Cass. pen., sez. III, sentenza 22/03/2023, n. 12005
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da G G, nato a Mesagne il 06/07/1973 avverso la sentenza del 09/11/2021 della Corte d'appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere E G;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L G, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso ivi compreso il motivo nuovo;
udito per l'imputato l'avv. M G che ha insistito nell'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna con la quale G G era stato condannato, alla pena sospesa di mesi otto e giorni dieci di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 81 comma 2 cod.pen., 2 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale titolare della ditta individuale, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto per le annualità 2011 e 2012, indicava nelle relative dichiarazioni annuali modello unico presentate nel 2012 e 2013, elementi passivi fittizi, previa annotazione nelle scritture contabili obbligatorie, delle fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, emesse dalla ditta Vas Project di Z. Fatti commessi in Ravenna il 21 settembre 2012 e 19 settembre 2013. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.: 2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione per mancanza di motivazione sulla valutazione dei presupposti della violazione divieto di ne bis in idem in relazione all'art. 117 Cost. e artt. 4 Protocollo 7 Cedu e art. 50 CDFUE. In sintesi, premette il ricorrente che a fronte della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 cod.proc.pen., sollevata dalla Corte d'appello di Bologna, con ordinanza del 30 marzo 2020, ritenuta dalla Corte costituzionale manifestamente inammissibile, con ordinanza numero 136 del 2021, la Corte territoriale, pur indicando in sentenza i presupposti di applicazione dei criteri Engel in relazione al divieto di ne bis in idem, non avrebbe motivato in ordine alla verifica in concreto dei medesimi presupposti solo astrattamente enunciati, tanto più che nell'ordinanza di rimessione della questione la stessa Corte ne aveva ravvisato l'esistenza evidenziando l'identità del fatto, l'identità del soggetto, la definitività del provvedimento amministrativo sanzionatorio, la natura sostanzialmente penale della sanzione inflitta nel procedimento amministrativo consistita in sanzioni relative sia alla violazione a fini Irap, ai sensi dell'articolo 19 d.lgs n. 446 del 1997 e art. 1 comma 2 d.lgs n. 81 del 1997, sia la violazione a fini iva, per illegittima detrazione dell'imposta ex art. 6 comma 4 d.lvo n. 471 del 1997 e per dichiarazione con imposte inferiore a quella dovuta ex art. 5 comma 4, d.lvo n. 471 del 1997. Nell'impugnata sentenza non vi sarebbe alcuna motivazione, nonostante l'ordinanza di rimessione avesse sottolineato l'insussistenza tra procedimento penale e quello amministrativo in esame, di una connessione sostanziale temporale sufficientemente stretta. L'impugnata sentenza, inoltre, richiamerebbe astrattamente il canone ermeneutico relativo alla proporzionalità del risultato sanzionatorio complessivo risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e penale, ma non avrebbe motivato in ordine la proporzionalità di quello irrogato al G che, proprio nella prospettiva dei richiamati interventi interpretativi della giurisprudenza europea, risulta in concreto sproporzionatamente severo assumendo una funzione deterrente ed afflittiva e non già meramente restitutoria anche in considerazione dell'operatività ope legis delle pene accessorie.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relaziong,alla contraddittorietà della motivazione risultante dall'ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 cod.proc.pen. La Corte territoriale a fronte dell'ordinanza con cui la Corte costituzionale dichiarava l'inammissibilità della sollevata questione di costituzionalità per incompleta indicazione della sanzione amministrativa inflitta all'imputato avrebbe dovuto e potuto riformulare il quesito di legittimità integrandolo il presupposto mancante e disponendo della relativa documentazione essendo stati prodotti nel giudizio tutti gli atti di definizione del contenzioso amministrativo. Invece, in evidente contraddizione con le premesse fondanti l'ordinanza di rimessione, la corte territoriale, applicando una norma sulla cui costituzionalità nutriva sospetti e senza affrontare la questione relativa alla valutazione del trattamento sanzionatorio, ha ugualmente ritenuto punibile l'imputato. In alternativa alla reiterazione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 cod.proc.pen., la Corte territoriale avrebbe potuto formulare ricorso pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'unione o procedere direttamente alla disapplicazione della norma interna ritenuta contrastante la normativa e la giurisprudenza comunitaria dando prevalente al diritto comunitario rispetto al diritto nazionale.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione all'articolo 521 cod.proc.pen. e 6 Cedu. Evidenzia il ricorrente di avere dedotto nell'atto d'appello la nullità della sentenza di primo grado per mancata correlazione tra imputazione contestata e sentenza posto che questa, nel condannare l'imputato per l'utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti, avrebbe richiamato gli atti di indagine tributaria nei quali si assumeva che tra il soggetto emittente e il G sarebbero intercorsi rapporti di intermediazione vietata di manodopera, fonte negoziale delle false fatture, i cui importi avevano ad oggetto esclusivamente il rimborso del costo del lavoro degli operai forniti dalla ditta emittente con conseguente contestazione della sola indetraibilità dei relativi importi fatturati ai fini iva e non già anche della non deducibilità ai fini Irpef/come avrebbe dovuto essere nell'ipotesi di contestazione dell'inesistenza oggettiva delle fatture. Conseguentemente l'imputato sarebbe stato condannato per un fatto storico diverso nei suoi elementi essenziali rispetto al quale non ha potuto difendersi.
2.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato, contraddittorietà della motivazione avendo, peraltro, la corte territoriale richiamato precedenti della giurisprudenza non pertenenti per il caso concreto.
