Cass. pen., sez. V, sentenza 22/04/2020, n. 12757

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 22/04/2020, n. 12757
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12757
Data del deposito : 22 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da N S EA nata a MONTIANO il 29/03/1956 avverso il decreto del 08/07/2019 della CORTE di APPELLO di BOLOGNAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere E M M;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L B, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso con ogni conseguente statuizione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato la Corte di appello di Bologna, pronunciandosi in sede di rinvio, ha disposto nei confronti degli eredi di B G (deceduto) la confisca del fabbricato di proprietà della "Em.In Emiliana Investimenti" s.r.I., sito in Rimini, via Porto Palos, 38, sino alla concorrenza dell'importo di 200.000,00 euro. B G è stato ritenuto persona dedita alla commissione di delitti che, nel periodo dal 2001 fino ad epoca prossima al decesso avvenuto il 25 marzo 2012, per la condotta e il tenore di vita ha vissuto abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose (usura, abusivo esercizio di attività finanziaria) e che pertanto rientra nella categoria della pericolosità generica ex artt. 16, comma 1 lett. a), 4 comma 1, lett. c), 1 lett. a) e b), d. Igs. n. 159 del 2011. Il bene confiscato — venduto dai fratelli C, vittime di usura, al B e da quest'ultimo acquistato tramite la propria società Em.In Emiliana Investimenti con rogito del 23 febbraio 2010 al prezzo dichiarato di 815.000,00 — costituisce frutto delle predette attività illecite nella misura di 200.000,00 euro.

2. Avverso il decreto ricorre, con lo stesso atto a firma dello stesso difensore e procuratore speciale, N S E sia quale erede di Giuseppe B sia nella veste di legale rappresentante della "Em.In Emiliana Investimenti", articolando due motivi.

2.1 Con il primo deduce: "violazione ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 7 c. 9, 23 c. 3, T.U. 159/2011, 666, c. 5 c.p.p., 185 disp. Att. c.p.p., 6 Convenzione Edu, in punto di mancata ammissione e/o mancata valutazione di richiesta di prova contraria in punto di pericolosità sociale e di legittimità degli acquisti dei beni sotto confisc:a - violazione ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 125 c.p.p., 10, c. 2 T.U. 159/2011 e dell'art. 6 CEDU quale parametro interpretativo della suindicata norma in termini di declinazione degli oneri di allegazione e prova a carico del soggetto inciso - violazione ed erronea applicazione dell'art. 627 comma 3 c:.p.p. in relazione al principio di diritto di cui alla decisione di annullamento - violazione dell'art. 644, commi 1 e 6, 24 D.Igs. 159/2011, 1 lett. b D. Igs. 159/2011, 1815 comma 2 c.c., in relazione sia all'oggetto della prova e di valutazione dei requisiti di categoria così come dell'oggetto di confisca di prevenzione - violazione ed erronea applicazione di legge in relazione all'art. 125 c,p.p. in punto di mancanza di mera apparenza della motivazione".Dopo aver ripercorso l'andamento del processo (pagg. 2-14), la ricorrente evidenzia come il giudice di rinvio abbia respinto la richiesta di assumere la prova dichiarativa e abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta di istituzione di perizia, in violazione di quanto disposto nella sentenza rescindente che espressamente censurava il primo provvedimento sul punto. In tal modo sarebbero rimasti indimostrati i presupposti della confisca di prevenzione agganciata alla categoria della pericolosità generica di cui all'art. 1, lett. b) d. Igs. n. 159 del 2011, come delineati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019: accertamento rigoroso della appartenenza del proposto ai soggetti pericolosi in assenza di sentenza definitiva di condanna;
effettiva commissione, con abitualità, di delitti produttivi di profitti illeciti;
necessità che si tratti dell'unico reddito del soggetto o quantomeno di una componente significativa di tale reddito;
lasso temporale di riferimento. Allo stesso modo difetterebbe la prova dei presupposti di cui all'art. 24 d. Igs. n. 159 del 2011. Il tema assume particolare rilevanza nell'ipotesi di reati di usura, in relazione ai quali occorrerebbe distinguere tra capitale, non confiscabile, e interessi illeciti. Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato viola la legge vuoi "allorché mostra di apprezzare, quale componente dell'arricchimento da colpire e prima ancora da considerare ai fini della ascrizione del B alla categoria considerata le somme impiegate in illecita attività di finanziamento, configurandole come "corpo del reato", vuoi "allorché si esime dall'accertamento rigoroso impostogli sulla determinazione della quota per capitale del debito che assume usurario sull'assunto che "lo stesso capitale iniziale rappresenta il corpo e il mezzo per commettere il reato". Su tale profilo avrebbero inciso le prove richieste dalla parte e non ammesse dalla Corte di appello, così da lasciare scoperto il principale tema di indagine, lacuna tanto più grave se raffrontata con la circostanza, pacifica, delle rilevanti entrate lecite di cui godeva B.

