Cass. civ., sez. II, sentenza 22/04/2003, n. 6396
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Poiché, in tema di impugnazione di disposizione testamentaria, la captazione, costituendo una forma di dolo, non si concreta in una qualsiasi influenza psicologica esercitata sul testatore attraverso blandizie, sollecitazioni e consigli ma consiste in veri e propri raggiri o altre manifestazioni fraudolente che, ingenerando una falsa rappresentazione della realtà, siano in grado di ingannare il testatore, la prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire la attività captatoria e la influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore che altrimenti si sarebbe indirizzata in modo diverso.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente -
Dott. N G - rel. Consigliere -
Dott. C V - Consigliere -
Dott. C C - Consigliere -
Dott. F F P - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso proposto da:
R O, nella qualità di erede di B O, elettivamente domiciliata in ROMA VIA XX SETTEMBRE 4, presso lo studio dell'avvocato DELL'ERBA F, difesa dall'avvocato L C, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
D R S, elettivamente domiciliato in ROMA VIA VETULONIA 59, presso lo studio dell'avvocato DI G G, difeso dall'avvocato B G, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 374/98 della Corte d'Appello di CATANZARO, depositata il 07/07/98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/02 dal Consigliere Dott. G N;
udito l'Avvocato L C, difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento;
udito l'Avvocato B G, difensore del resistente che ha chiesto rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. O P che ha concluso per inammissibilità del ricorso o in subordine rigetto perché infondato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
O B, con atto di citazione notificato il 4 dicembre 1979, convenne Silvio de Rose innanzi al Tribunale di Cosenza, per sentir dichiarare nullo od annullare il testamento olografo datato 7 maggio 1975, col quale la sorella Matilde Filomena Balestrazzi, deceduta in data 26 maggio 1979, aveva istituito suo erede universale il D R, adducendo la falsità del testamento impugnato od, in via subordinata, che lo stesso era stato redatto in stato di incapacità naturale od, ancora subordinatamente, che era frutto di errore, dovuto ad ignoranza dell'oggetto e del contenuto della scheda testamentaria, o di dolo, consistente in captazione, da parte del D R, della volontà della testatrice, indirizzata a disporre dei suoi beni a favore di essa attrice e di sua figlia O Manin. Il convenuto si costituì in giudizio per resistere alla domanda, chiedendone il rigetto siccome infondata. Acquisita agli atti copia della perizia grafica d'ufficio svoltasi nel giudizio penale a carico del D R per falso in testamento olografo, definitosi con sentenza istruttoria di proscioglimento per insussistenza del fatto, espletata consulenza grafica d'ufficio e prova per testi, in esito alla compiuta istruttoria l'adito tribunale rigettò la domanda e la sua decisione, impugnata dalla B O, con sentenza resa in data 7 luglio 1998 è stata confermata dalla Corte d'Appello di Catanzaro.
Premesso che le risultanze dell'accertamento peritale svoltosi in sede penale erano pienamente utilizzabili nel giudizio civile, poiché al giudizio penale l'appellante aveva partecipato come parte civile e che la consulenza tecnica di parte prodotta dall'appellante era viziata da errori di fatto e di valutazione, il giudice d'appello ha ritenuto che, come concordemente concluso dai tecnici d'ufficio sia in sede penale sia in sede civile, il testamento fosse autentico. Indi, ha escluso che la dedotta mancanza od insufficienza di ragioni per disporre dei beni a favore del D R da parte della B M F valesse ad escludere la causa testandi, intesa come oggettiva finalità di attribuire i beni a terzi, per spirito di liberalità, per il tempo successivo alla morte del testatore, trattandosi di circostanze rilevanti solo per individuare i motivi della disposizione a favore dell'appellato e, pertanto, in assenza delle condizioni richieste dagli artt. 624 e 626 cod. civ., non erano idonee ad invalidare il testamento.
Quanto, poi, all'asserita captazione della volontà della testatrice da parte del chiamato all'eredità, la corte territoriale, aderendo all'insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, secondo cui la captazione non consiste in una qualsiasi influenza esercitata sul testatore tramite sollecitazioni, consigli, blandizie e promesse, bensì nell'uso di mezzi fraudolenti che, valutati in relazione all'età, alle condizioni psichiche ed allo stato di salute del de cuius, siano idonei ad ingannarlo e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificiosamente e subdolamente deviato (sent. n. 5209 del 26 agosto 1986;sent. n. 1260 del 7 febbraio 1987;sent. n. 254 del 22 gennaio 1985), ha ritenuto che i numerosi elementi di giudizio, all'uopo addotti dall'appellante fossero infondati e, comunque, inidonei alla prova della captazione della volontà della testatrice da parte del D R, prova che, pur potendo essere desunta attraverso presunzioni, richiede sempre che le presunzioni si fondino su fatti certi.