2.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla motivazione apparente in ordine alla determinazione della durata della pena accessoria di
udita la relazione svolta dal consigliere E G;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L G, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso ivi compreso il motivo nuovo;
udito per l'imputato l'avv. M G che ha insistito nell'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna con la quale G G era stato condannato, alla pena sospesa di mesi otto e giorni dieci di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 81 comma 2 cod.pen., 2 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale titolare della ditta individuale, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto per le annualità 2011 e 2012, indicava nelle relative dichiarazioni annuali modello unico presentate nel 2012 e 2013, elementi passivi fittizi, previa annotazione nelle scritture contabili obbligatorie, delle fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, emesse dalla ditta Vas Project di Z. Fatti commessi in Ravenna il 21 settembre 2012 e 19 settembre 2013. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.: 2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione per mancanza di motivazione sulla valutazione dei presupposti della violazione divieto di ne bis in idem in relazione all'art. 117 Cost. e artt. 4 Protocollo 7 Cedu e art. 50 CDFUE. In sintesi, premette il ricorrente che a fronte della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 cod.proc.pen., sollevata dalla Corte d'appello di Bologna, con ordinanza del 30 marzo 2020, ritenuta dalla Corte costituzionale manifestamente inammissibile, con ordinanza numero 136 del 2021, la Corte territoriale, pur indicando in sentenza i presupposti di applicazione dei criteri Engel in relazione al divieto di ne bis in idem, non avrebbe motivato in ordine alla verifica in concreto dei medesimi presupposti solo astrattamente enunciati, tanto più che nell'ordinanza di rimessione della questione la stessa Corte ne aveva ravvisato l'esistenza evidenziando l'identità del fatto, l'identità del soggetto, la definitività del provvedimento amministrativo sanzionatorio, la natura sostanzialmente penale della sanzione inflitta nel procedimento amministrativo consistita in sanzioni relative sia alla violazione a fini Irap, ai sensi dell'articolo 19 d.lgs n. 446 del 1997 e art. 1 comma 2 d.lgs n. 81 del 1997, sia la violazione a fini iva, per illegittima detrazione dell'imposta ex art. 6 comma 4 d.lvo n. 471 del 1997 e per dichiarazione con imposte inferiore a quella dovuta ex art. 5 comma 4, d.lvo n. 471 del 1997. Nell'impugnata sentenza non vi sarebbe alcuna motivazione, nonostante l'ordinanza di rimessione avesse sottolineato l'insussistenza tra procedimento penale e quello amministrativo in esame, di una connessione sostanziale temporale sufficientemente stretta. L'impugnata sentenza, inoltre, richiamerebbe astrattamente il canone ermeneutico relativo alla proporzionalità del risultato sanzionatorio complessivo risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e penale, ma non avrebbe motivato in ordine la proporzionalità di quello irrogato al G che, proprio nella prospettiva dei richiamati interventi interpretativi della giurisprudenza europea, risulta in concreto sproporzionatamente severo assumendo una funzione deterrente ed afflittiva e non già meramente restitutoria anche in considerazione dell'operatività ope legis delle pene accessorie.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relaziong,alla contraddittorietà della motivazione risultante dall'ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 cod.proc.pen. La Corte territoriale a fronte dell'ordinanza con cui la Corte costituzionale dichiarava l'inammissibilità della sollevata questione di costituzionalità per incompleta indicazione della sanzione amministrativa inflitta all'imputato avrebbe dovuto e potuto riformulare il quesito di legittimità integrandolo il presupposto mancante e disponendo della relativa documentazione essendo stati prodotti nel giudizio tutti gli atti di definizione del contenzioso amministrativo. Invece, in evidente contraddizione con le premesse fondanti l'ordinanza di rimessione, la corte territoriale, applicando una norma sulla cui costituzionalità nutriva sospetti e senza affrontare la questione relativa alla valutazione del trattamento sanzionatorio, ha ugualmente ritenuto punibile l'imputato. In alternativa alla reiterazione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 cod.proc.pen., la Corte territoriale avrebbe potuto formulare ricorso pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'unione o procedere direttamente alla disapplicazione della norma interna ritenuta contrastante la normativa e la giurisprudenza comunitaria dando prevalente al diritto comunitario rispetto al diritto nazionale.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione all'articolo 521 cod.proc.pen. e 6 Cedu. Evidenzia il ricorrente di avere dedotto nell'atto d'appello la nullità della sentenza di primo grado per mancata correlazione tra imputazione contestata e sentenza posto che questa, nel condannare l'imputato per l'utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti, avrebbe richiamato gli atti di indagine tributaria nei quali si assumeva che tra il soggetto emittente e il G sarebbero intercorsi rapporti di intermediazione vietata di manodopera, fonte negoziale delle false fatture, i cui importi avevano ad oggetto esclusivamente il rimborso del costo del lavoro degli operai forniti dalla ditta emittente con conseguente contestazione della sola indetraibilità dei relativi importi fatturati ai fini iva e non già anche della non deducibilità ai fini Irpef/come avrebbe dovuto essere nell'ipotesi di contestazione dell'inesistenza oggettiva delle fatture. Conseguentemente l'imputato sarebbe stato condannato per un fatto storico diverso nei suoi elementi essenziali rispetto al quale non ha potuto difendersi.
2.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato, contraddittorietà della motivazione avendo, peraltro, la corte territoriale richiamato precedenti della giurisprudenza non pertenenti per il caso concreto.
2.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla motivazione apparente in ordine alla determinazione della durata della pena accessoria di
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi