Cass. civ., SS.UU., sentenza 16/06/2005, n. 12869
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Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. CORONA Rafaele - Presidente di sezione -
Dott. DUVA Vittorio - Presidente di sezione -
Dott. PAPA Enrico - Consigliere -
Dott. PREDEN Roberto - Consigliere -
Dott. VARRONE Michele - Consigliere -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere -
Dott. CICALA Mario - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso l'Avvocatura Comunale, rappresentato e difeso dall'avvocato ONOFRI Luigi, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
RB PUBBLICITÀ S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 24, presso lo Studio dell'avvocato SCAVUZZO Giuseppe, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 15/02 della Commissione tributaria regionale di ROMA, depositata il 16/05/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 05/05/05 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;
uditi gli avvocati Luigi ONOFRI, Giuseppe SCAVUZZO;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per l'ammissibilità del ricorso, rinvio a sezione semplice.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La RB. Pubblicità s.r.l. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma una serie di avvisi di accertamento emessi dal Comune di Roma, relativi alla TOSAP per impianti pubblicitari, deducendo che il Comune aveva esonerato dalla TOSAP gli operatori pubblicitari, già gravati dalla imposta sulla pubblicità e dal canone per l'occupazione di suolo pubblico. Il Comune, costituitosi, replicava che detto esonero riguardava i soli impianti autorizzati, e non anche quelli abusivi.
La Commissione tributaria provinciale con sentenza del 26 maggio 2000 rigettava il ricorso.
Proposto appello dalla parte soccombente, la Commissione tributaria regionale con sentenza del 16 maggio 2002 accoglieva l'impugnazione, osservando in motivazione che gli avvisi di accertamento erano formalmente regolari;
che il Comune aveva deliberato in data 19 dicembre 1994 l'esonero dalla TOSAP per tutti gli operatori pubblicitari;
che la direttiva del Capo dipartimento delle Politiche economiche e di bilancio del Comune - la quale richiedeva per l'esonero, tra l'altro, F assenza di situazioni abusive - non era in linea con la richiamata delibera, che non conteneva traccia di rapporto di subordinazione fra la regolarità dei pagamenti del canone e l'esonero dalla TOSAP;
che era incontestata la qualifica di operatore pubblicitario della società appellante e l'avvenuta presentazione dell'istanza di ammissione al procedimento di riordino. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Comune di Roma deducendo tre motivi. La s.r.l. RB Pubblicità resisteva con controricorso illustrato con memoria.
Con ordinanza depositata il 26 gennaio 2005 la sezione tributaria di questa Corte, rilevato che il Comune si era costituito in giudizio in persona del sindaco sulla base di una determinazione del dirigente responsabile del Servizio affissioni e pubblicità, sollecitava l'intervento delle Sezioni Unite ai fini della soluzione del contrasto giurisprudenziale esistente in ordine alla persistenza della necessità, nel nuovo ordinamento degli enti locali, della autorizzazione al sindaco a stare in giudizio in nome e per conto del Comune e, nel caso di soluzione positiva di detto quesito, in ordine alla possibilità che lo statuto comunale disciplini la materia delle autorizzazioni alle liti attribuendo la relativa determinazione a dirigenti dell'amministrazione, nonché in ordine alla operatività in relazione allo statuto del principio generale del tura novit curia. Il ricorso era quindi affidato a queste Sezioni Unite ai sensi dell'art. 374 comma 2 c.p.c., sia ai fini della composizione del denunciato contrasto, sia in ragione della particolare importanza delle questioni che lo stesso ricorso solleva.
Il Comune di Roma infine depositava ulteriore memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
Come risulta dalla esposizione che precede, le questioni che queste Sezioni Unite sono chiamate a risolvere attengono alla necessità, anche nel sistema delle autonomie locali disciplinato dal testo unico di cui al decr. legisl. n. 267 del 2000, della autorizzazione della giunta comunale al sindaco a promuovere o a resistere al giudizio e, nell'ipotesi affermativa, alla possibilità che lo statuto detti una disciplina derogatoria, eventualmente investendo del potere deliberativo un dirigente dell'amministrazione comunale, nonché alla applicabilità del principio della scienza ufficiale del giudice in relazione allo statuto.
