Cass. civ., sez. I, sentenza 24/08/2005, n. 17253
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In tema di espulsione amministrativa dello straniero, è affetto da nullità il provvedimento di espulsione privo di traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero ancorché accompagnato dalla traduzione in lingua francese, inglese o spagnola ma senza la preventiva giustificazione dell'impossibilità di rendere compiutamente noto il provvedimento al suo destinatario nella lingua da lui conosciuta. Tale nullità può essere fatta valere da questo in ogni tempo, anche decorso il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, atteso che, per un verso, ogniqualvolta la legge fissa un termine perentorio decorrente dal compimento di un determinato atto, è necessario che tale atto sia effettivamente compiuto, non contenga vizi e sia portato a conoscenza di colui che è onerato del rispetto del termine, e, per l'altro verso, che la traduzione del provvedimento di espulsione è preordinata ad assicurare la effettiva conoscibilità che è presupposto essenziale per l'esercizio del diritto di difesa, di cui gode anche lo straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale (cfr. Corte cost., sent. n. 198 del 2000).
È inammissibile, perché proposto da organo statuale non legittimato "ex" art. 13-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. immigrazione), introdotto dall'art. 4 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113, il ricorso per cassazione del Ministero dell'interno avverso la pronuncia giurisdizionale resa nel procedimento di opposizione al decreto di espulsione a carico dello straniero, adottato dal Prefetto, in quanto a quest'ultimo è conferita - in adesione al modello procedimentale di cui all'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 - l'esclusiva legittimazione processuale a contraddire l'opposizione dello straniero; legittimazione che si riferisce anche al giudizio di cassazione.
Il Prefetto, ove intenda impugnare, con ricorso per cassazione, il provvedimento reso dal giudice del merito nel procedimento di opposizione ad espulsione dello straniero (ai sensi del T.U. approvato con il d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e succ. modif.), può avvalersi della rappresentanza ed assistenza dell'Avvocatura generale dello Stato, in forza della generale previsione contenuta nell'art. 1 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L G - Presidente -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. P L - rel. Consigliere -
Dott. P S - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MERO DELL'INTERNO in persona del Ministro pro tempore, e PREFETTO DELL'AQUILA, legalmente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che li rappresenta e difende ex lege;
- ricorrenti -
contro
DI G O in nome e per conto di R O D, in forza di procura notarile alle liti conferita in data 5/6/2004 a rogito del notaio D L M (della circoscrizione notarile municipale di Lviv), registrata al n. 4337 BBE n. 470138, elettivamente domiciliato in Roma, via Pietro Corsieri 3, presso l'avv. G C, rappresentato e difeso dall'avv. S R giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso l'ordinanza del Tribunale dell'Aquila n. 355/03 A.D. del 23.7.2003.
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 14/04/05 dal Relatore Cons. L P;
Udito l'avv. R S per il controricorrente, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A U che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con provvedimento 21.11.2001 il Prefetto dell'Aquila disponeva l'espulsione dal territorio nazionale della cittadina ucraina O Danyla. Il 6.12.2001 la O lasciava il territorio nazionale, rientrando però in Italia il 26.5.2002 con un nuovo passaporto con le generalità di Ropsovska Danyla, nonostante il provvedimento di espulsione le facesse obbligo di non rientrare in Italia per cinque anni. A seguito di procedimento per emersione di lavoro irregolare, la ricorrente veniva accompagnata alla frontiera il 28.5.2003.
La O proponeva ricorso avanti al Tribunale dell'Aquila che con ordinanza 27.7.2003 annullava il decreto di espulsione perché non risultava tradotto in una lingua nota alla ricorrente o in una delle tre lingue veicolari.
Hanno proposto ricorso per Cassazione il Ministro dell'Interno ed il Prefetto pro tempore dell'Aquila formulando un unico complesso motivo di ricorso.
Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la O. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico, complesso, motivo l'Amministrazione ricorrente deduce violazione dell'art. 118 c.p.c. e dell'art. 13 D.lgs. 286/98 nonché difetto e contraddittorietà di motivazione. L'ordinanza impugnata, che avendo contenuto decisorio assume valore di sentenza, sarebbe nulla perché, in violazione dell'art. 118 c.p.c., non indica le parti in causa, non fornisce il contenuto della riserva, non riporta gli atti esaminati e le deduzioni delle parti. Inoltre l'ordinanza avrebbe trascurato che la ricorrente parla e capisce sufficientemente l'italiano, convivendo da tempo con il sig. Di Genova Ottavio e non avrebbe spiegato in base a quali rilievi sarebbe giunta alla conclusione opposta.
Ancora l'ordinanza avrebbe trascurato che il ricorso era inammissibile perché proposto oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla legge, che doveva essere fatto decorrere dalla data del decreto di espulsione e non dal secondo accompagnamento alla frontiera, a fronte dell'illegittimo rientro nel territorio nazionale.
