Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/04/2005, n. 8202

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Nel rito del lavoro, in base al combinato disposto degli artt. 416, terzo comma, cod.proc.civ., che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare - onere probatorio gravante anche sull'attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977 - e 437, secondo comma, cod.proc.civ, che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova - fra i quali devono annoverarsi anche i documenti -, l'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo); e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello.Tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d'ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/04/2005, n. 8202
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8202
Data del deposito : 20 aprile 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. I G - Presidente di sezione -
Dott. D V - Presidente di sezione -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. V G - rel. Consigliere -
Dott. C M - Consigliere -
Dott. F R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FILOCAMO ELEONORA, SICILIANO FRANCESCO, SICILIANO FRANCESCA, NELLA QUALITÀ DI EREDI DI SICILANO ROCCO, domiciliati in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati CRISTARELLA RAFFAELE, GIUSEPPE TOSI, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrenti -

contro
M D'I, in persona del Ministro pro-tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 197/00 del Tribunale di REGGIO CALABRIA, depositata il 05/01/01;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 03/03/05 dal Consigliere Dott. Guido VIDIRI;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 29 aprile 1993 Eleonora Filocamo, Francesco Siciliano e Francesca Siciliano, tutti nella qualità di eredi di R S, adivano il Pretore di Palmi, in funzione di giudice del lavoro, esponendo che il loro dante causa R S, deceduto in data 11 settembre 1992, era affetto da patologie gravi che ne avevano menomato la capacita di muoversi autonomamente e di attendere alle proprie ordinarie e personali necessità quotidiane. Chiedevano, quindi, che fosse riconosciuto giudizialmente lo stato di invalidità assoluta del loro dante causa ed il diritto all'indennità di accompagnamento, e che il Ministero dell'Interno fosse condannato al pagamento dei relativi ratei. Il Pretore rigettava la domanda ed il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 5 gennaio 2002, confermava la prima decisione. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale escludeva, sulla base del disposto dell'art. 437 c.p.c., che si potesse tenere conto dei nuovi documenti (non indicati nell'atto di appello) prodotti nel corso del gravame, e sui quali il consulente tecnico d'ufficio nominato in quel grado del giudizio aveva fondato, in via esclusiva, il suo parere positivo sulla sussistenza del requisito sanitario richiesto per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento. A sostegno della sua decisione il giudice d'appello osservava che i documenti in oggetto erano stati depositati solo dopo l'inizio delle operazioni, violandosi così il precetto che limita la possibilità di acquisire documenti in appello solo al momento della proposizione del gravame. Precetto che nel caso di specie risultava applicabile trattandosi non di documenti sopravvenuti ma invece di documenti di data anteriore al primo grado di giudizio.
Avverso tale sentenza Eleonora Filocamo, Francesco Siciliano e Francesca Siciliano, nelle suddetta qualità, propongono ricorso per Cassazione, affidato ad un unico articolato motivo. Resiste con controricorso il Ministero dell'Interno. A seguito di ordinanza del 22 luglio 2003 della Sezione lavoro il Primo Presidente ha disposto che, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., le Sezioni unite si pronunzino in ordine all'ammissibilità nelle controversie di lavoro della produzione di nuovi documenti in appello, per essere la questione stata oggetto di contrasto all'interno della stessa Sezione lavoro.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo di ricorso gli eredi di R S denunziano violazione di legge e mancata o insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia (art. 1 legge n. 18 del 1980 e successive modificazioni;
art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). In particolare denunziano che il giudice di appello ha disatteso con la sua decisione la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha ripetutamente affermato che nel rito del lavoro i documenti, quali prove precostituite, ancorché non indicati nel ricorso possono essere prodotti fino all'udienza di discussione, anche in appello, senza incorrere nelle preclusioni di cui agli artt. 414, 416 e 437 c.p.c.;
norme quest'ultime applicabili alle sole prove costituende.

2. Ragioni di ordine argomentativo rendono opportune alcune preliminari considerazioni sulla problematica oggetto dell'esame di queste Sezioni Unite.