Incidentalmente, la corte di merito ha ritenuto formatesi il giudicato interno sulla capacità naturale della testatrice al momento di testare.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso O R, figlia ed erede di B O, frattanto deceduta, affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria, il D R.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All'udienza del 27 febbraio 2001 è stata ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti di C R, altra figlia di O B, ma l'integrazione del contraddittorio non è potuta avvenire, perché, come risulta dai documenti versati in atti, la chiamata era decaduta sin dal 12 settembre 1995, nello stato civile di nubile e senza figli.
La ricorrente ha depositato altra memoria difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente in considerazione della documentazione prodotta, va revocata l'ordinanza d'integrazione del contraddittorio. Col primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonché per violazione degli artt. 116, 191 e sgg. cod.proc. civ., 216 e 217 cod.proc.civ., adducendo che la Corte d'Appello, nella consapevolezza dell'insufficienza della consulenza tecnica d'ufficio svoltasi in sede civile, pur disponendo di un rilevante materiale istruttorie, costituito dalla consulenza tecnica di parte, dai documenti e dalle deposizioni testimoniali, ha ritenuto di fondare il suo giudizio essenzialmente sulle risultanze della perizia d'ufficio espletata in sede penale e quelle della consulenza tecnica d'ufficio svoltasi nel giudizio civile ha utilizzato solo al fine di convalidare il proprio assunto. Così facendo sostiene la ricorrente - la Corte avrebbe invertito il percorso fissato dalla giurisprudenza in tema di utilizzabilità delle risultanze probatorie acquisite nel giudizio penale, dette risultanze potendo essere utilizzate limitatamente ai fatti obbiettivamente constatari, non anche per sostituire gli esiti dell'attività istruttoria svoltasi in sede civile. Osserva, inoltre, la ricorrente che il giudice d'appello non ha esaminato i rilievi alla consulenza tecnica d'ufficio espletata in sede civile (esame della sola parte dispositiva del testamento e non anche del foglio contenente l'indirizzo del designato erede;
accertamento, da parte del C.T.U., solo di analogie tra la scrittura da verificare e quelle di comparazione, insufficienza delle scritture di comparazione) svolti con l'atto di appello e, più diffusamente, con la comparsa conclusionale ne' ha considerato il fatto che a richiedere la consulenza tecnica d'ufficio era stata la stessa controparte, evidentemente consapevole dell'insufficienza della perizia svoltasi in sede penale e dell'esito a lei sfavorevole dell'istruttoria svoltasi in sede civile.
La ricorrente rileva, poi, che la corte di inerito incorre in evidente contraddizione allorquando, da un lato, ritiene inattendibile la consulenza tecnica di parte prodotta da essa ricorrente e, dall'altro, la ritiene valida nella parte in cui riconosce autentica l'indicazione dell'indirizzo a tergo della scheda testamentaria e, nel contempo, viola la legge quando detta ammissione utilizza al fine di considerare quella parte del documento utile come scrittura di comparazione, poiché scritture di comparazione sono solo quelle presentate dalle parti e ammesse dal giudice.
Da ultimo, la ricorrente sostiene che illegittimamente la corte distrettuale ha utilizzato le risultanze della perizia penale per convalidare quelle della consulenza tecnica d'ufficio svoltasi in sede civile, trattandosi di due distinti accertamenti, compiuti da diversi periti e, forse, con diversi intenti. Ciò premesso, osserva che, in considerazione della preminenza accordata all'accertamento dell'autenticità della scheda testamentaria, ritenuto fondamentale ai fini della decisione, rispetto alle risultanze della corposa prova testimoniale, alle considerazioni logiche ed alle presunzioni di segno contrario, tutte ritenute sostanzialmente irrilevanti, ogni censura volta ad incidere su tale convincimento e sulle argomentazioni logiche derivate va considerata diretta ad un punto decisivo della controversia.
Le censure sono infondate.
Il convincimento espresso dal giudice d'appello in ordine all'autenticità del testamento è correttamente fondato sull'esito convergente della consulenza tecnica d'ufficio espletata nel giudizio civile e della perizia d'ufficio disposta nel giudizio penale e, se l'ordine delle argomentazioni svolte al riguardo sembra dar ragione al rilievo svolto dalla ricorrente, secondo cui le risultanze dell'accertamento compiuto nel giudizio civile sarebbero servite solo per convalidare l'esito della perizia disposta dal giudice penale, ciò dipende esclusivamente dall'ordine delle censure svolte col primo motivo dell'appellante e dal loro contenuto, poiché esse si appuntavano, in primo luogo, sulla ritualità dell'utilizzazione della perizia eseguita in sede penale, indi sul mancato esame della consulenza tecnica di parte, sulla parzialità dell'esame della scheda testamentaria, ed, infine, sull'omesso esame, sempre ai fini dell'accertamento dell'autenticità dell'olografo, delle argomentazioni logiche svolte dalla stessa appellante.
Si trattava, con tutta evidenza, di censure attinenti, non già al merito delle valutazioni date dal C.T.U. nel giudizio civile, bensì al metodo d'indagine dallo stesso seguito nonché all'efficacia probatoria della perizia penale in sede civile, sicché il giudice d'appello ha correttamente esaurito il suo compito esaminando soltanto le suddette censure e dando loro risposte che non meritano i rilievi svolti dalla ricorrente.
Per quanto attiene alla legittimità dell'utilizzazione delle risultanze della perizia penale, l'operato della Corte d'Appello è conforme all'insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, secondo cui al giudice civile è consentito, non solo di utilizzare il materiale probatorio raccolto in sede penale con le garanzie di legge, bensì anche di farne l'unica fonte del proprio convincimento (cfr. sent. n. 6346 del 28 novembre 1981). Ed opportunamente ha sottolineato che in quel giudizio la B O si era costituita parte civile, per evidenziare correttamente che la piena validità probatoria riconosciuta all'accertamento penale trovava garanzia nella possibilità di controllo della ritualità di quell'accertamento assicurata alla Balestrazzi nel procedimento penale.
Ritiene, inoltre, questa Corte che l'impugnata sentenza sia esente dagli errores in procedendo denunciati dalla ricorrente, poiché: a) la confutazione della consulenza tecnica prodotta dall'appellante e l'evidenziazione dei gravi errori metodologici che la viziavano nonché della variabilità di talune conclusioni cui essa perveniva erano più che sufficienti a dimostrare l'infondatezza delle censure di metodo svolte in sede d'appello nei confronti della consulenza tecnica d'ufficio;b) in particolare, non ha senso continuare a dolersi del mancato esame del foglio contenente l'indirizzo dell'erede designato, quando lo stesso consulente tecnico di parte ricorrente finisce col riconoscere che quell'indirizzo fu scritto dalla testatrice;c) la parte di motivazione concernente la valorizzazione di tale riconoscimento non soffre della aporia denunciata dalla ricorrente ne' viola la legge, poiché il giudice d'appello non poteva non prendere atto del fatto che, almeno su di un punto il tecnico di parte concordava con quello d'ufficio e la valorizzazione del riconoscimento dell'autenticità di una parte del documento non risulta finalizzato allo scopo di integrare le scritture di comparazione in ipotesi ritenute insufficienti, bensì solo allo scopo di convalidare ulteriormente, con un argomento di carattere logico, l'attendibilità delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio;d) contrariamente a quanto si assume dalla ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata non autorizza a ritenere che l'accertata autenticità della scheda testamentaria abbia indotto la corte di merito a svilire la portata e la rilevanza stessa della prova testimoniale e documentale, poiché come risulterà dall'esame dei motivi terzo e quarto, la disamina di ciascuna di dette risultanze è così approfondita e scrupolosa da non tradire alcun pregiudizio, il suo rigore essendo ispirato esclusivamente al doveroso rispetto del principio del favor testamenti nonché all'esigenza di fondare l'accertamento della denunciata captatio su circostanze certe.
Si tratta, pertanto, di due accertamenti del tutto autonomi tra loro, con la conseguenza che le censure riguardanti l'uno non possono influire sulla fondatezza delle censure attinenti all'altro accertamento.
