Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 07/06/2004, n. 10777

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 07/06/2004, n. 10777
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10777
Data del deposito : 7 giugno 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S S - Presidente -
Dott. V L - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
Dott. P P - rel. Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso proposto da:
P O, domiciliato in Roma, via Mantegazza, n. 24, presso L G, difeso dall'avv. L L con procura speciale apposta a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro


AZIENDA SANITARIA LOCALE

Le/5 MO di L, in persona del direttore generale COMMISSARIO LIQUIDATORE DELLA AU.SL. LE/1 LECCE;

- intimata -
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di L n. 456 in data 21 marzo 2001 (R.G. 1474/00);

sentiti, nella Pubblica udienza del 12.11.2003: il Consigliere Dott. P P che ha svolto la relazione della causa;

il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A U che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di L ha confermato, rigettando l'appello di O P, la sentenza del Tribunale della stessa sede, che ne aveva giudicato infondata - accogliendo l'opposizione a decreto ingiuntivo - la pretesa di ottenere dall'Azienda sanitaria locale LE/1 il rimborso della spesa sostenuta per l'acquisto di vaccino antiallergico, nell'assunto che il vaccino desensibilizzante fosse insostituibile e indispensabile per la prevenzione e la cura dell'allergopatia da cui era affetto.
La Corte di L ha accertato in fatto che, secondo le previsioni dell'art. 8 della legge n. 537 del 1993, la Commissione unica del farmaco, nel procedere alla riclassificazione dei fermaci, non aveva inserito il vaccino antiallergico ne' in classe A (fermaci essenziali e farmaci per malattie croniche, a carico totale del servizio nazionale, salva la quota fissa di L.

5.000 per ricetta), ne' nella classe B (farmaci di rilevante interesse terapeutico, con partecipazione dell'assistito alla spesa per il 50%), ma neppure nella classe C (farmaci a carico dell'assistito), persistendo le incertezze sull'efficacia terapeutica e stante l'autorizzazione solo provvisoria alla produzione e commercializzazione del detto farmaco. Ha, quindi, rilevato che non vi erano elementi per considerare illegittime le determinazioni adottate dalla C.u.f, all'esito di un complesso procedimento amministrativo e sulla base di adeguate sperimentazioni e ricerche scientifiche, non contrastabili dalle certificazioni mediche prodotte dall'assistito, oppure mediante una consulenza tecnica.
La cassazione della sentenza è domandata dall'assistito con ricorso per un unico motivo. Non ha svolto attività difensive l'intimata Azienda sanitaria locale LE/1.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. L'unico motivo di ricorso denuncia nell'intestazione violazione della normativa in materia, ma anche, nello svolgimento delle argomentazioni, vizio di motivazione.
In sostanza, mediante il richiamo di numerosi precedenti della giurisprudenza di questa Corte, si deduce che l'indispensabilità e l'insostituibilità di un farmaco attribuisce il diritto di ottenerlo a carico del servizio sanitario nazionale e che il giudice di merito, al fine di accertare tale presupposto, avrebbe dovuto disporre consulenza tecnica;
che la certificazione medica prodotta comprovava la patologia e l'indispensabilità e insostituibilità del vaccino per la cura della patologia.


2. La Corte giudica il ricorso infondato.
Va premesso che, trattandosi di controversia introdotta anteriormente al 10 agosto 2000 (data di entrata in vigore della l. 21 luglio 2000, n. 205, ai sensi dell'art. 5 c.p.c. non è consentito porsi la
questione della sussistenza della giurisdizione ordinaria (con conseguente obbligo di rimessione alle sezioni unite ai sensi dell'art. 374. primo comma, c.p.c.), pur in assenza della preclusione derivante dal giudicato, stante l'inapplicabilità della disciplina sulla giurisdizione dettata dall'art. 33 (e 45, comma 18) del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dichiarata illegittima, in parte qua, dalla sentenza costituzionale n. 292 del 2000, nonché della disciplina, sostitutiva di quella dichiara illegittima, recata dall'art. 7 dell'indicata legge n. 205 del 2000, in quanto priva di efficacia retroattiva (cfr., tra le tante, Cass. sez. un., 7160/2003).

3. La controversia ha ad oggetto l'erogazione di prestazioni del servizio sanitario nazionale, servizio fondamentalmente disciplinato dalla l. 23 dicembre 1978, n. 833. Peraltro, la materia sanitaria è dominata, dal punto di vista costituzionale, dai principi di cui all'art. 32 comma primo, Cost. secondo cui "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti", onde le funzioni, anche amministrative in senso stretto - come tali non suscettibili di essere svolte dagli organi di governo senza il supporto di apparati amministrativi veri e propri - attribuite ai poteri pubblici in materia sanitaria sono, almeno in parte, sicuramente da considerarsi come costituzionalmente necessarie (cfr. C. cost. n. 17 del 1997).