2.1. Come evidenziato nella già indicata ordinanza del 22 luglio 2003, dopo la sentenza delle Sezioni unite del 6 settembre 1990 n. 9199 - secondo la quale la produzione dei documenti, pur sottraendosi al divieto sancito dall'art. 437 c.p.c., esige a pena di decadenza che essi siano indicati specificamente nel ricorso dell'appellante o nella memoria dell'appellato e vengano depositati contestualmente a tali atti (salvo che si tratti di documenti sopravvenuti o la cui produzione sia giustificata dallo sviluppo della vicenda processuale) - sono intervenute numerose pronunzie che hanno confermato quanto statuito dalla ricordata decisione, anche in ordine alle modalità ed ai limiti della produzione (cfr. ex plurimis: Cass. 26 maggio 2004 n. 10128, con riferimento alle controversie in materia di locazione, cui è applicabile il rito del lavoro, cui adde, Cass. 19 maggio 2003 n. 7845;
Cass. 24 novembre 2000 n. 15197;
Cass. 5 agosto 2000 n. 10335" Cass. 10 giugno 2000 n. 7948;
Cass. 4 maggio 2000 n. 5596;
Cass. 29 dicembre 1999 n. 14690;
Cass. 17 novembre 1994 n. 9724, ed, ancora, Cass. 15 ottobre 1992 n. 11323, che ha però escluso la regola della necessaria indicazione dei documenti nuovi nell'atto introduttivo del giudizio di appello con riferimento alle controversie in tema di invalidità pensionabile, ove la documentazione medica riguardi aggravamenti o infermità certificati in epoca posteriore al deposito del ricorso d'appello).
Altre decisioni, invero, nel confermare la non operatività divieto di cui all'art. 437, comma 2, c.p.c. in relazione alle prove costituite, hanno mostrato maggiore flessibilità nel dare ingresso alla produzione dei documenti, statuendo che detta produzione, anche se i documenti non siano indicati in ricorso, possa avvenire fino alla udienza di discussione anche in appello(Cass. 19 marzo 2003 n. 4048;
Cass. 25 gennaio 2000 n. 817 nonché, con riferimento ai documenti sopravvenuti nel corso del giudizio d'appello, e, pertanto, inevitabilmente non indicati nel ricorso, Cass. 2 novembre 1998 n. 10944;
Cass. 8 aprile 1998 n. 3640). Uno scrutinio delle indicate pronunzie ne evidenzia il dato comune nell'assunto, condiviso anche da una parte della dottrina, che il divieto sancito dall'art. 437, comma 2, c.p.c. - di ammissione in grado di appello nelle controversie soggette al rito del lavoro di nuovi mezzi di prova (salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione) - si riferisca soltanto alle prove costituende, per le quali è previsto in generale un giudizio di ammissibilità ed un procedimento di assunzione (cui fa riferimento in particolare lo stesso art. 437, comma 3, c.p.c.) e non riguarda invece la produzione di documenti, la cui acquisizione, tra l'altro, non contrasta con le esigenze di concentrazione e di immediatezza caratterizzanti il processo del lavoro.

2.2. Si è andato nel tempo, però, formando un indirizzo restrittivo, fondato sul principio che il potere del giudice d'appello di ammettere nuovi documenti trova un limite nel carattere veramente "nuovo" che la documentazione offerta in sede di impugnazione deve avere, sicché il documento che poteva essere indicato ex art. 414 n. 5 c.p.c. nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non può più essere prodotto in appello(cfr. Cass. 4 agosto 1994 n. 7233). E sempre nell'ambito di più restrittivi orientamenti, in alcuni pronunziati è stato, poi, affermato che nel rito del lavoro è inammissibile la produzione del documenti sul quali il giudice di primo grado abbia già emesso una pronunzia di inammissibilità, con contestuale dichiarazione di decadenza della parte stessa dalla facoltà di produrli, osservandosi al riguardo che la produzione di tali documenti vanificherebbe la sanzione di decadenza già pronunziata (cfr. Cass. 6 marzo 2003 n. 3380;
Cass. 16 maggio 2000 n. 6342;
Cass. 2 aprile 1992 n. 4013). Nello stesso ordine di idee si è poi rimarcato che il principio per cui il giudice può rilevare di ufficio le eccezioni in senso lato o improprio, non comporta di per sè che, nel rito speciale del lavoro, la parte possa produrre in grado di appello documenti a sostegno di una di dette eccezioni quando non siano stati formati successivamente all'introduzione del giudizio di primo grado, ed in quel giudizio sia stata pronunciata la decadenza della parte dalla produzione tardivamente effettuata(Cass. 11 agosto 1998 n. 7907).

2.3. Si ascrive all'indirizzo volto a rendere rigoroso il sistema delle preclusioni, con riferimento alla produzione dei documenti, l'affermazione dei giudici di legittimità che la possibilità per la parte di produrre, tardivamente nel giudizio di primo grado, prove documentali presuppone ex art. 420, comma 5, c.p.c. che si tratti di documenti sopravvenuti nella disponibilità delle parti stesse ed in ogni caso che si tratti (in coerenza con il disposto dell'art. 416 n. 3 c.p.c.) di documenti a sostegno di eccezioni o posizioni difensive
tempestivamente dedotte, risultando "fuorviante invocare la nota ripartizione tra prove costituite e prove costituende" al fine di superare le preclusioni rigidamente indicate dalla citata norma del codice di rito (cfr. in tali sensi;
Cass. 1 ottobre 2002 n. 14110).

2.4. Nel quadro globale dei precedenti giurisprudenziali sulla problematica in esame, sicuramente espressione dell'indirizzo più rigoroso è una recente pronunzia della Sezione lavoro di questa Corte che, dopo avere sottoposto a revisione critica tutti gli elementi su cui si basa il contrario orientamento, esclude, sulla base di ragioni sì a testuali che

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