2.2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce: "violazione ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 7 comma 9, 23 comma 3, T.U. 159/2011, 666 comma 5 c.p.p., 185 disp. att. c.p.p., 6 Convenzione Edu, con particolare riguardo al mancato scrutinio di richiesta di prova contraria in punto di sussistenza del delitto di cui all'5332D09051E608" data-article-version-id="7fd6f08a-f268-5fec-8598-3834c279fca3::LR09DA855332D09051E608::1988-12-29" href="/norms/codes/itatextcyjtowm69965vk/articles/itaart7ufjvjahr46pbl?version=7fd6f08a-f268-5fec-8598-3834c279fca3::LR09DA855332D09051E608::1988-12-29">art. 644 c.p.p. e del conseguente provento così come in punto di identificazione dell'oggetto della confisca e della quota confiscabile - violazione ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 24 TU 159/2011, anche in relazione alla fattispecie contemplata costituita dall'alternativa di cui all'ultima parte del primo comma del citato art. 24 TU nonché in relazione agli artt. 644, commi 1 e 6 c.p.p. - violazione ed erronea applicazione di legge in ordine ai presidi di prova richiesti per l'affermazione della penale responsabilità in mancanza di pronunce giudiziali sulla medesima, in relazione agli articoli 192 comma 1 e 533 comma 1 cod, proc. pen. - violazione ed erronea applicazione di legge in relazione alla confisca di cui all'art. 24 primo comma seconda parte cit. in relazione all'art. 644, comma 6, all'art. 1815 c.c., all'art. 240, comma primo c.p. - violazione ed erronea applicazione di legge in relazione all'art.125 c.p.p. in punto di mancanza e mera apparenza della motivazione". Oltre a riprendere i medesimi argomenti già coltivati con il primo motivo, la ricorrente lamenta il difetto di prova circa la natura usuraria degli interessi praticati dal B nei confronti di C Antonio;
nonché la confusione, all'interno della somma di 200.000,00 euro, tra capitale prestato di provenienza lecita, e quindi non suscettibile di confisca, e ammontare degli interessi ritenuti usurari, considerato che lo stesso C "faceva riferimento ad un capitale ottenuto quantomeno di euro 140-150.000,00". Il giudice di rinvio neppure si sarebbe preoccupato di verificare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 644, comma primo, cod. pen., "primo fra tutti la sproporzione rilevante tra quanto dato da una parte e quanto ricevuto dall'altra, nel senso che quanto ricevuto deve sopravanzare in termini rilevanti e oggettivi quanto dato". Come risulta dalla perizia di stima effettuata nel procedimento di esecuzione forzata, il valore commerciale dell'immobile oggetto di parziale confisca ammonta ad euro 300.000,00, quindi la società ricorrente, nel pattuire un prezzo di acquisto pari a 815.000,00 euro, non avrebbe conseguito alcun vantaggio usurario, ma semmai avrebbe risarcito il venditore, liberandolo dai debiti: "A tale riguardo il bene non poteva dirsi "frutto di attività illecite" per la oggettiva compensazione che l'attribuzione di esso al creditore per un prezzo 4 volte superiore al proprio credito e più di 2 volte (quasi 3) superiore al proprio valore determinava il totale annullamento del disvalore illecito di quella contropartita".
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