Ritengono le Sezioni Unite che la soluzione delle questioni in esame postuli una rilettura complessiva dell'ordinamento degli enti locali, attraverso una ricostruzione storico - sistematica degli interventi normativi succedutisi nel tempo, che hanno profondamente inciso sulla fisionomia, sull'autonomia e sull'organizzazione di detti enti, ed un approccio alla problematica che muova dall'analisi del connesso problema della rappresentanza processuale. Come è noto, su quest'ultimo problema la giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a sezioni unite, è pervenuta a conclusioni non univoche. Secondo l'orientamento decisamente prevalente la rappresentanza in giudizio del Comune deve considerarsi riservata, in base all'art. 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decr. legisl. n. 267 del 2000, così come in base al precedente art. 36 della legge n. 142 del 1990, esclusivamente al sindaco e non può essere esercitata dal diligente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se ciò sia previsto dallo statuto.) conseguentemente, ove lo statuto o il regolamento contengano una previsione siffatta, essi devono essere disapplicati al giudice ordinario, in ragione della loro illegittimità per violazione di legge (così, tra le altre, Cass. 2003 n. 1949;
2003 n, 2583;
2003 n. 2878;
2003 n. 3736;
2003 n. 17360;
2003 n. 19082;
2004 n. 10787;
2004 n. 15634;
2004 n. 18087). Tali decisioni si fondano, pur nella non completa identità del relativo percorso argomentativo, su una serie di convergenti considerazioni: in primo luogo si rileva che il preciso disposto dell'alt. 50 del testo unico di cui al decr. legisl. n. 267 del 2000, il quale riserva al sindaco il potere - dovere di rappresentare il Comune in giudizio, non può subire deroga attraverso il conferimento del potere rappresentativo ad altri soggetti ad opera dell'autonomia normativa comunale. Si osserva inoltre che i poteri di direzione degli uffici e dei servizi attribuiti ai dirigenti dall'art. 107 dello stesso testo unico, includenti quello di adottare atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno e quello di stipulare contratti, non ricomprendono il potere di rappresentanza processuale dell'ente, che non costituisce oggetto di menzione nella analitica elencazione contenuta in detta disposizione. Si rileva ancora che l'art. 6 comma 2 del testo unico consente al Comune di disciplinare con lo statuto il regime delle autorizzazioni a promuovere o a resistere alle liti, in quanto attinente ai modi con i quali la rappresentanza va esercitata, ma non anche di individuare i soggetti che possono rappresentare l'ente in giudizio: si richiama a giustificazione di una limitazione siffatta della potestà statutaria il principio della gerarchia delle fonti, il quale non consente che lo statuto possa sottrarre quel potere all'organo cui il legislatore, avvalendosi delle sue prerogative, ha inteso in via esclusiva affidarlo.
Secondo un diverso e minoritario orientamento lo statuto comunale può legittimamente prevedere che i poteri di rappresentanza processuale spettino ad un dirigente comunale in luogo del sindaco:
in tal senso si è espressa Cass. 2002 n. 4845, che ha affermato che la legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza dell'ente, che compete in via primaria al sindaco, può appartenere al segretario generale, nella sua qualità di dirigente di ufficio dirigenziale generale, solo in quanto derivi da una norma dello statuto o del regolamento comunale o sia stata attribuita dallo stesso sindaco, ed ha precisato che la norma di cui all'art. 16 del decr. legisl 3 febbraio 1993 n. 29, sostituito prima dall'art. 9 del decr. legisl. n. 546 del 1993, poi dall'art. 11 del decr. legisl. n. 80 del 1998, quindi modificato dall'art. 4 del decr. legisl. n. 387 del 1998, infine dall'art. 16 del decr. legisl. n. 165 del 2001, che
attribuisce ai dirigenti di uffici dirigenziali generali il potere di promuovere e resistere alle liti e di conciliare e di transigere, non trova diretta applicazione nei confronti dei dirigenti del Comune, in mancanza di adeguamento del suo statuto o regolamento a tale regola, ai sensi dell'art. 27 dello stesso decr. legisl. n. 165 del 2001. Altre recenti decisioni tendono a temperare la rigidità dell'orientamento per primo richiamato, in quanto, pur ribadendo la ^x spettanza unicamente al sindaco del potere di rappresentanza processuale del Comune, ammettono che tale potere possa essere dal sindaco delegato al dirigente responsabile di un ufficio comunale, con riguardo ai rapporti di competenza di tale ufficio (così S.U. 2004 n. 5174 e 5463;
2004 n. 22197). Ritengono le Sezioni Unite che l'indirizzo giurisprudenziale seguito dalla giurisprudenza prevalente debba essere sottoposto a revisione, in quanto gli argomenti che lo sorreggono, fondati sulla assunzione del dato testuale fornito dall'art. 50 del decr. legisl. n. 267 del 2000 come principio cardine del sistema, tale da influenzare l'intero
impianto normativo, riflettono una visione dell'ordinamento degli enti locali