Cass. civ., sez. II, sentenza 24/03/2009, n. 7068

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Il tutore dell'interdetto, essendo tenuto a proteggere gli interessi della persona tutelata, non ha bisogno dell'autorizzazione del giudice tutelare né per resistere alla lite promossa da un terzo nei confronti dell'interdetto, né per impugnare la relativa sentenza, né per coltivare le liti promosse dall'interdetto in epoca anteriore all'interdizione. (Principio affermato in un caso in cui il tutore aveva proposto ricorso per cassazione contro la sentenza d'appello in un giudizio nel quale l'interdetto era stato convenuto in primo grado prima che ne venisse dichiarata l'interdizione).

A differenza dell'erede - il quale succede di diritto nella situazione possessoria del "de cuius", pur essendo tenuto all'accettazione dell'eredità - il legatario, che acquista il legato senza bisogno di accettazione, dipende dall'erede per conseguire il possesso del bene legato; ne consegue che la sentenza la quale accerti il diritto del legatario alla consegna della cosa, ai sensi dell'art. 649, comma terzo, cod. civ., una volta passata in giudicato, rende incontestabile anche la proprietà della cosa in capo al legatario stesso.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 24/03/2009, n. 7068
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7068
Data del deposito : 24 marzo 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Presidente -
Dott. M D C L - rel. Consigliere -
Dott. A U - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. C V - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso 15818/2004 proposto da:
MATERAZZO CONCETTA, in proprio e nella qualità di tutrice e legale rappresentante pro tempore dell'interdetto GOVERNA GIOVANNI, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE LIEGI

49, presso lo studio dell'avvocato A C, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato G F;



- ricorrente -


contro
M I, M N, M G, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA A ZOAGLI MAMELI

9, presso lo studio dell'avvocato B G, rappresentati e difesi dall'avvocato E A;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 213/2003 del TRIBUNALE di LAMEZIA TERME, depositata il 28/05/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2009 dal Consigliere Dott. L M D C;

udito l'Avvocato D C con delega depositata in udienza dell'Avvocato A C, difensore della ricorrente che ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO

Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Mendicino Assunta, M G, M I e M N chiedevano al pretore di Lametia Terme: 1) di dichiarare che essi attori erano proprietari esclusivi della cappella funeraria sita nel cimitero di *Nicastro* oggetto di legato disposto in loro favore dal defunto M G;
2) di ordinare al convenuto G G di rimuovere le salme dei propri congiunti tumulate nella detta cappella.
Il convenuto G G, costituitosi, contestava la legittimazione attiva degli attori e, in subordine, contestava l'esistenza in capo agli attori di un diritto di proprietà esclusiva sulla cappella in questione. Si costituiva anche la moglie del convenuto M C la quale chiedeva la condanna degli attori a rimborsarle le spese che essa M aveva sostenuto per effettuare alcuni lavori nella cappella in contestazione. Con sentenza 12/2/1998 l'adito pretore condannava il Governa a consegnare agli attori la copia della chiave della cappella in questione e rigettava sia le altre domande degli attori, sia la domanda di rimborso formulata dalla M.
Avverso la detta sentenza proponevano appello M I, N e Giovanna, quest'ultima anche quale erede della madre Mendicino Assunta.
G G, rappresentato dal tutore provvisorio M C, nonché quest'ultima in proprio, resistevano al gravame e proponevano appello incidentale.
Con sentenza 28/5/2003 il tribunale di Lametia Terme: 1) accoglieva l'appello principale e, previa declaratoria che i M erano proprietari esclusivi della cappella funeraria, condannava gli appellati a rimuovere le salme tumulate dai medesimi dal *27/10/1978* in poi;
2) accoglieva parzialmente l'appello incidentale proposto dalla M e condannava gli appellanti al rimborso in favore dell'appellante incidentale della somma di Euro 9.192,93. Osservava il tribunale: che era fondata la censura con la quale gli appellanti principali avevano lamentato l'errore commesso dal pretore nel non ravvisare l'intervenuto giudicato in ordine alla proprietà esclusiva della cappella funeraria in capo ai M;
che, come risultava dagli atti, con la citazione introduttiva del giudizio iscritto al n. 8/78 notificata nel maggio 1978 G M, nato il *17/12/1921*, aveva convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Lametia Terme Governa M, O e C chiedendo ex art.649 c.c., la consegna dei beni oggetto di legato di cui il testatore
G M, nato il *27/2/1900* e deceduto il *25/10/1977*, con testamento 3/9/1977 aveva disposto in favore di m giovanni, M M, M I, M N e M L;
che i convenuti, nel costituirsi in detto giudizio, avevano contestato l'autenticità del testamento;
che il giudizio era stato riunito ad altro avente ad oggetto la querela di falso proposta da Carmelina M Governa avverso altro precedente testamento del defunto m giovanni;
che il processo era sfociato nella sentenza 36/1987 con la quale era stata dichiarata aperta la successione di m giovanni, nato nel *1900*, regolata dal testamento 3/9/1977 ed era stata ordinata la consegna all'attore M G della quota parte allo stesso spettante dei beni ereditari;
che la detta pronuncia, impugnata sotto vari profili, era stata confermata dalla corte di appello di Catanzaro con sentenza n. 325/92 passata in giudicato;
che quindi era intervenuto il giudicato sulla proprietà esclusiva della cappella in capo a m giovanni classe *1900* in quanto, come emergeva dal tenore dell'atto di citazione introduttivo del giudizio n. 8/78, M G nato nel *1921* aveva chiesto la consegna dell'intera cappella funeraria e non di una quota di essa;
che G G nel detto giudizio si era limitato a contestare l'autenticità del testamento e non l'appartenenza esclusiva dei beni legati - ivi compresa la cappella - in capo a m giovanni classe *1900* in tal modo riconoscendo che i beni dei quali il M Gi. classe *1921* chiedeva la consegna appartenevano in toto al testatore;
che di conseguenza le sentenze passate in giudicato non avevano preso in esame in modo specifico la questione perché era pacifica la proprietà esclusiva dei beni legati al testatore;
che il passaggio in giudicato delle dette sentenze faceva stato nella controversia in esame considerata l'identità di soggetto e di oggetto tra i due giudizi;
che infatti, quanto ai soggetti, nel giudizio instaurato da M G nato nel *1921* erano intervenuti in grado di appello I e N M, nonché M M dante causa di M G e Medicino Assunta le quali avevano iniziato il giudizio in esame con l'adesione di M I e N M;
che, con riguardo all'oggetto, l'azione esperita dal legatario m giovanni ex art. 649 c.c., era petitoria e non possessoria in quanto volta ad ottenere, sul presupposto della proprietà esclusiva, il rilascio della cappella da parte del convenuto;
che era pertanto precluso al pretore l'accertamento sul punto relativo alla proprietà esclusiva della cappella oggetto di legato in capo al testatore e da questi trasmessa mediante testamento ai M;
che tale proprietà esclusiva andava di conseguenza dichiarata per cui gli appellati andavano condannati a rimuovere quanto tumulato nella cappella dopo la morte del testatore avvenuta il *25/10/1978*;
che, in accoglimento della domanda proposta dalla M, gli appellanti andavano condannati alla restituzione della somma di Euro 9.192,93 sborsata dalla appellante incidentale per l'esecuzione di riparazioni straordinarie della cappella in questione;
che le spese del doppio grado del giudizio andavano compensate tra le parti.
La cassazione della sentenza del tribunale di Lametia Terme è stata chiesta da C M, in proprio e nella qualità di tutrice e legale rappresentante dell'interdetto G G, con ricorso affidato a nove motivi. M G, I e N hanno resistito con controricorso illustrato da memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare i resistenti hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso;