Col secondo motivo la ricorrente denuncia insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia nonché violazione dell'art. 1418, co. 2^, in relazione all'art. 1375 cod.civ., sostenendo che, poiché, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'Appello in adesione ad una dottrina minoritaria, il testamento non costituisce un negozio unitario, bensì un unico documento contenente tanti negozi quante sono le varie disposizioni in esso contenute, nel caso in esame la causa dell'istituzione di erede nella persona del D R non consisteva nell'oggettiva finalità di disporre per il tempo successivo alla morte dei propri beni a favore del predetto, per spirito di liberalità, bensì nella ragione giustificativa di tale disposizione, ossia nel motivo determinante dell'attribuzione, che, come dimostrato dall'ampia documentazione epistolare prodotta e dalla prova per testi, non sussisteva.
La censura è destituita di fondamento, avendo esattamente, il giudice d'appello, ritenuto che le ragioni addotte dall'appellante per sostenere la mancanza, nel caso in esame, della causa testandi attenessero, invece, ai motivi della attribuzione testamentaria e che, pertanto, non ricorrendo le condizioni richieste dagli artt. 624, co. 2^, e 626 cod. civ., fossero del tutto irrilevanti. La correttezza di tale considerazione prescinde, con tutta evidenza, dalla concezione, unitaria o composita, che si voglia accogliere del testamento, poiché, comunque, la causa della disposizione attributiva di beni a terzi mediante testamento non può identificarsi con le ragioni ispiratrici della volontà di operare l'attribuzione, bensì, come ha ritenuto la corte distrettuale, nella finalità oggettiva di attribuire beni a terzi, normalmente per spirito di liberalità, per il tempo successivo alla morte del testatore.
Col terzo motivo la ricorrente, dolendosi di contraddittoria, omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostiene che la sentenza impugnata cade in contraddizione laddove, dopo avere riconosciuto che il rientro in Italia della B O e di essa ricorrente era avvenuta a seguirò di due richieste telegrafiche della B M F dopo la morte della sorella Rosa, considera solo frutto di congetture il ritenere che il rientro fosse stato determinato dalle espresse richieste della de cuius, ormai rimasta sola, aggiungendo, peraltro, che, a livello congettuale, non poteva escludersi che la ragione del rientro consistesse nell'esigenza di acquisire ed amministrare i beni ricevuti in eredità dalla Balestrazzi Rosa nonché di sottrarre la B M F alle attenzioni della famiglia D R.
Comunque, osserva la ricorrente, tali congetture sono arbitrarie, sia perché non sorrette da alcuna prova sia perché contraddette da una serie di circostanze, quali l'aver saputo dell'esistenza del D R solo dopo il rientro in Italia, la donazione eseguita dalla de cuius a favore della moglie del D R senza opposizione della B O e della figlia durante la permanenza in Italia, lo stato di comunione verificatosi tra le sorelle O e Matilde Filomena Balestrazzi. l'opposizione delle stesse all'azione di divisione esercitata dalla moglie del D R.
Col quarto motivo, che può esaminarsi congiuntamente al terzo in ragione del suo intimo collegamento con lo stesso, la ricorrente censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia nonché per omesso esame di documenti prodotti dalle parti e delle prove offerte da essa ricorrente.
All'uopo, rileva che: a) la Corte d'Appello, avendo ritenuto che avesse decisivo valore l'esito della consulenza tecnica d'ufficio, si è lasciata condizionare nell'esame e valutazione delle circostanze di fatto dettagliatamente indicate dall'appellante, da cui era possibile trarre presunzioni idonee a provare la denunciata captazione della volontà della testatrice, pervenendo, in tal modo, a svilire ogni episodio e circostanza, quali le ragioni del rientro in Italia della sorella e della nipote della de cuius, l'episodio della visita del D R in casa della testatrice, riferito dalla R O, la firma del testamento con due nomi e l'indicazione di R come luogo in cui fu formato il testamento, l'uso dell'espressione "erede universale" da parte della testatrice, nonostante il suo basso livello di istruzione e di cultura, il proposito della de cuius di disporre del suo patrimonio a favore della sorella O e della nipote, la donazione remuneratoria operata a favore della moglie del D R cinquanta giorni prima della redazione del testamento, le urgenti spese sostenute dalla B O per la casa e i terreni della sorella, la citazione in giudizio della de cuius da parte della moglie del D R per chiedere la divisione del terreno, la questione della capacità naturale della testatrice erroneamente ritenuta coperta da giudicato;
b) il giudice d'appello ha omesso di considerare le risultanze di attendibili disposizioni testimoniali, di un attestato del Sindaco di R e delle lettere inviate dalla testatrice alla sorella ed alla nipote, dalle quali sarebbe emerso il basso livello di istruzione della de cuius, nettamente contrastante con la correttezza del testo dell'olografo;c) la sentenza impugnata, nell'accertare le ragioni del rientro in Italia della sorella e della nipote del testatore, trascura il contenuto delle copiose lettere scambiatesi dalle parti, dalle quali risultavano i loro rapporti molto affettuosi;d) è inverosimile e, comunque, non confortata da alcuna prova l'ipotesi, formulata dalla corte di merito, che la de cuius potesse, dopo appena dieci mesi dalla redazione del testamento, aver dimenticato di aver diseredato le congiunte;del pari inverosimile, attese le risultanze della prova documentale (le lettere), è che potesse pensare di diseredare le congiunte;e) la Corte d'Appello, non considerando che in materia non era possibile addurre prove dirette, ha svilito le abbondanti prove indiziarie offerte dall'attrice, talune addirittura afferenti alla stessa possibilità materiale di redigere la scheda testamentaria.