Va preliminarmente esaminata l'eccezione sollevata dalla controricorrente d'inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell'Interno, sussistendo in materia legittimazione esclusiva del Prefetto che ha emesso il provvedimento impugnato. L'eccezione è fondata.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio, confermato da numerose successive pronunce, secondo il quale è inammissibile, perché proposto da organo statuale non legittimato "ex" art. 13-bis D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. immigrazione), introdotto dall'art. 4 D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 113, il ricorso per Cassazione del Ministero dell'Interno avverso la pronuncia giurisdizionale resa nel procedimento di opposizione al decreto di espulsione a carico dello straniero, adottato dal Prefetto, in quanto a quest'ultimo è conferita - in adesione al modello procedimentale di cui all'art. 23 della legge n. 689 del 1981 - l'esclusiva legittimazione personale a contraddire l'opposizione dello straniero;
legittimazione che si riferisce anche al giudizio di Cassazione (Sez. Un., 28.11.2001, n. 15141;conf. da ultimo Sez. 1^, ord. 9.7.2004, n. 12794). Nella memoria difensiva la resistente ha contestato anche la legittimazione a ricorrere per Cassazione del Prefetto dell'Aquila osservando che questi non risulta firmatario del ricorso, sul quale il suo nome risulta aggiunto a penna in un secondo momento. Nè sarebbe sufficiente la circostanza che nel giudizio il Prefetto sia rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, posto che l'Avvocatura non aveva partecipato al giudizio dinanzi al Tribunale dell'Aquila. L'eccezione è infondata.
Va premesso che il ricorso, con l'aggiunta a penna sul testo dattiloscritto dell'indicazione del Prefetto dell'Aquila quale parte ricorrente, risulta notificato, in tale testo modificato, alla controricorrente, sì che l'aggiunta a penna non ha comportato violazione di legge di sorta.
Questa Corte ha poi affermato che il principio sancito dall'art. 23, comma 2, legge 689/81, che dispone che l'opposizione ad ordinanza-
ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria va notificata all'Autorità che ha emesso il provvedimento ed in forza del quale a tale Autorità è assegnata per l'intero arco del procedimento la legittimazione processuale, con la conseguenza che non solo l'atto di opposizione, ma anche il ricorso per Cassazione deve essere notificato all'Autorità stessa e non all'Avvocatura distrettuale, in deroga al disposto dell'art. 11 r.d. 1611/33, si applica anche al procedimento di espulsione dello straniero (cfr. ex multis, oltre alla giurisprudenza già richiamata, Sez. Un. 118/2000;Cass. 13653/2000). Ciò peraltro non esclude che il Prefetto possa
avvalersi nel giudizio di Cassazione della rappresentanza ed assistenza in giudizio dell'Avvocatura dello Stato, ove intenda impugnare l'ordinanza resa dal giudice di merito nel procedimento di opposizione ad espulsione, in forza della generale previsione dell'art. 1 del R.D. 1611/33 che assegna all'Avvocatura dello Stato, nella specie all'Avvocatura generale in Roma, il generale potere di rappresentanza, patrocinio ed assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato. Ed invero la ratio della deroga alla disciplina generale dettata dall'art. 23, comma 2, legge 689/81 va individuata nell'autonomia funzionale che è riconosciuta al Prefetto nel procedimento d'irrogazione della sanzione amministrativa ed anche nel procedimento di espulsione dello straniero, autonomia funzionale che tuttavia non preclude a tale organo la possibilità, in quanto pur sempre facente parte dell'Amministrazione dello Stato, ancorché investito di competenze autonome rispetto a quelle del Ministro dell'Interno, di avvalersi dell'Avvocatura dello Stato. Il primo profilo dell'unico motivo del ricorso principale è manifestamente infondato. L'art. 132 (non 118, come erroneamente indicato in ricorso) c.p.c. stabilisce che la sentenza deve recare l'indicazione delle parti e dei loro difensori, le conclusioni del pubblico ministero e delle parti, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e diritto della decisione. Nel caso di specie il provvedimento impugnato è reso in forma di ordinanza ed è pertanto succintamente motivato, ma non è privo di motivazione. Per quanto concerne gli altri elementi di cui il ricorrente lamenta il difetto (indicazione delle parti, dei termini della riserva, delle conclusioni delle parti e degli atti esaminati) va sottolineato che, a prescindere dall'indicazione degli atti esaminati e del contenuto della riserva, che non sono richiesti dalla legge, salvo che si traducano in una violazione dell'obbligo di motivazione non dedotta nel caso di specie, si tratta di elementi la cui omissione non comporta nullità. Questa Corte ha infatti da tempo affermato, in ossequio al principio antiformalistico che regola il processo, che l'omessa indicazione delle parti non comporta vizio della sentenza ove tali indicazioni siano comunque ricavabili dal contenuto del provvedimento, com'è nel caso di specie (Cass. 25.3.1999, n. 2869;Cass. 25.11.1996, n. 10448). Anche l'omissione
delle conclusioni delle parti non si traduce in vizio del provvedimento impugnato purché risulti che il giudice ne abbia effettivamente tenuto conto ed in tal senso il ricorrente non ha formulato alcuna doglianza (Cass. 10.11.1999, n. 12475;Cass. 14.12.1999, n. 898). Per quanto attiene invece al secondo profilo dell'unico motivo di ricorso il ricorrente afferma che la O conosceva l'italiano, come si sarebbe potuto ricavare dal fatto che convive con il sig. Di Genova Ottavio ed aggiunge che il Tribunale avrebbe dovuto spiegare come era giunto alla conclusione che la straniera non conoscesse la lingua italiana, cosa che invece non ha fatto.