rilevando: a) che M C non poteva proporre il ricorso in qualità di tutore dell'interdetto G G;
b) che la M in proprio non poteva proporre ricorso contro una sentenza a lei totalmente favorevole.
La detta eccezione è infondata in entrambi i suoi due profili. Per quanto riguarda l'impugnazione proposta dalla M, nella qualità di "tutrice e legale rappresentante dell'interdetto G G", è appena il caso di richiamare il principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'autorizzazione del giudice tutelare è richiesta, a norma dell'art. 374 c.c., n. 5, nell'ipotesi in cui il rappresentante legale intenda rendersi attore, per far valere in giudizio una pretesa ricollegabile alla sfera patrimoniale dell'incapace, e non già per la diversa ipotesi - ricorrente appunto nella specie - in cui il rappresentante stesso debba resistere all'altrui iniziativa giudiziaria, in vista della conservazione degli interessi del rappresentato. In questa seconda ipotesi, egli ben può, senza autorizzazione, proporre le eventuali impugnazioni, le quali costituiscono fasi di un unico ed unitario procedimento e non comportano il promovimento di un autonomo giudizio bensì hanno lo scopo di conseguire la rimozione di provvedimenti sfavorevoli per l'incapace (tra le tante, sentenze 10/2/1998 n. 1345;