Le censure sono, tutte, prive di fondamento.
Correttamente il giudice d'appello, nell'accingersi all'esame della serie di circostanze addotte dall'attrice a dimostrazione della denunciata captazione della volontà della testatrice, ha previamente ritenuto di precisare, in adesione al condiviso insegnamento di questa Suprema Corte, che la captazione, essendo configurata dalla legge come una forma di dolo, "non si concreta in una qualsiasi influenza psicologica esercitata sul testatore attraverso blandizie, sollecitazioni e consigli, sia pure interessati o tendenziosi, ma deve consistere in veri e propri raggiri o altre manifestazioni fraudolente, che, in rapporto alle particolari condizioni subbiettive del testatore, siano idonee a trarlo in inganno, in guisa da esercitare in lui delle false rappresentazioni e da accertare la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata" (Cass., sent. n. 5209 del 26 agosto 1986;Cass. sent. n. 1260 del 7 febbraio 1987;Cass. sent. n. 2122 del 27 febbraio 1991). Altrettanto correttamente ha osservato la Corte d'Appello che la prova della captazione, pur potendo essere anche presuntiva, deve, tuttavia, fondarsi su fatti certi, che consentano, nel loro complesso, di identificare e ricostruire, nella sua generica consistenza e nei suoi momenti essenziali, l'attività captatoria e la sua influenza sul processo formativo della volontà del testatore.
Sulla base di tali condivisibili e non contrastate premesse in diritto, risulta coerente il giudizio di irrilevanza espresso dalla sentenza impugnata su gran parte delle circostanze indicate dall'appellante nonché quello di insufficiente rilevanza probatoria dato a quelle, tra dette circostanze, che maggiormente, secondo la prospettazione dell'appellante, sarebbero state idonee a dimostrare la denunciata captatio, quali l'episodio, riferito dalla teste O R, della visita del D R in casa della testatrice, nel maggio 1975, la firma del testamento col doppio nome M e F e l'indicazione del Comune di R come luogo di redazione del testamento.
Per vero, mentre il giudizio di irrilevanza, concernente la gran parte delle circostanze trova giustificazione nella considerazione che nessuna di esse era espressione della condotta fraudolente, necessaria, secondo la richiamata giurisprudenza, a dar corpo alla captazione, il giudizio di mancanza od insufficienza di rilevanza probatoria, pur tenendo doverosamente conto delle difficoltà della prova diretta in subiecta materia, muove dal rilievo che quelle circostanze o risultavano inverosimili ed inattendibili (l'episodio della visita del D R in casa della testatrice) o erano suscettibili di valutazione diversa, sufficientemente e correttamente motivata, rispetto a quella data dall'appellante (la sottoscrizione o la data apposta al testamento).
Ciò premesso, si osserva che la complessa censura mossa all'intero impianto motivazionale della sentenza impugnata ed a ciascuno dei passaggi logici nei quali esso si articola ignora l'insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui "la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di inerito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza o contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile evidente traccia del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (Cass., 15 aprile 2000, n. 4916). Alla stregua di tale condiviso principio di diritto, si rivelano inammissibili le censure svolte ad evidenziare nella sentenza impugnata carenze motivazionali, omesso esame di talune risultanze e contraddizioni, perché la disamina di ciascuno degli elementi probatori compiuta dalla corte distrettuale si caratterizza per un non comune rigore, che non trascura nessuna delle circostanze addotte dalle parti e di ciascuna di esse analizza, ogni aspetto, dando, in esito, una valutazione coerente con i principi di diritto premessi all'indagine, logica e scevra delle contraddizioni ravvisate dalla ricorrente.
