiene presente che, nel caso di specie, il ritardo nell'osservanza dell'art. 20 dello statuto commesso dai ricorrenti attiene non all'obbligo di avviso della malattia, ma all'obbligo di invio della documentazione entro il previsto termine di tre mesi.
Deve, perciò, ritenersi che l'elemento definito di interpretazione analogica sia giuridicamente errato perché fondato su una erronea interpretazione dell'art. 1915 c.c.;

2.4.- Successivamente la sentenza impugnata ha respinto gli argomenti indicati dalla parte appellata per dimostrare la natura ordinatoria de;
termini previsti dall'art. 20 dello statuto, argomenti desunti da altre norme dello statuto o del regolamento attuativo dello stesso statuto. Tra tali argomenti, però, la Corte di appello ha omesso di valutare quello derivante dall'art. 17 del regolamento, che prevede una sanzione specifica per la ritardata denuncia di insorgenza della malattia, consistente nella "retrodatazione della garanzia contrattuale ai soli 8 giorni precedenti il timbro postale della denuncia stessa" (cosi il ricorso, a pag. 13). Secondo tale norma regolamentare, l'inosservanza del termine per la denuncia della malattia ha un effetto diverso e di gran lunga minore della perdita del diritto;

a maggior ragione, secondo i ricorrenti tale perdita non può derivare dal ritardato invio della documentazione di spesa, che "è ipotesi manifestamente assai meno grave ed insuscettibile di costituire (come il mancato avviso) ostacolo ad attività della C.A.M.P.A.".
Tale argomento, di carattere sistematico, non è stato preso in considerazione dalla sentenza impugnata, che ha menzionato l'art. 17 del regolamento, ma non ne ha valutato il contenuto consistente nella previsione di una specifica sanzione per il superamento del termine previsto per la denuncia di malattia, sanzione che è incompatibile con la decadenza dal diritto che invece la Corte di Appello ha ricollegato alla violazione dello stesso termine.
Nella memoria la parte resistente ha sostenuto che l'art. 20 dello statuto non va coordinato con l'art. 17 del regolamento, trattandosi di atti diversi. La tesi non può essere condivisa. Il collegamento tra le due fonti interne della disciplina relativa alla C.A.M.P.A. deriva non solo dal fatto che il regolamento, come osserva lo stesso controricorrente, ha "la funzione prevalente ... di dare attuazione alle norme dello statuto" (pag. 8 della memoria), ma anche dal fatto che l'art. 20 dello statuto (trascritto in narrativa) richiama specificamente il regolamento, e proprio per quanto attiene all'invio della documentazione delle spese sostenute. Onde il collegamento tra le due fonti normative interne deriva chiaramente sia in generale dal rapporto tra le stesse fonti, sia dalla specifica previsione dell'art. 20 dello statuto. E tale collegamento impone una interpretazione complessiva delle norme incluse in ambedue le fonti normative, in applicazione del principio ermeneutico a cui è ispirata, nella diversa materia della interpretazione dei contratti, la disposizione dell'art. 1363 c.c. (di cui i ricorrenti hanno denunziato la violazione).
Sussiste, allora, nell'interpretazione che il giudice del merito ha dato all'art. 20 dello statuto, la violazione del principio ermeneutico di ordine sistematico che impone l'interpretazione complessiva della normativa interna della C.A.M.P.A.. 2.5.- Infine, la Corte di Appello ha espresso, in modo sintetico, il "principio generale" di cui ha ravvisato un'applicazione nel disposto dell'art. 20 dello statuto, individuandolo in "quello della perdita del diritto ove non esercitato nei tempi e nei modi prescritti dalla legge", ritenendo quindi che rinvio della documentazione delle spese sostenute oltre il termine di tre mesi abbia comportato la sanzione "tipica della perdita del diritto".
La sintetica conclusione della sentenza impugnata rivela l'errore di diritto commesso dal giudice del merito nell'interpretare la norma statutaria. Non ogni inosservanza dei tempi previsti per l'esercizio di un diritto determina la perdita dello stesso, ma tale effetto si ha soltanto quando il tempo per l'esercizio del diritto è previsto a pena di decadenza. È vero che, come si rileva nel controricorso, non è necessario che la decadenza sia comminata in modo espresso, potendo essa risultare anche implicitamente, purché in modo chiaro ed univoco (v., tra le altre, Cass. 15 settembre 1995 n. 9764;
9 febbraio 1979 n. 896;
27 febbraio 1975 n. 789
). Ma tutti gli elementi interpretativi indicati dalla Corte di Appello, come si è detto, sono inidonei a fare ritenere che l'inosservanza dei termini previsti dall'art. 20 dello statuto della C.A.M.P.A. comporti una decadenza dal diritto alle prestazioni mutualistiche esercitato dagli attori quali eredi dell'associato avv. F.
3.- L'esistenza del detto diritto è stata implicitamente affermata dalla sentenza impugnata, quando ha ritenuto che se ne è verificata la decadenza per il mancato rispetto dei termini posti dall'art. 20 dello statuto. Consegue che è preclusa ogni contestazione sulla esistenza del diritto stesso, quale sembra contenuta nel controricorso della C.A.M.P.A. quando si afferma che, mentre "nelle mutue assicuratoci si acquista un diritto, nelle società di mutuo soccorso si ha una mera aspettativa". La contestazione dell'esistenza, in capo agli attori-ricorrenti, di un diritto soggettivo alle prestazioni previste dalla normativa interna della C.A.M.P.A. avrebbe dovuto formare oggetto di un ricorso incidentale della parte intimata, sia pure proposto in via subordinata all'accoglimento del ricorso principale. La mancata proposizione di tale ricorso incidentale condizionato preclude ogni contestazione sull'esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo a ricevere le prestazioni previste dalla detta normativa.
4.- L'accoglimento dei primi due motivi del ricorso comporta l'assorbimento del terzo motivo, che è stato proposto espressamente in via subordinata al rigetto dei primi due motivi e che non pone questioni pregiudiziali rilevabili di ufficio.
5.- In conclusione, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, la sentenza impugnata va cassata per vizi di motivazione nell'interpretazione dell'art. 20 dello statuto della C.A.M.P.A, e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia, che giudicherà nuovamente sull'appello proposto dalla C.A.M.P.A.. Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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