6/2/1989 n. 722 ). Inoltre, in considerazione del tenore letterale e della "ratio" di cui all'art. 374 c.c., al tutore è fatto divieto - senza autorizzazione del giudice tutelare - di iniziare "ex novo" giudizi a nome della persona tutelata, ma non di proseguire quelli che la stessa abbia personalmente promosso in epoca antecedente al provvedimento di interdizione, non ricorrendo in tale ipotesi la necessità di compiere la preventiva valutazione in ordine all'interesse e al rischio economico per il tutelato, in quanto già compiuta dall'interessato prima della perdita della capacità. Pertanto, poiché l'appello si atteggia come prosecuzione del giudizio per la realizzazione dello stesso interesse perseguito dal tutelato con l'atto introduttivo del giudizio, il tutore è legittimato a proporre la relativa impugnazione senza autorizzazione (sentenza 21/12/2004 n. 23647). In relazione al ricorso proposto dalla M in proprio va rilevato che il tribunale di Lametia Terme con la sentenza impugnata ha condannato - in accoglimento della domanda proposta dai M - la M, unitamente al Governa, alla rimozione delle salme tumulate dai medesimi nella cappella funeraria in questione a decorrere dal *27/10/1978* in poi. Peraltro, a dimostrazione dell'interesse della citata ricorrente in proprio a proporre impugnativa, va segnalato che con il nono motivo di ricorso la M ha chiesto, in riforma dell'impugnata sentenza, la condanna dei resistenti al pagamento delle spese dei giudizi di primo e di secondo grado compensate dal tribunale di Lametia Terme. Con il primo motivo di ricorso la M denuncia: violazione del giudicato formato con la sentenza n. 36/1987 del tribunale di Lametia Terme confermata dalla corte di appello di Catanzaro con la sentenza n. 352/1992;
error in procedendo;
vizi di motivazione. Deduce la ricorrente che il tribunale di Lametia Terme ha errato nell'affermare che "dal tenore dell'atto di citazione emerge con chiarezza che il petitum dell'azione era rappresentato dalla consegna di tutti i beni legati, ivi compresa l'intera cappello e non una quota di essa". Ad avviso della M tale conclusione contrasta con la detta citazione (introduttiva del giudizio conclusosi con la citata sentenza della corte di appello di Catanzaro) nella quale nulla si deduce sulla pretesa volontà dell'attore (il legatario G M classe *1921*) di conseguire la piena ed esclusiva proprietà della cappella, essendosi il detto attore limitato a chiedere la consegna del bene ex art. 649 c.c., comma 3, senza far alcun riferimento al contenuto ed ai limiti
dei diritti sulla cappella. Il giudice di secondo grado ha quindi assegnato al giudicato un'estensione più ampia di quanto consentito. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art.2909 c.c., nonché error in procedendo e vizi di motivazione,
sostenendo che il riconoscimento della proprietà esclusiva della cappello non può ritenersi rientrante fra gli elementi costituenti il deducibile nella precedente controversia nel corso della quale la questione sul contenuto della proprietà di tale bene in capo al testatore non era stata dedotta da alcuna delle parti ne' costituiva una premessa logica necessaria per il rilascio del possesso, ne' sul punto i giudici di quel giudicato avevano affermato alcunché e neanche avevano effettuato accertamenti "indedenter tantum". Con il terzo motivo la M denuncia violazione dell'art. 101 Cost., comma 2, artt. 649 e 2909 c.c., deducendo che il giudicato
sostanziale - con cui è stata accolta la domanda proposta dal legatario per ottenere il possesso del bene legato ai sensi dell'art.649 c.c., comma 3, - è inidoneo ad attribuire al legatario anche la
piena ed esclusiva proprietà della cappella oggetto del legato. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt.652 e 649 c.c., deducendo che, secondo il giudice di appello, il
legatario aveva chiesto il possesso e la proprietà esclusiva della cappella: così però non era in quanto il precedente giudicato era limitato alla consegna dei beni legati nulla disponendo sul contenuto del possesso di tali beni. Da ciò deriva che l'attore legatario aveva ottenuto il possesso della cappella entro i limiti di cui il testatore poteva disporre, ossia una situazione di compossesso con gli eredi Governa. Il legatario non poteva conseguire la piena ed esclusiva proprietà della cappella a seguito del semplice accoglimento della sua domanda di possesso della stessa atteso che l'accoglimento di tale domanda era fondato solo sul riconoscimento dell'autenticità del testamento.
