Cass. pen., sez. I, sentenza 12/07/2022, n. 26811

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 12/07/2022, n. 26811
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26811
Data del deposito : 12 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: SALERNO LUCA nato a BARI il 15/04/1972 avverso l'ordinanza del 17/09/2020 del TRIBUNALE di MARSALAudita la relazione svolta dal Consigliere A C;
lette/sentite le conclusioni del PG IN

CANCELLERIA

12 LUG 2022 C Letta la requisitoria del sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, G D L che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Marsala, con ordinanza in data 17 settembre 2020, applicava a L S la sanzione accessoria della rimozione dal grado, in ragione della sentenza in data 15/12/2015 n. 1776, divenuta irrevocabile il 26/2/2020, con la quale egli era stato, in precedenza, condannato, alla pena di anni tre mesi dieci di reclusione, per concorso nei reati di falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. I fatti erano stati commessi da S nella qualità di carabiniere scelto presso la stazione di Pantelleria. Secondo l'assunto del Giudice territoriale, infatti, l'art. 33, comma 2, cod. pen. mil. pace prevedeva che la condanna pronunciata contro un militare in servizio per uno dei delitti di cui agli artt. 476 e 493 cod. pen. comportava, oltre alle pene accessorie comuni, anche la pena militare accessoria della "rimozione", la quale, secondo tale ricostruzione, deve essere obbligatoriamente applicata. Ai sensi dell'art. 20 cod. pen. mil . pace, tali sanzioni accessorie "conseguono di diritto alla condanna", nonché dell'art. 183 disp. att. cod. proc. pen., a mente del quale "quando alla condanna consegue di diritto una pena accessoria predeterminata dalla legge nella specie e nella durata, il pubblico ministero ne richiede l'applicazione al giudice dell'esecuzione se non si è provveduto con la sentenza di condanna".

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione L S, per mezzo del difensore di fiducia, avv. Lanzillotta, e con unico e articolato motivo, riportato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., deduce quanto segue. Il ricorrente censura, ex art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 1371 del codice dell'ordinamento militare (di seguito c.o.m.), nonché la mancanza della motivazione in relazione alla dedotta violazione del principio del ne bis in idem. Secondo l'art. 1371 c.o.m., "un medesimo fatto non può essere punito più di una volta con sanzioni di differente specie". Pertanto, la Difesa ripropone la questione di costituzionalità dell'art. 33, comma 2, cod. pen. mil. pace, già dedotta nel corso dell'incidente di esecuzione. Si premette che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 268/2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 866, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 sul presupposto che esso contemplasse un'ipotesi di estinzione automatica del rapporto di lavoro a seguito di condanna penale, senza previo giudizio disciplinare, in contrasto con il principio generale posto dall'art. 9, legge 7 febbraio 1990, n. 19, rispetto al quale la stessa Consulta aveva affermato, con sentenza n. 363 del 1996, la "illegittimità della destituzione di diritto", sottolineando "la necessità che si svolga il procedimento disciplinare, al fine di assicurare l'indispensabile gradualità sanzionatoria, riconducendo alla loro sede naturale le relative valutazioni". Ciò in quanto l'automatismo del citato art. 866 si poneva, secondo la Corte costituzionale, in contrasto sia con l'art. 3 Cost., equiparando situazioni affatto diverse, sia con il principio di proporzionalità, di cui all'art. 5 Trattato UE, che vincola il legislatore interno, in forza dell'art. 117, comma primo, Cost. La norma superprimaria impone che la determinazione sanzionatoria corrisponda ai requisiti della necessarietà, adeguatezza, proporzionalità in senso stretto, sia, infine, con il canone di buon andamento della Pubblica amministrazione e di quello secondo cui "l'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica". In definitiva, l'estinzione del rapporto di lavoro, nel caso di condanna per delitto non colposo comportante la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, potrebbe essere pronunciata solo a seguito di un provvedimento disciplinare nel rispetto delle garanzie del diritto di difesa, restando escluso l'automatismo decadenziale. La sanzione disciplinare deve essere graduata, di regola, nell'ambito dell'autonomo procedimento a ciò preposto, secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza al caso concreto e non può, pertanto, costituire l'effetto automatico e incondizionato di una condanna penale (sentenze n. 234 del 2015, n. 2 del 1999, n. 363 del 1996, n. 220 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 158 del 1990, n. 971 del 1988 e n. 270 del 1986), neppure quando si tratti di rapporto di servizio del personale militare (sentenze n. 363 del 1996 e n. 126 del 1995). Inoltre, la Difesa sottolinea che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, "le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit, con la conseguenza che "l'irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (ex multis, sentenze n. 185 del 2015, nn. 232 e 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011 e n. 265 e 139 del 2010). (...) Dunque, a causa dell'ampiezza dei presupposti a cui viene collegata l'automatica cessazione dal servizio, le disposizioni impugnate non possono validamente fondare, in tutti i casi in esse ricompresi, una presunzione assoluta di inidoneità o indegnità morale o, tanto meno, di pericolosità dell'interessato, tale da giustificare una sanzione disciplinare così grave come la perdita del grado, con conseguente cessazione dal servizio. L'automatica interruzione del rapporto di impiego è, infatti, suscettibile di essere applicata a una troppo ampia generalità di casi, rispetto ai quali è agevole formulare ipotesi in cui essa non rappresenta una misura proporzionata rispetto allo scopo perseguito. Di qui, l'irragionevolezza delle disposizioni oggetto di giudizio, e la conseguente violazione dell'art. 3 Cost. sotto questo profilo". In definitiva, l'automatismo decadenziale previsto dall'art. 33, comma 2, cod. pen. mil . pace risulterebbe macroscopicamente irragionevole in quanto violerebbe i canoni di eguaglianza, di ragionevolezza, di proporzionalità e di buon andamento della pubblica amministrazione, producendo una estinzione indiscriminata del rapporto di lavoro sulla base di una presunzione assoluta, fondata su una generalizzazione che contrasterebbe con i principi di proporzionalità della sanzione e di uguaglianza, sottoponendo a una disciplina identica situazioni differenti, in spregio dell'art. 3 Cost..
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