Cass. civ., sez. II, sentenza 07/10/2005, n. 19527
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In tema di azione di riduzione delle donazioni e dei legati, qualora il testatore abbia disposto a titolo universale dell'intero asse ereditario, la condizione dell'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario è esclusa nell'ipotesi in cui il legittimario, essendo stato totalmente pretermesso, non assume, ai sensi dell'art. 467 secondo comma cod. civ., la qualità di chiamato all'eredità fino a quando l'istituzione testamentaria non venga ridotta nei suoi confronti; tale regola è stata da tempo estesa all'erede legittimo sul rilievo che, qualora il "de cuius" si sia spogliato in vita dell'intero patrimonio con atti di donazione, anche nella successione "ab intestato" può configurarsi la totale pretermissione del legittimario il quale, per l'assenza di beni relitti, si trovi nella necessità di esperire l'azione di riduzione a tutela del diritto sostanziale riconosciutogli dalla legge; infatti, la disposizione di cui all'art. 564 cod. civ., che subordina la proposizione dell'azione di riduzione delle donazioni e dei legati da parte del legittimario alla sua accettazione con beneficio d'inventario, salvo che le donazioni e i legati siano fatte a persone chiamate come coeredi, risponde alla "ratio" di evitare che la confusione dei patrimoni del "de cuius" e dell'erede impedisca al donatario e al legatario di verificare l'effettività della lesione della riserva e, inoltre, all'esigenza, di cui è fatta menzione nella relazione al progetto definitivo del codice civile, di evitare il contrasto logico ed insanabile fra la responsabilità illimitata dell'erede, nonché il suo obbligo di rispettare gli atti di disposizione del defunto, e l'azione di riduzione della liberalità.
Qualora il "de cuius" abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio mediante atti di donazione , sacrificando totalmente un erede necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacché - non sorgendo alcuna comunione ereditaria in assenza di un asse da dividere - egli solo dopo il vittorioso esperimento dell'azione di riduzione è legittimato a promuovere e a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura del compendio ereditario. Pertanto, salva l'ipotesi in cui il legittimario totalmente pretermesso , facendo valere la nullità delle donazioni, anche eventualmente dissimulate sotto la figura di un negozio oneroso, intenda dimostrare che i beni non sono usciti dal patrimonio ereditario, deve essere qualificata come azione di riduzione quella dal medesimo esercitata per la declaratoria dell'inefficacia del trasferimento della proprietà dei beni anche se ad altro erede necessario, oltre che ad un terzo, non potendo egli agire nella mera qualità di successore legittimo del "de cuius" per il recupero all'asse ereditario di beni validamente donati.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M A - Presidente -
Dott. C V - Consigliere -
Dott. O M - rel. Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. P L - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M L - rappresentato e difeso in virtù di procura a margine del ricorso dall'avv. L S G, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza Cola di Rienzo, n. 92 c/o studio avv. L N;
- ricorrente -
contro
M G, C I e P L - rappresentati e difesi in virtù di procura a margine del controricorso dall'avv. PESCATORI G M, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, al viale Mazzini, n. 13, c/o studio avv. S B;
- controricorrenti -
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Perugia n. 118 del 23 aprile 2002, notificata il 21 giugno 2002. Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 30 giugno 2005 dal Consigliere, Dott. M O;
udito l'avv. L N per delega del difensore del ricorrente avv. G S;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P I G, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L M con atto notificato il 9 maggio 1985 convenne il fratello, G M, la madre, Iolanda Catocchi, ved. Monacelli, e la moglie del fratello, Lauretta Posti, davanti al Tribunale di Perugia e, premesso che il padre, Antonio Monacelli, deceduto il 24 dicembre 1984 senza lasciare alcun bene, aveva venduto il 10 marzo 1983 al fratello per L. 14.000.000 un appezzamento di terreno del valore di circa L. 50.000.000 ed il 18 agosto 1984 alla moglie di questo per L. 17.000.000 un quartino in Perugia del valore di L. 90.000.000, facendo riserva, in entrambi gli atti, di usufrutto in favore proprio e, successivamente, della Catocchi, domandò che:
a) fosse riconosciuto che le vendite erano "atti simulati e fatti comunque in frode delle (sue) ragioni ereditarie...";b) fossero revocati "gli atti stessi perlomeno nei sensi, limiti ed effetti...(del suo) giusto concorso...sul loro valore, quale figlio ed avente diritto del de cuius";c) fosse riconosciuto "che vi è stata lesione ai sensi di legge";d) fossero emesse, quindi, "tutte le pronunce proprie del caso e relative a questa azione";e) fossero condannati i convenuti "in ogni caso...al supplemento di prezzo, con gli interessi come per legge, rivalutazione, i danni tutti all'istante derivati e derivandi dalle vendite impugnate...". Si costituirono G M, la Catocchi e la Posti e chiesero il rigetto delle domande, negando che le vendite fossero state simulate ed affermando che il prezzo convenuto e corrisposto per l'acquisto degli immobili era stato superiore a quello dichiarato, e, in una udienza successiva, dedussero che doveva considerarsi di proprietà comune della famiglia un immobile che l'attore si era visto attribuire all'esito di un precedente giudizio di divisione con il de cuius. All'esito di interrogatorio formale, deferito ai convenuti sul prezzo effettivamente pagato per il trasferimento degli immobili, di prova per testi e di consulenza estimativa dei cespiti, il Tribunale con sentenza del 9 dicembre 1996 rigettò le domande dell'attore. La decisione, appellata dal soccombente, venne confermata il 23 aprile 2002 dalla Corte di appello di Perugia, la quale osservò che:
a) l'attore, pur chiedendo l'accertamento della simulazione delle vendite, non aveva indicato alcun elemento costitutivo della fattispecie di simulazione, vuoi assoluta e vuoi relativa, e, limitandosi ad allegare la notevole sproporzione tra il prezzo dichiarato negli atti di vendita ed il valore di mercato degli immobili ceduti, aveva inteso svolgere una domanda volta ad accertare la natura delle vendite di negotium mixtum cum donazione;
b) l'azione esercitata dall'attore, non avendo egli allegato la qualità di legittimario e chiesto espressamente la riduzione delle donazioni dissimulate in quanto lesive della sua quota di riserva, non poteva essere qualificata come di riduzione, ma doveva ritenersi diretta alla riacquisizione all'asse ereditario dei beni donati al fine dell'attribuzione della quota ereditaria a lui spettante per legge;
c) la proposizione dell'azione di riduzione per la prima volta in grado di appello era inammissibile e la domanda di accertamento della natura delle vendite di negotium mixtum cum donazione, ribadita in via principale con il gravame, era logicamente incompatibile con quella subordinata di accertamento della simulazione relativa;
c) le quietanza di pagamento del prezzo, rilasciate dal dante causa negli atti di alienazione, erano opponibili all'attore, avendo egli agito nelle veste di successore del de cuius e non di legittimario leso nel proprio diritto alla quota di riserva, e facevano piena prova in ordine all'inesistenza delle simulazioni delle vendite;
d) la congruità del prezzo corrisposto per l'acquisto, riconosciuta dal ctu "anche tenuto conto della riserva di usufrutto in favore dell'alienante e della di lui moglie", escludeva che le vendite avessero avuto natura di donazioni indirette;
e) la moglie del fratello non era soggetto passivamente legittimata all'azione di collazione e la mancata accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario escludeva, a norma dell'art. 564, c.c., la proponibilità nei suoi confronti dell'azione di riduzione da parte dell'attore;
f) erano inammissibili o non rilevanti le richieste istruttorie formulate formulato o rinnovate dall'attore in secondo grado. L M è ricorso con cinque motivi per la cassazione della sentenza, gli intimati G M, Catocchi e Posti hanno resistito con controricorso notificato il 6 novembre 2002 ed il ricorrente ha depositato memoria il 24 giugno 2005.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando la violazione degli artt. 555, 536 e 542, c.c., e degli artt. 112, 115 e 116, c.p.c., nonché il vizio di motivazione, il ricorrente censura la qualificazione delle domande da lui proposte operata nella sentenza impugnata sul duplice rilievo che, essendosi egli doluto nell'atto di citazione della totale pretermissione dei suoi diritti di erede in conseguenza delle donazioni effettuate in vita dal de cuius, l'azione da lui esercitata per il recupero dei beni usciti dal patrimonio del defunto non avrebbe potuto essere qualificata altrimenti che di riduzione e che sua la richiesta di accertamento della simulazione relativa delle vendite era fondata sull'assunto di una dissimulazione di donazioni, sia totale che parziale. Il motivo è fondato.
Qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio mediante atti di donazione, sacrificando totalmente un erede necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacché, non sorgendo alcuna comunione ereditaria se non vi sia nulla da dividere, solo dopo l'esperimento vittorioso di tale azione egli è legittimato a promuovere od a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura a lui spettante dell'asse ereditario (cfr.: Cass civ., sez. 2^, sent. 17 maggio 1962, n. 1112;cass. civ., sez. 2^, sent. 8 novembre 1957, n. 4305). Ne consegue che, salva l'ipotesi in cui il legittimario totalmente pretermesso, facendo valere la nullità delle donazioni, anche eventualmente dissimulate sotto la figura di un negozio oneroso, intenda dimostrare che i beni non sono realmente usciti dal patrimonio del defunto, non può porsi alcuna questione sulla qualificabilità come di riduzione dell'azione da lui esercitata per la declaratoria dell'inefficacia del trasferimento della proprietà dei beni, anche se ad altro erede necessario, oltre che ad un terzo, non potendo egli agire nella mera qualità di successore legittimo del de cuius per il recupero all'asse ereditario di beni validamente donati.