Con il quinto motivo la M denuncia vizi di motivazione deducendo che la comproprietà della cappella tra le famiglie Governa e M emergeva anche dalla seguente circostanza:
durante la pendenza della causa definita con la sentenza n. 352/92 della corte di appello di Catanzaro nella cappella in questione erano stati seppelliti il convenuto Governa C e il figlio di essi ricorrenti senza contestazione da parte dei legatari. Da tale circostanza il tribunale di Lametia Terme avrebbe dovuto trarre il convincimento del riconoscimento da parte dei legatari che il legato della cappella era limitato alla sola parte di cui il te statore poteva disporre, ossia la con titolarità del bene legato. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt.2697, 652, 651 e 948 c.c., sostenendo che la domanda di
riconoscimento della proprietà esclusiva della cappella era stata presentata per la prima volta nella presente causa perché sulla relativa questione non si era formato alcun giudicato. Del resto se si fosse formato tale giudicato i M avrebbero potuto instaurare il procedimento esecutivo per la consegna ed il rilascio della cappella ai sensi dell'art. 605 c.c. e segg.. Peraltro il convenuto G G aveva eccepito la contitolarità in capo al testatore della cappella e la limitazione del lascito alla sola parte appartenente al testatore.
Spettava quindi agli attori provare che il testatore aveva loro legato la piena proprietà della cappella e che il testatore era proprietario esclusivo di detta cappella per averla acquistata o da un suo dante causa o a titolo originario. Tale prova non è stata offerta con conseguente rigetto della domanda degli attori a norma dell'art. 2697 c.c.. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt.2909, 649 e 1103 c.c., lamentando l'illegittima estensione soggettiva
di un giudicato in favore di altri collegatari. Sostiene la M che il giudice di appello non ha considerato che la domanda di consegna dei beni legati era stata presentata dal solo legatario G M nato nel *1921* per cui il giudicato investe esclusivamente quest'ultimo che non è parte della controversia in esame. La sentenza impugnata ha quindi attribuito alla domanda presentata dal solo legatario m giovanni un'efficacia estensiva soggettiva in favore degli altri legatari non prevista da alcuna norma. Con le sentenze passate in giudicato è stato riconosciuto il diritto di possedere i beni legati al solo giovanni m - il quale era stato l'unico legatario a proporre la domanda ex art. 649 c.c., - mentre con la sentenza impugnata è stata assegnata alla domanda di G M un'efficacia estensiva non prevista da alcuna norma e anzi contrastante con l'art.1113 c.c.. Con l'ottavo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2909 c.c., artt. 274 e 105 c.p.c., sostenendo che è errata la parte della
sentenza impugnata con la quale è stato esteso il precedente giudicato anche nei confronti dei legatari della controversia in esame sul seguente rilevo: "nel corso del giudizio di appello intervenivano M M, M I, M N e M L". In realtà la domanda dei legatari intervenuti nella precedente controversia era stata accolta solo con riferimento agli oggetti delle cause riunite concernenti l'autenticità del testamento e non anche in riferimento alla domanda di consegna dei beni legati presentata solo da M G classe *1921*. Con il precedente giudicato era stata ordinata la consegna dei beni legato solo a M G e non agli altri legatari. La Corte rileva l'infondatezza delle dette numerose (e in parte ripetitive) censure che possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza e per l'evidente legame logico - giuridico che le congiunge riguardando tutte, quale più quale meno e in via diretta o indiretta, questioni collegate al giudicato esterno sia pur prospettate sotto profili diversi. Occorre premettere che, come questa Corte ha più volte affermato, il giudicato va assimilato agli "elementi normativi" per cui la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell'esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l'esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (tra le ultime, sentenze 9/9/2008 n. 22883;