in proposito va sottolineato che l'ordinanza impugnata rileva che non è stata fornita in giudizio prova della conoscenza da parte della controricorrente di lingue diverse da quella di origine e che alla traduzione nelle tre lingue veicolari (francese, inglese, spagnolo), contenuta nel provvedimento di espulsione, l'Amministrazione non aveva accompagnato giustificazione del perché l'atto non era stato tradotto in lingua nota alla controricorrente, vale a dire in ucraino.
L'art. 13, comma 7, D.lgs. 286/98 dispone che "Il decreto di espulsione e il provvedimento di cui al comma 1 dell'articolo 14, nonché ogni altro atto concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, sono comunicati all'interessato unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola".
L'art. 3, comma 3, del DPR 394/1999, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche introdotte dal D.P.R. 334 del 18.10.2004 e quindi al momento dell'espulsione del ricorrente, nel dettare norme di esecuzione dell'art. 13 del D.lgs. 286/98, stabiliva che "Se lo straniero non comprende la lingua Italiana, il provvedimento deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile, o se ciò non è possibile, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall'interessato". Questa Corte ha più volte affermato il principio per cui dalle norme ora richiamate deriva l'obbligo per l'autorità amministrativa di comunicare all'interessato il decreto di espulsione unitamente ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta e, solo ove ciò non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola;
ne deriva che è affetto da nullità il provvedimento di espulsione privo di traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero ancorché accompagnato dalla traduzione in lingua francese, inglese o spagnola ma senza la preventiva giustificazione dell'impossibilità di rendere compiutamente noto il provvedimento al suo destinatario nella lingua da lui conosciuta (Sez. 1^, 16.10.2001, n. 12581; Sez. 1^, 8.11.2001, n. 13817). Di tale principio ha fatto applicazione l'ordinanza impugnata.
Obietta il ricorrente che non sussiste obbligo di traduzione quando lo straniero abbia sufficiente conoscenza della lingua italiana. Nel caso in esame la Prefettura ha dedotto alcune circostanze, in particolare la convivenza tra la O e un italiano, sulle quali il Tribunale avrebbe omesso di motivare. Tuttavia il ricorrente non ha indicato se tali circostanze erano state dedotte nel giudizio di merito e non ha fatto specifico riferimento agli atti processuali in cui sarebbe avvenuta la deduzione. Sotto tale profilo pertanto il ricorso è inammissibile perché generico ed in violazione del principio di autosufficienza.
Ancora deduce il ricorrente con il terzo profilo dell'unico motivo che sarebbe decorso il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 13 D.lgs. 286/98 per l'impugnazione del decreto di espulsione e
dunque l'opposizione sarebbe stata inammissibile, perché tale termine decorreva dalla pronuncia del decreto di espulsione e non dalla data del secondo accompagnamento alla frontiera della controricorrente, rientrata illegittimamente in Italia. Anche questo profilo del ricorso non è fondato. Il mancato adempimento delle formalità relative alla traduzione del provvedimento in una lingua nota alla O comporta la nullità del decreto di espulsione, che può essere fatta valere in ogni tempo. La Corte costituzionale, ha ribadito in una recente pronunzia che nel sistema si rinviene il principio secondo cui ogni guai volta la legge fissa un termine perentorio decorrente dal compimento di un determinato atto, è necessario che tale atto sia effettivamente compiuto, non contenga vizi e sia portato a conoscenza di colui che è onerato dal rispetto del termine. Ha poi affermato che la traduzione del decreto di espulsione è preordinata ad assicurarne la effettiva conoscibilità che è presupposto essenziale per l'esercizio del diritto di difesa, di cui gode anche lo straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale (Corte Cost. 16 giugno 2000, n. 198).
Le spese seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico del ricorrente, liquidate in euro 2.100, di cui euro 2.000 per onorar, oltre spese generali ed accessorie come per legge.