Si è già avuto modo, nel corso dell'esame del primo motivo, di confutare la censura, che ora si ripete, secondo cui l'intera valutazione delle risultanze della prova testimoniale e documentale risulterebbe condizionata dall'esito negativo attribuito alla consulenza tecnica d'ufficio.
Quanto agli altri rilievi, si osserva che: a) non sussiste la contraddizione rilevata nella parte di motivazione riservata alle ragioni del rientro in Italia della B O e della figlia, perché il dubbio manifestato dalla Corte d'Appello sui reali motivi del rientro non contrasta con la ritenuta probabilità ("non può escludersi") che il rientro non fosse avvenuto a seguito delle previsioni della B M F, considerato che la B O, divenuta erede della sorella Rosa, aveva necessità di amministrare i beni dalla sorella trasmessili in successione;
anche quest'ultima circostanza costituiva un fatto certo, per cui non si comprende il rilievo di arbitrarietà che la ricorrente svolge, trascurando, peraltro, di cogliere la cautela del giudice d'appello nell'utilizzazione di congetture di segno opposto;b) del tutto inammissibile si rivela la censura relativa alla valutazione d'inattendibilità riservata alla deposizione della teste R O in ordine all'episodio della visita del D R alla de cuius nel maggio 1975, poiché tale valutazione, correttamente motivata con riferimento all'evidente, rilevante interesse della teste ed all'inverosimiglianza di taluni aspetti della deposizione, è riservata al giudice del merito, sottraendosi alla possibilità di sindacato in sede di legittimità;c) altrettanto dicasi dell'esame dei dati desumibili dalla scheda testamentaria, avendo, la Corte d'Appello, escluso con motivazione analitica e corretta di poter trarre attendibili ed efficaci indizi della pretesa captazione della "volontà della testatrice dall'uso dell'espressione "erede universale" nonché dalla sottoscrizione del testamento col doppio nome M e F e con l'indicazione del Comune di R come luogo di redazione della scheda testamentaria;l'esame condotto al riguardo è completo, avendo avuto ad oggetto l'intera espressione usata dal testatore per designare erede il D R ("nomino mio erede universale a D R Silvio"), tutta la documentazione disponibile per valutare le abitudini della de cuius in tema di sottoscrizione ed ogni aspetto del suo livello di istruzione e cultura, tratteggiato con notazioni a volte contrastanti dalla prova testimoniale assunta;
d) la corte di merito esprime una motivazione logica in ordine alla ragione che indusse la testatrice a designare erede universale il D R, indicandola nella prolungata assistenza dallo stesso prestata a lui ed alla defunta sua sorella e precisando correttamente che l'intento remuneratorio non poteva dirsi escluso ne' dalla precedente donazione operata a favore della moglie del D R ne' dai rapporti affettuosi che la testatrice aveva con la sorella O e con la nipote, e) la non contestata patologia (arteriosclerosi) della novantenne de cuius viene logicamente addotta dal giudice d'appello come verosimile causa della mancata revoca del testamento a seguito dell'azione giudiziale di divisione promossa dalla moglie del D R.
Col quinto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, adducendo che erroneamente la corte di merito afferma che in ordine alla capacità naturale della de cuius al tempo della formazione del testamento si sarebbe formato il giudicato interno, poiché col quarto motivo d'appello essa ricorrente avrebbe censurata la sentenza di primo grado anche su tale punto. Anche quest'ultima censura va disattesa, poiché il quarto motivo d'appello aveva ad oggetto solo la pretesa captazione della volontà della testatrice.
Nè l'inciso ("in ogni caso non convince l'affermata lucidità della testatrice") che costituisce l'incipit di detto motivo può ritenersi, a causa della sua estrema genericità, esplicazione di motivata censura alla parte della sentenza di primo grado che aveva esclusa l'incapacità naturale della B M F. A ragione, pertanto, la Corte d'Appello ha ritenuto che sul punto si fosse formato il giudicato interno.
Conclusivamente, il ricorso va respinto. Ricorrono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.