La sentenza, escluso che l'attore avesse chiesto l'accertamento della simulazione assoluta delle vendite ovvero della nullità delle donazioni dissimulate per difetto dei loro requisiti di sostanza o di forma, non poteva, dunque, senza incorrere nella violazione degli artt. 555 e 557, c.c., nonché in una argomentazione contraddittoria, non riconoscere, avendo premesso in fatto che l'attore aveva allegato a fondamento delle domande l'insussistenza di beni relitti dal de cuius e dedotto, anche in appello (cfr.: sent. pag. 7, p.p.) la dissimulazione con le vendite di atti totalmente liberali, in quanto non era stato dimostrato il versamento del corrispettivo, o parzialmente gratuiti, che il legittimario, sollecitando la revoca delle alienazioni in quanto in frode delle proprie ragioni ereditarie, avesse svolto in giudizio, da un lato, un'azione diretta alla declaratoria della simulazione relativa delle vendite e, dall'altro, un'azione di riduzione delle donazioni che in qualsiasi misura con le medesime erano dissimulate. La fondatezza del primo motivo e la conseguente cassazione in relazione ad esso della decisione di secondo grado comporta l'assorbimento dell'esame del secondo motivo, con il quale il ricorrente, denunciando la violazione degli artt. 1417, 1199, 2697 e 2729, c.c., 555 e ss. c.c., 2730, c.c., 115 e 116, c.p.c., si duole dei limiti probatori ravvisati nei suoi confronti nella dimostrazione di una simulazione delle vendite, rispetto alla quale egli, avendo esercitato un'azione di riduzione, si profilava quale terzo.
Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 194, 195, 115 e 116, c.p.c., e il vizio di motivazione, censura la sentenza di secondo grado per avere condiviso la stima degli immobili eseguita dal c.t.u., che tenere conto che egli, dopo il deposito, ne aveva contestato le risultanze e nell'atto di appello ne aveva domandato la rinnovazione.
Deduce che il c.t.u. non avrebbe ricercato ed allegato alla sua relazione gli elementi di riferimento per la determinazione del valore degli immobili negli anni 1983 e 1984 e non avrebbe ne' dato conto delle ragioni per le quali, in contrasto con i parametri utilizzati ai fini della determinazione dell'imposta di registro e con la comune esperienza, aveva accertato un valore storico inferiore di tre o quattro volte quello accertato nell'anno 1994 e ne' considerato, nella valutazione della riserva di usufrutto, che al momento delle vendite il de cuius era da tempo gravemente malato ed era ormai moribondo all'epoca della seconda di esse. Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata ha condiviso le valutazioni compiute dal c.t.u. e rigettato la richiesta di rinnovazione della stima da lui eseguita in base alla duplice considerazione che, "anche tenuto conto della riserva in favore dell'alienante e della di lui moglie", il prezzo concordato dalle parti in ciascuno degli atti di vendita appariva congruo e che l'appellante non aveva specificamente contestato la consulenza. Orbene, il principio, secondo il quale in sede di giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi di dibattito non affrontati nelle precedenti fasi, trova applicazione anche con riferimento alle contestazioni mosse alle conclusioni del consulente tecnico e ad esso consegue che dette contestazioni sono ammissibili in sede di ricorso per Cassazione a condizione che la loro proposizione al giudice di merito risulti dalla sentenza impugnata o, in mancanza, dalla specifica indicazione nel ricorso dell'atto del procedimento di merito in cui esse erano state formulate e del loro tenore, onde consentire di controllare, ex actis, la veridicità dell'asserzione prima di esaminare nel merito la questione (cfr.: Cass. civ., sez. 2^, sent. 15 febbraio 2002, n. 2207;cass. civ., sez. 2^, sent. 29 settembre 1998, n. 9711). Tale onere non ha soddisfatto il ricorrente, giacché si è limitato a menzionare la formulazione nell'atto di appello di una richiesta di rinnovazione della c.t.u. "per accertare/determinare il valore di mercato, alla data dei singoli atti per cui è causa, dei beni oggetto dei contratti di vendita", che era stata rigettata anche per la "mancanza di specifiche contestazioni delle valutazioni peritali", e non ha indicato se e quali censure avesse formulato in grado di appello che il giudice di secondo grado non soltanto aveva ignorato, ma aveva espressamente affermato non essere state in alcun modo sottoposte al proprio esame.
