Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 15/12/2011, n. 27042
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Una dichiarazione confessoria a natura stragiudiziale può essere contenuta anche in un atto sostitutivo di notorietà, e come tale è liberamente valutabile dal giudice quale prova, ai sensi dell'art. 2735, primo comma, cod. proc. civ.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R F - Presidente -
Dott. S P - Consigliere -
Dott. C D C G - Consigliere -
Dott. T S - Consigliere -
Dott. M F - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LONGO CONCETTA, CARDACIOTTO PASQUALINA, CARDACIOTTO AGOSTINO, CARDACIOTTO MARIA CARMELA, (tutti nella qualità di eredi di CARDACIOTTO GIUSEPPE), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell'avvocato P A, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, STUMPO VINCENZO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 644/2010 della CORTE D'APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 04/05/2010 r.g.n. 672/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l'Avvocato PELLICANÒ ANTONIO;
udito l'Avvocato TRIOLO VINCENZO per delega CORETTI ANTONIETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 13.4.10 la Corte d'Appello di Reggio Calabria rigettava il gravame proposto da Giuseppe C contro la pronuncia con cui il Tribunale di Palmi ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere la condanna dell'INPS al pagamento della rivalutazione secondo gli indici ISTAT dell'indennità di disoccupazione agricola percepita per gli anni 1986 - 1992.
Mentre il giudice di prime cure aveva respinto la domanda per sopravvenuta carenza di interesse, la Corte territoriale aveva motivato il rigetto del gravame sul rilievo che L'INPS aveva tempestivamente eccepito il pagamento e il C, pur espressamente interpellato, non lo aveva specificamente contestato e, anziché comparire a rendere l'interrogatorio libero, aveva prodotto una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà con cui affermava di avere ricevuto negli ultimi anni dall'istituto previdenziale le erogazioni relative all'indennità di disoccupazione agricola nonché altre prestazioni previdenziali cui aveva diritto, specificando di non essere in condizione di affermare con certezza se nel contesto di tali pagamenti l'INPS avesse inserito o meno le somme relative all'adeguamento dell'indennità di disoccupazione per cui è causa, aggiungendo di non avere ricevuto alcuna liquidazione che citasse quale causale l'invocata rivalutazione.
Ne derivava ex art. 1195 c.c., ad avviso dei giudici d'appello, il passaggio della facoltà di imputazione al creditore, facoltà nella specie non efficacemente esercitata perché a tal fine il C avrebbe dovuto dimostrare l'esistenza di crediti già scaduti diversi da quello azionato in giudizio ai quali imputare il pagamento e non limitarsi ad affermarne l'esistenza in modo generico e senza specificazione del relativo ammontare.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrono Concetta Longo e Pasqualina, Agostino e Maria Carmela C - tutti eredi dell'originario ricorrente, deceduto nelle more - affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso l'INPS.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., difetto di contraddittorio e carenza assoluta di motivazione, avendo il giudice di appello motivato sulla base di argomenti del tutto nuovi, non dedotti o eccepiti dalle parti, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e non provocando il contraddittorio sulla c.d. terza via prescelta.
Il motivo è infondato.
Nel caso di specie è inapplicabile ratione temporis il nuovo testo dell'art. 101 c.p.c. risultante dall'introduzione, nello stesso articolo, di un comma 2 (ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, di riforma del processo civile), che così recita: "Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione". Detta novella legislativa - che non ha fatto altro che recepire una diffusa anteriore giurisprudenza di questa Corte Suprema, estendendo anche ai gradi di merito il principio formalizzato, per il giudizio di cassazione, dall'art. 384 c.p.c., comma 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 49, art. 12 - è successiva all'introduzione del presente giudizio. Pertanto, bisogna riferirsi allo stato della giurisprudenza formatasi sul tema della c.d. "terza via".
Un primo orientamento (cfr., ad esempio, Cass. Sez. 2^ 10.8.2009 n. 18191, Cass. Sez. 2^ 9.6.2008 n. 15194, Cass. Sez. 3^ 5.8.2005 n. 16577, Cass. Sez. 3^ 31.10.2005 n. 21108 e Cass. 21.11.2001 n. 14637) ha affermato che il giudice non può decidere la lite in base ad una questione rilevata d'ufficio senza averla previamente sottoposta alle parti, al fine di provocare sulla stessa il contraddittorio e consentire lo svolgimento delle difese in relazione al mutato quadro della materia del contendere. Infatti, ove lo stesso giudice decidesse in base a questione rilevata d'ufficio e non segnalata alle parti, si avrebbe violazione del diritto di difesa per mancata realizzazione del contraddittorio, con conseguente nullità della pronuncia emessa.
Visto il contrasto con il difforme orientamento espresso da Cass. Sez. 2^ 27.7.2005 n. 15705, la questione è stata, poi, risolta (sempre in relazione a vicende processuali anteriori alla citata novella ex L. n. 69.09), da Cass. S.U. 30.9.2009 n. 20935 (poi seguita da Cass. Sez. 3^ 27.4.2010 n. 10062), in virtù della quale, se il giudice rileva d'ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire che su di essa si apra la discussione, non sussiste nullità della sentenza perché da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall'error iuris in iudicando ovvero all'error in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato.
Qualora, invece, si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere un'eventuale rimessione in termini.
Dunque, in virtù del quadro di riferimento giurisprudenziale (anteriore alla novella di cui alla cit. L. n. 69 del 2009 che, come si è già detto, è inapplicabile ratione temporis al caso in esame) i rilievi d'ufficio devono avvenire in modo da provocare il contraddittorio sulla relativa questione solo ove essa involga (anche) apprezzamenti di fatto e ciò al fine di consentire la possibilità per la parte interessata di chiedere l'espletamento di mezzi istruttori.
Non è questo il caso, essendosi l'impugnata sentenza limitata a dare una diversa qualificazione giuridica della dichiarazione sostitutiva di notorietà resa dal C e già acquisita nel corso del primo grado di giudizio.