28/11/2007 n. 24664).
Ciò posto va rilevato che dalla consentita lettura degli atti relativi al giudizio promosso da M G nato nel *1921* conclusosi con la sentenza della corte di appello di Catanzaro n. 325/92 - ossia: atto di citazione come articolato dal M, sentenza di primo grado e sentenza di appello - emerge con immediatezza la correttezza, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente con i motivi in esame, dell'interpretazione data dal tribunale di Lametia Terme al detto giudicato.
Con il citato atto di citazione M G, classe *1921*, chiese agli eredi di giovanni m (nato nel *1900*) la consegna dei beni - tra i quali la cappella funeraria in questione - che il defunto m, con il testamento 3/9/1977, aveva legato ad esso attore ed a M M, M I, M N e Licia M. In tale atto di citazione non solo non risulta effettuato alcun riferimento a limitazioni del diritto di proprietà esclusiva in capo al testatore dei beni da questi legati, ma appare anzi formulata la richiesta di condanna dei convenuti alla consegna dei beni legati (e non di quota della proprietà di tali beni) nonché non di parte ma di "tutti" i relativi frutti e interessi dal *25/10/1977* (data di decesso del de cuius).
Con la sentenza di primo grado n. 36/1987, pronunciata dal tribunale di Lemetia Terme, le richieste dell'attore M vennero integralmente accolte dopo la dichiarazione che la successione di m giovanni (nato nel *1900*) era regolata dal testamento olografo del 3/9/1997 e senza alcun cenno ad eventuali contestazioni da parte dei convenuti in ordine alla proprietà esclusiva in capo al testatore dei beni oggetto di legato, ivi compresa la cappella in contestazione.
La detta sentenza di primo grado venne confermata - per la parte che in questa sede interessa - con il rigetto dell'impugnativa dei soccombenti convenuti basata solo sulla contestata validità del testamento del 3/9/1977 e non sul punto relativo alla proprietà esclusiva del testatore dei beni (compresa la cappella) oggetto di legato.
Va aggiunto che alla pagina 22 della detta sentenza venne precisato che nel giudizio di appello spiegarono intervento volontario gli altri legatari M M, I, N e Licia "al fine di sanare ogni eventuale pregresso vizio del contraddittorio nei loro confronti". I citati M precisarono espressamente di accettare "integralmente" la sentenza appellata aderendo "alle ragioni e conclusioni di M junior".
Dal contenuto dei citati atti processuali del giudizio conclusosi con la sentenza della corte di appello di Catanzaro passata in giudicato risulta evidente che l'interpretazione che con la sentenza impugnata il tribunale di Lametia Terme ha dato al detto giudicato è ineccepibile e sorretta da motivazione coerente e convincente oltre che immune da vizi logici e giuridici per cui la pronuncia impugnata merita conferma sottraendosi alle critiche che sono state mosse con le censure in esame.
Va peraltro segnalato che la stessa M ha chiesto la condanna dei M al rimborso delle intere (e non di parte delle) spese dalla stessa sostenute per i lavori di ristrutturazione della cappella, in tal modo implicitamente riconoscendo il diritto di proprietà della cappella in capo esclusivamente ai M. Va poi osservato - con riferimento in particolare alla censura articolata con il terzo motivo di ricorso con il quale la M sostiene che con la sentenza passata in giudicato è stata riconosciuto al M G classe *1921* solo il possesso art. 649 c.c., ex comma 3, e non la proprietà esclusiva della cappella - che mentre l'erede, pur se manca la materiale apprensione dei beni, succede di diritto nella situazione possessoria del de cuius, il legatario deve dipendere dall'erede per conseguire il possesso del bene legato. Il legato inoltre si acquista senza bisogno di accettazione onde rispetto alla condizione giuridica del bene che ne è l'oggetto non vi è alcuna situazione di incertezza che caratterizza invece l'eredità sino all'accettazione del chiamato. Non è pertanto configurabile una sorta di diritto autonomo di chiedere il possesso della cosa legata ai sensi dell'art. 649 c.c., comma 3. La norma prende in considerazione il comportamento del
legatario per escludere che l'obbligo dell'erede di consegnare la cosa oggetto del legato possa scattare senza la richiesta del beneficato.
La richiesta del possesso della cosa legata lungi dal condizionare l'acquisto del legato serve a rendere irreversibile l'acquisto stesso precludendo l'esercizio della facoltà di rinuncia. La richiesta di rilascio del bene da parte del legatario - come questa Corte ha avuto modo di precisare - costituisce, sotto altra prospettiva, esercizio di un diritto, ma di un diritto privo peraltro di autonomia ontologica e costituente perciò una mera facoltà ricompresa nel contenuto di quel diritto attribuito al legatario e del quale essa viene ad essere una delle sue esplicazioni. Pertanto se il legato abbia per oggetto un diritto non soggetto a prescrizione (nella specie il diritto di proprietà su di un bene immobile) il beneficato non perde la non esercitata facoltà di chiederne la consegna nei confronti del detentore, sia esso o no l'erede, fino a quando non abbia perso il diritto di proprietà in conseguenza del suo acquisto da parte di un terzo secondo uno dei modi stabiliti dalla legge (in tali sensi: sentenza 28 maggio 1993 n. 5982). Per quanto riguarda infine la questione relativa all'estensione soggettiva del giudicato - prospettata con il settimo e l'ottavo motivo di ricorso con riferimento alla posizione degli altri collegatari M che non avevano proposto la domanda di consegna dei beni legati avanzata solo dal legatario M G nato nel *1921* - va richiamato quanto sopra riportato circa la partecipazione al giudizio di gravame innanzi alla corte di appello di Catanzaro di tutti gli altri collegatari M M, I, N e Licia i quali sono intervenuti in detto giudizio promosso solo da G M, aderendo interamente alle "ragioni e conclusioni" di quest'ultimo e accettando la pronuncia di primo grado e ciò al fine di sanare il vizio denunciato dall'appellante principale G G di omessa integrazione del contraddittorio nei loro confronti.
Correttamente, quindi, la corte di appello di Catanzaro ha applicato il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui nell'ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenuto volontariamente in appello accetti la causa nello stato e nel grado in cui essa si trova, chiedendo che la stessa sia così decisa, la nullità del giudizio di primo grado è sanata per cui il giudice di appello non è tenuto a rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma deve trattenerla e decidere sul gravame.
Ne consegue che, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudicato concernente la validità del testamento di m giovanni nato nel *1900* - impugnato dai Governa - produce conseguenze giuridiche nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio titolari di un diritto dipendente dalla detta situazione giuridica definita in quel processo e contitolari della situazione sostanziale plurisoggettiva fatta valere dall'attore in primo grado, ossia dal collegatario M G nato nel *1921*. In particolare il detto giudicato deve ritenersi esteso anche agli altri soggetti in favore dei quali il testatore aveva legato, tra l'altro, la cappella in questione con conseguente riconoscimento della proprietà esclusiva di detta cappella in favore di detti collegatari indipendentemente dalla mancata richiesta da parte di questi ultimi di consegna di tale bene, richiesta non necessaria per l'acquisto del legato che - come in precedenza posto in evidenza - non ha bisogno di accettazione per cui il beneficiato può sempre chiedere la consegna del bene di sua proprietà nei confronti di qualunque detentore. Il rigetto dei primo otto motivi comporta logicamente il rigetto anche del nono motivo con il quale la M chiede - come conseguenza dell'accoglimento dei primi otto motivi - la condanna dei resistenti al pagamento delle spese dei giudizi di primo e di secondo grado.
Dal rigetto del ricorso deriva la condanna della soccombente M - in proprio e quale tutore di G G - al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

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