Cass. civ., sez. III, sentenza 22/06/2009, n. 14551
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Il danno non patrimoniale, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del cosiddetto danno morale, ovverosia della sofferenza contingente e del turbamento d'animo transeunte, determinati da un fatto illecito integrante un reato, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, alla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 cod. pen. Pertanto, in caso di perdita di un familiare, la liquidazione del danno non patrimoniale subìto da un congiunto affetto da sordomutismo non può non tener conto della particolare condizione del danneggiato, trattandosi di persona avente una ridotta capacità di comunicare e di relazionarsi con le altre persone, e rispetto alla quale la perdita di un familiare, soprattutto se convivente, se non comporta sofferenze morali maggiori, determina comunque un "vulnus" particolare ed ulteriore della concreta possibilità di comunicare e relazionarsi.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V M - Presidente -
Dott. F C - Consigliere -
Dott. M M - rel. Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso 528-2005 proposto da:
PITRUZZELLA MICHELANGELO , LA GRECA ANNA MARIA , PITRUZZELLA MARIA TIZIANA , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell'avvocato T I, rappresentati e difesi dagli avvocati R S, T C giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
R S, in persona dei legali rappresentanti Dr.ssa M R e D C A , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato S G, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro
T CLO ;
- intimato -
avverso la sentenza n. 105/2004 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, Sezione 3 Civile, emessa il 04/12/2003, depositata il 07/02/2004;
R.G.N. 1500/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2009 dal Consigliere Dott. M MERA;
udito l'Avvocato Giorgio SPADAFORA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per l'accoglimento del 3^ rigetto del resto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 12 ottobre 2000 il Tribunale di Agrigento condannava Carmelo T e la Ras Assicurazioni al pagamento in favore di Michelangelo Pitruzzella , Anna Maria Greca e Pitruzzella Maria Tiziana , in solido tra loro, della complessiva somma di L. 746.000.000 a titolo di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del congiunto Vincenzo Pitruzzella . Con sentenza in data 4 dicembre 2003 - 7 febbraio 2004 la Corte di Appello di Palermo determinava l'importo risarcitorio spettante a Michelangelo Pitruzzella in Euro 13.105,09, quello (spettante ad Anna La Greca in Euro 12.991,42 e quello spettante a Pitruzzella Maria Tiziana in Euro 6.455,71, oltre interessi e rivalutazione. La Corte territoriale osservava per quanto interessa: le risultanze processuali comprovavano che l'autovettura del T aveva invaso parzialmente l'opposta mezzeria di marcia, il ciclomotore condotto dal Pitruzzella procedeva a velocità elevata ed era sbandato portandosi sulla sinistra, l'apporto causale della vittima andava elevato dal 10 al 50%, l'importo liquidato dal Tribunale a titolo di danno morale appariva equo, ma andava esclusa la maggiorazione attribuita ai genitori perché affetti da sordomutismo, occorreva rivalutare l'importo già corrisposto dalla RAS, gli interessi compensativi andavano calcolati sulla somma originaria dovuta, mancava la prova che il minore svolgesse attività lavorativa e che in futuro avrebbe contribuito ai bisogni della famiglia, mancava del tutto la prova che il decesso del congiunto avesse determinato una qualsiasi patologia fisica o psichica ai superstiti. Avverso la suddetta sentenza i Pitruzzella e la La Greca hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. La RAS ha resistito con controricorso, mentre il T non ha espletato difese.
La Ras ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 104 C.d.S. del 1959, artt. 1223, 2056, 1227 e 2043 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla circolazione contromano e con eccesso di velocità da parte del T .
Le argomentazioni addotte a sostegno della censura non danno ragione delle numerose violazioni denunciate e prescindono totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata. In realtà i ricorrenti si limitano a sottoporre alla Corte considerazioni di carattere generale e a ribadire la propria versione dei fatti, laddove la Corte territoriale è pervenuta alla statuizione contestata esaminando le risultanze processuali e valutando criticamente la consulenza tecnica su cui il Tribunale aveva fondato la propria decisione. D'altra parte essa ha considerato il comportamento del T e ne ha evidenziato la responsabilità, ma l'evidente condotta colposa di costui non elimina la necessità di considerare e valutare anche la condotta della vittima, cui la sentenza impugnata ha addebitato velocità eccessiva e omesso mantenimento della propria destra. In definitiva, il primo motivo attiene alla ricostruzione della dinamica del sinistro e all'attribuzione delle relative responsabilità e, quindi, ad un tema che implica esame delle risultanze processuali e valutazioni di fatto, attività riservate al giudice di merito che, nella specie, ha congruamente indicato le ragioni del proprio convincimento. Esso risulta, dunque, infondato. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano omessa, insufficiente motivazione e violazione degli artt. 232 e 116 c.p.c.. Anche tale censura è infondata poiché propone argomentazioni non omogenee alle norme indicate. In sostanza esse fanno leva sull'omessa considerazione della mancata risposta all'interrogatorio formale da parte del convenuto contumace.
I ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non hanno riprodotto il testo dei capitoli dell'interrogatorio formale, così impedendo alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti, di valutarne la rilevanza. In ogni caso la valutazione della mancata risposta all'interrogatorio formale è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito. Nella specie il T è rimasto contumace e, essendo intervenuta in giudizio la sua assicurazione, ha dimostrato di non avere un proprio interesse da difendere nella vicenda processuale.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 2043, 2059, 1223 e 2056 c.c., artt. 29 e 30 Cost. con riferimento al
risarcimento del danno ai familiari superstiti.
La Corte territoriale ha spiegato di non avere rinvenuto in atti alcun elemento che giustificasse una maggiorazione del danno morale nella misura del 50% con riferimento al sordomutismo da cui sono affetti i genitori della vittima e, pertanto, ha ritenuta arbitraria la relativa statuizione del Tribunale.
I ricorrenti obiettano che in tal modo è stato immotivatamente violato il principio della personalizzazione del danno, che consente la conformazione dei criteri liquidatori al caso concreto in ragione della peculiarità della fattispecie.
Il sintetico ragionamento della sentenza impugnata denota un'applicazione non corretta della normativa che regola la liquidazione del danno non patrimoniale.
Già all'epoca della decisione impugnata lo stato della giurisprudenza era nel senso (vedi, per tutte;Cass. Sez. 3, n. 10996 del 2003) che la liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, pur essendo rimessa alla sua valutazione discrezionale, imponeva al giudice di merito di tener conto, nell'effettuare la valutazione, delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso concreto;ne conseguiva che il ricorso da parte del giudice di merito al criterio della determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, con il criterio del punto di invalidità, era legittimo solo se il giudice mostrava, per quanto con motivazione sintetica, di aver tenuto adeguato conto delle particolarità del caso concreto e di non aver rimesso la liquidazione del danno ad un puro automatismo.
L'elaborazione successiva ha portato ad una concezione diversa del danno non patrimoniale che, alla stregua della nota sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite (secondo cui il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. - anche quando non sussiste un fatto-reato, ne' ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile);(b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza);(c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità), è pervenuta alla conclusione (Cass. Sez. 3, n. 4053 del 2009) che il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del cd. danno morale soggettivo (e cioè della sofferenza contingente e del turbamento d'animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p.. In tale quadro la liquidazione del danno in esame non può essere risolta in termini sbrigativi basandola sulla considerazione che il sordomutismo non determina sofferenze morali maggiori;al contrario, l'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa di riferimento impone di considerare la particolare condizione della persona sordomuta, la quale ha una ridotta capacità di comunicare e di relazionarsi con le altre persone, con la conseguenza che la perdita di un familiare, a maggior ragione se convivente, determina un vulnus particolare e ulteriore della concreta possibilità di comunicare e relazionarsi.
Pertanto il capo in esame della sentenza va annullato e il giudice di rinvio dovrà eseguire una nuova valutazione che sia in armonia con i principi sopra enunciati.
Con il quarto motivo i ricorrenti assumono che la sentenza impugnata ha violato e falsamente applicato gli artt. 315, 433, 230 bis, 1123 e 2056 c.c., artt. 29 e 30 Cost. circa il risarcimento del danno patrimoniale ai familiari superstiti della vittima dell'illecito per l'aspettativa di lucro e di sostegno materiale ed economico che sarebbe derivata dal figlio deceduto.
La censura risulta assolutamente generica, quindi non meritevole di accoglimento, poiché non prende in esame la motivazione della sentenza impugnata e, al di là del riferimento a sentenze di questa Corte, non indica elementi concreti non considerati dalla Corte territoriale che, se lo fossero stati, avrebbero indotto a statuizione diversa.
Occorre ribadire che, ai fini del danno patrimoniale futuro, occorre pur sempre un minimo di allegazione di fatti idonei o anche di elementi presuntivi da cui desumerlo, nella specie non ravvisabili. Con il quinto capitolo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione delle norme di diritto relative ai criteri utilizzati per la liquidazione delle somme a titolo di risarcimento del danno ai parenti della vittima.
In palese violazione dell'art. 366 c.p.c., n. 4 la censura non contiene l'indicazione delle relative norme di diritto. I ricorrenti assumono l'erroneità dei calcoli eseguiti dalla Corte d'Appello, ma non specificano analiticamente gli errori in cui essa sarebbe incorsa e, in definitiva, si limitano a postulare la correttezza di quelli, diversi e più favorevoli, del Tribunale.
Occorre solo osservare che la Corte d'Appello ha dovuto tenere conto degli importi nelle more versati dalla RAS ed ha correttamente spiegato che gli interessi compensativi vanno computati sulla somma originariamente dovuta, determinata devalutando quella liquidata e rivalutandola progressivamente in osservanza del principio di cui alla sentenza n. 1712 del 2002 di questa Corte. La sentenza impugnata ha attualizzato i valori liquidati per cui non doveva procedere ad alcun'altra rivalutazione. Pertanto la censura è infondata. Il giudice di rinvio, che si designa nella medesima Corte territoriale in composizione diversa, provvedere, oltre che alla liquidazione del danno morale, a regolare le spese del giudizio di cassazione.