4. La giurisprudenza delle sezioni unite della Corte, sia pure nell'ambito di pronunce dirette a regolare la giurisdizione, è da tempo consolidata nel ricondurre, in linea di massima e in base alla forza espansiva dell'art. 32 Cost., la pretesa a finire di prestazioni del servizio sanitario nazionale alle situazioni soggettive garantite con la consistenza del diritto soggettivo, non ostandovi l'organizzazione del servizio in forma amministrativa e la fonte di diritto pubblico delle obbligazioni, con la precisazione che la tutela del diritto soggettivo è attuabile anche mediante la disapplicazione di atti amministrativi non conformi a legge, ai sensi dell'art. 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (cfr. Cass., sez. un., 12218/1990). Si riconosce, quindi, la possibilità che la legge conferisca veri e propri poteri agli organi amministrativi nella materia (in particolare, di determinazione dei vari livelli delle prestazioni, di autorizzazione ad avvalersi di forme di assistenza indiretta, ecc.);

che, di conseguenza, i relativi atti di esercizio siano annullabili dal giudice amministrativo a tutela degli interessi legittimi, ovvero disapplicabili dal giudice ordinario a tutela dei diritti soggettivi (cfr. Cass., sez. un., 837/1999).

5. Con riguardo all'istituto della disapplicazione degli atti amministrativi non conformi a legge, peraltro, la giurisprudenza della Corte non è stata sempre chiara nella sua esatta definizione, omettendo non di rado di chiarire la radicale differenza che intercorre tra la negazione dell'efficacia di un atto amministrativo che non trovi supporto nell'attribuzione del potere di regolare e disciplinare, con effetti immancabilmente costitutivi, la situazione giuridica e di comporre così i conflitti di interesse (disapplicazione in senso improprio e non tecnico), e la disapplicazione (in senso proprio o tecnico) che consiste nel considerare tamquam non esset, ai soli fini del processo e della decisione di una questione di diritto soggettivo, un provvedimento autoritativo (che continua fuori del processo ad esplicare la sua efficacia tipica) che sia ritenuto non conforme a legge. Nella prima evenienza, infatti, il giudice conosce dell'atto verificando la c.d. carenza di potere amministrativo nell'esercizio della sua competenza principale (l'atto amministrativo è ritenuto privo di effetti anche fuori del processo e con efficacia di giudicato);
di conseguenza, resta escluso ogni tipo di efficacia dell'atto e la situazione giuridica deve essere accertata direttamente, come disegnata in via originaria dall'ordinamento, senza la mediazione dell'atto.
Nella seconda, al contrario, il giudice conosce dell'atto nell'esercizio di competenza meramente incidentale, quale mezzo al fine di tutelare il diritto soggettivo che subisce in qualche modo l'incidenza dell'efficacia tipica dell'atto medesimo (stante il principio della dissociazione tra legittimità ed efficacia degli atti amministrativi provvedimentali) e la disapplicazione consente di prescindere dai suoi effetti ai fini della decisione (effetti che persistono inalterati fuori del processo fino all'annullamento ad opera delle autorità competenti). Ne segue che, ai fini della disapplicazione dei provvedimenti amministrativi, il giudice ordinario non ha poteri di sindacato diversi e più ampi di quelli del giudice deputato istituzionalmente al controllo del potere pubblico (il giudice amministrativo) e ciò esprime chiaramente la giurisprudenza della Corte quando avverte che la disapplicazione può essere determinata da qualsiasi vizio di legittimità (compreso l'eccesso di potere), ma non certo da valutazioni di merito istituzionalmente riservate all'amministrazione (cfr. Cass., sez. un., 5705/1990;
Cass. 6001/1995;
232/2002
).

6. Nella prospettiva della disapplicazione in senso ampio, cioè della carenza di potere amministrativo, si collocano le decisioni della Corte secondo le quali, ove a fondamento della domanda di un assistito del servizio sanitario nazionale, rivolta a ottenere il rimborso delle spese per cure presso strutture private o estere, non preventivamente autorizzate secondo la regolamentazione del servizio, vengano dedotte ragioni di urgenza - che comportano per l'assistito pericoli di vita o di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione, evitabili soltanto con cure tempestive, non ottenibili dalla struttura pubblica ordinaria - manca ogni potere autorizzatorio discrezionale della pubblica amministrazione, non essendo rilevante in contrario l'eventuale discrezionalità tecnica nell'apprezzamento dei motivi di urgenza, atteso che oggetto della domanda è il diritto primario e fondamentale alla salute, il cui necessario temperamento con altri interessi, pure costituzionalmente protetti - quali l'esistenza di risorse del servizio sanitario nazionale con le conseguenti legittime limitazioni con leggi, regolamenti ed atti amministrativi generali - non vale a privarlo della consistenza di diritto soggettivo perfetto (cfr., fra le più recenti, Cass., sez. un., 117/1999;
558/2000;
194/2001;
10964/2001
). In altri termini, la pretesa tutelata in via generale come interesse legittimo a ottenere la necessaria autorizzazione, deve ricevere la tutela del diritto soggettivo allorché il rilascio dell'autorizzazione debba considerarsi "dovuta" per evitare un pregiudizio irreparabile al diritto fondamentale della persona. Evidentemente, in questo caso, i presupposti per riconoscere esistente il diritto sono accertati compiutamente e direttamente dal giudice, indipendentemente dal giudizio espresso dall'amministrazione sulla domanda di autorizzazione, dovendosi escludere la fattispecie di esercizio del potere (disapplicazione in senso ampio, o improprio, dell'atto).

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