Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/05/2013, n. 12108
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I ritardi nel deposito dei provvedimenti, quando per la reiterazione e l'entità superino ogni limite di tollerabilità e ragionevolezza, integrano gli estremi dell'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. 24 febbraio 2006, n. 109, costituendo palese violazione del dovere fondamentale di diligenza del magistrato, e ciò anche nei casi di accertata laboriosità dello stesso e di sussistenza di ragioni personali estranee all'ambiente di lavoro che abbiano influito sulla sua attività, le quali non possono risolversi in un ostacolo al buon funzionamento del servizio giustizia e lasciano aperte, ove il magistrato non sia in grado di svolgere il proprio lavoro in condizioni di apprezzabile serenità ed efficienza, le vie consentite dall'ordinamento giudiziario per potersi assentare temporaneamente dal servizio, quali congedi straordinari e aspettative per motivi familiari. (Nel caso di specie, le situazioni di ritardo, in taluni casi prossime ai due anni, hanno riguardato circa il 49% dei provvedimenti complessivi).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Primo Presidente f.f. -
Dott. R R - Presidente di sez. -
Dott. P L - rel. Consigliere -
Dott. M M - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. D C V - Consigliere -
Dott. V R - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 713-2013 proposto da:
B.L. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI CANINA 6, presso lo studio dell'avvocato P R, che lo rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 140/2012 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata l'8/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2013 dal Consigliere Dott. L P;
udito l'Avvocato R P;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. CICCOLO P P M, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dott. L..B. , giudice del Tribunale Udine, su iniziativa del Ministro della Giustizia, venne sottoposto a procedimento disciplinare ed, all'esito delle conseguenti indagini del P. G. presso questa Corte, tratto al giudizio della competente sezione del Consiglio Superiore della Magistratura, che con sentenza dell'11.10.2012, pubblicata il 9.11.2012, lo dichiarò responsabile, irrogandogli la sanzione della censura, dell'infrazione di cui al R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 ed al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q) poiché nella suddetta
qualità, nel periodo compreso tra l'11.11.2003 e il 15.3.2010, aveva ritardato, "in modo reiterato, grave ed ingiustificato, il deposito di numerosi provvedimenti", sentenze ed ordinanze, civili ed, in massima parte, in materia di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatoria, così venendo meno ai doveri di diligenza e laboriosità. Disattendendo le giustificazioni dell'incolpato, che aveva essenzialmente addotto quali cause dei disservizi la rilevante mole di lavoro cui era stato sottoposto nel periodo in considerazione, quale unico magistrato addetto alla sezione del lavoro, oltre a particolari ragioni di famiglia, la Sezione Disciplinare del C.S.M. riteneva che l'arretrato accumulato, dell'ordine medio superiore a centocinquanta ritardi annui, per le proporzioni complessive, per la reiterazione, per la durata (in molti casi di gran lunga eccedente l'anno) tali da superare ogni limite di ragionevolezza, fosse del tutto ingiustificabile e, anche tenendo conto della particolare situazione dell'ufficio e della laboriosità e l'impegno quasi quotidiano che erano stati dimostrati, fosse censurabile, perché il magistrato, "non organizzando il proprio lavoro" aveva determinato una sostanziale "situazione di diniego di giustizia";
l'entità ed il numero dei ritardi, infine, escludeva la possibilità di configurare la fattispecie di scarsa rilevanza del fatto, prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis. Contro tale sentenza il dott. B. ha proposto ricorso per cassazione, depositato il 18.12.2012 ed affidato a tre motivi. Non ha resistito il Ministero della Giustizia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'art.606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ed erronea applicazione
dell'art. 190 c.p.p. e violazione dei principi in tema di giusto processo.
Si lamenta che sia nella fase istruttoria, sia in quella dibattimentale, all'incolpato sarebbe stata impedita ogni possibilità di dimostrare, con prove testimoniali, ritenendole ingiustificatamente superflue, sebbene idonee ad escludere la rilevanza disciplinare dei ritardi secondo la corrente giurisprudenza di legittimità, le circostanze che li avevano determinato, attinenti sia alla grave situazione in cui versava l'ufficio, in particolare la sezione lavoro del Tribunale di Udine, dove il giudice aveva profuso ogni possibile sforzo per fronteggiarla efficacemente, sia alla propria situazione familiare, che proprio nel periodo in questione era stata segnata da gravi problemi di salute relativi ad una figlia adottiva di origine indiana.
p.
2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza o contraddittorietà testuale della
motivazione, laddove, pur essendosi premesso, in linea di principio, che "risultano rilevanti tutte le situazioni idonee ad escludere che il ritardo sia dovuto ad un'effettiva violazione dei doveri del magistrato", nei casi in cui risultino "circostanze in rapporto di causalità specifica con il ritardo", sono state poi ritenute "manifestamente supeflue/irrilevanti" le prove testimoniali che l'incolpato aveva chiesto di