Con il quarto motivo, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 737, 555, e ss., e 564, c.c., ed il vizio di motivazione, il ricorrente si duole del richiamo nella sentenza al difetto di legittimazione passiva della cognata rispetto ad una azione di collazione che egli non aveva proposto e dell'affermazione dell'improponibilità nei confronti della medesima dell'azione di riduzione per non avere egli accettato con beneficio d'inventario un'eredità che la totale pretermissione non gli aveva consentito di accettare. Il motivo, il cui esame è in parte assorbito dall'accoglimento del primo motivo di ricorso, è fondato nella sua restante parte. La disposizione dell'art. 564, 1 co., c.p.c., che subordina la proposizione dell'azione di riduzione delle donazioni e dei legati da parte del legittimario alla sua accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, salvo che le donazioni e i legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi, risponde alla ratio storica di evitare che la confusione dei patrimoni dell'erede e del de cuius impedisca al donatario od al legatario di verificare l'effettività della lesione della riserva ed a quella positiva, di cui è fatta menzione nella relazione al progetto definitivo del c.c., di evitare il contrasto logico ed insanabile tra la responsabilità illimitata dell'erede, nonché il suo obbligo di rispettare gli atti di disposizione del defunto, e l'azione di riduzione della liberalità.
Detto onere di accettazione beneficiata è stato escluso nei confronti del legittimario totalmente pretermesso dal testatore, che abbia disposto a titolo universale dell'intero asse a favore di altri, in base alla considerazione che, a norma dell'art. 467, 2 co., c.c., questi non è chiamato all'eredità fino a quando l'istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti, e tale regola, sulla considerazione che una totale pretermissione del legittimario può aversi anche nella successione ab intestato, qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell'intero suo patrimonio con atti di donazione, è stata da tempo estesa anche all'erede legittimo che per l'assenza di beni relitti si trovi nella necessità di esperire l'azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce (cfr.: Cass. civ., sez. 2^, sent. 9 dicembre 1995, n. 12632;cass. civ., sez 2^, sent. 1 dicembre 1993, n. 11873). Tale estensione, non soccorrendo in senso contrario ne' la ratio storica della norma, atteso che la totale pretermissione, se provata dall'erede legittimo, esclude in fatto la possibilità di un'attenuazione della tutela del donatario, ne' la ratio positiva, giacché il legittimario agisce non in quanto erede per disconoscere gli effetti di atti dispositivi del defunto, ma quale titolare di un diritto potestativo di successione e contro la volontà del defunto che lo ha privato dell'eredità, merita di essere condivisa, non avendo i controricorrenti opposto alcun argomento ostativo all'adesione all'orientamento ormai conforme assunto sul punto dal giudice di legittimità (cfr.: Cass. civ., sez. 2^, sent. 12 maggio 2000, n. 6085). Con il quinto motivo, deducendo la violazione degli artt. 2697, 555 e 556, c.c., 112, 210, 213 e 263, c.p.c., ed il vizio di motivazione, il ricorrente lamenta il rigetto delle istanze istruttorie riformulate in appello di disporre la rinnovazione della c.t.u. per la stima degli immobili e di ordinare, ai fini della determinazione della massa ereditaria e della porzione disponibile di essa: a) la redazione dell'inventario dei beni relitti;b) ai convenuti di rendere conto delle somme e dei beni stessi, nonché di depositare le denunce fiscali;c) alla Banca di Toscana di trasmettere la documentazione relativa ai depositi ed ai conti bancali e rapporti intrattenuti con il defunto;d) altra c.t.u. per determinare il valore dell'opera prestata e dei lavori da lui eseguiti per l'edificazione della parte di immobile rimasta in sua proprietà esclusiva a seguito di divisione del de cuius, sulla cui domanda di accertamento la sentenza aveva anche omesso di pronunciarsi;e) ai convenuti, ovvero alla p.a., il deposito della denuncia di successione. Il motivo è infondato.
Come correttamente osservato nella decisione le richieste istruttorie erano dirette all'accertamento della consistenza dell'asse ereditario e la loro ammissibilità presupponeva, dunque, la proposizione di un giudizio di divisione ereditaria che l'attore non aveva proposto, e che non poteva implicitamente proporre prospettando l'inesistenza di beni relitti dal de cuius, essendosi egli limitato a domandare l'accertamento della simulazione delle vendite e la riduzione delle donazioni totalmente o parzialmente dissimulate.
Non è invece censurabile sotto il profilo del vizio di violazione di legge il rigetto della istanza di rinnovazione della consulenza di stima e l'adeguatezza della motivazione, che fa riferimento all'assenza di contestazioni ed alla congruità degli esiti della stima già effettuata, esclude la sindacabilità della decisione per un vizio argomentativo della pronuncia.
Alla fondatezza del primo e quarto motivo seguono l'accoglimento del ricorso relativamente ai motivi accolti e la cassazione della sentenza con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma.