Cass. civ., sez. III, ordinanza 09/11/2022, n. 32974
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Testo completo
la seguente Rep.
ORDINANZA
Ud. 15/6/2022 Adunanza camerale sul ricorso 14813-2019 proposto da: SABINI CA_SF 221-rì persona dell'amministratore pro tempore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, Via Muzio Clementi 19, presso lo studio dell'Avvocato G R, che la rappresenta e difende dall'Avvocato S P;
- ricorrente -
contro
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Barnaba Tortolini 30, presso lo studio del Dott. A P, rappresentata e difesa dall'Avvocato M L A P;
- controricorrente -
Avverso la sentenza n. 1915/2018 della CORTE DI APPELLO di AJ LECCE) depositata il 14/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nell'adunanza camerale del 15/06/2022 dal Consigliere Dott. S G G.
FATTI DI CAUSA
1. La società Sbini a r.l. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 1915/18, del 14 novembre 2018, della Corte di Appello di Bari, che - respingendone il gravame esperito avverso la sentenza n. 2490/14, del 21 maggio 2014, del Tribunale di Bari - ha confermato il rigetto della domanda proposta da detta società, nei confronti della Regione Puglia, volta ad ottenere, previa disapplicazione del provvedimento di decadenza e restituzione premi adottato dalla Regione il 7 aprile 2004, il pagamento della somma complessiva di C 152.471,70, a titolo di contributi previsti dal regolamento CEE del 30 giugno 1992, n. 2078/1992, segnatamente in relazione alle annualità dal 1999 al 2002. 2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente di aver presentato alla Regione Puglia, il 17 settembre 1997 (per il tramite dell'Ispettorato Provinciale Agricoltura), domanda di concessione, per il quinquennio 1997-2002, di un contributo per la ristrutturazione di muretti a secco ambientali, secondo quanto previsto dal citato regolamento CEE n. 2078/1992. Svolta dal competente ufficio regionale l'istruttoria preliminare, la società Sbini veniva ammessa alla fruizione del contributo, del quale beneficiava - previa presentazione di un rendiconto annuale, attestante, anno per anno appunto, la realizzazione dei lavori effettuati e le spese sostenute (e ciò in forza di un impegno, previsto a pena di decadenza, che obbligava la società al completamento delle opere entro cinque anni) - per le due prime annualità, ovvero 1997/98 e 1998/99. Nulla, invece, la società riceveva, quantunque avesse provveduto a rendicontare regolarmente i lavori effettuati, nonché a completarli entro il quinquennio prestabilito, in relazione alle tre successive annualità, avendo la Regione disposto - per effetto della pendenza di un procedimento penale che vedeva imputato l'amministratore della Sbini, G N - una verifica sulla società. Incombente, peraltro, al quale dava corso solo quindici mesi dopo la scadenza del termine all'uopo previsto per l'esecuzione dei controlli in corso di impegno, secondo quanto stabilito dall'art. 4 del d.m. 27 marzo 1998, n. 159, di attuazione del già citato regolamento comunitario. Difatti, il predetto Ninivaggi era stato dapprima indagato e poi imputato, in concorso con altri, per i reati di cui agli artt. 110, 640-bis, 81 cpv., 483, 485 e 479 cod. pen.;
imputazione formulata in relazione all'indebito percepimento, in danno dell'A.G.E.A., dei contributi comunitari corrisposti ai sensi del già più volte citato Reg. CEE n. 2078/1992, richiesti all'IPA di Bari ed assentiti dallo stesso per una superficie di Ha 187. In particolare, si assumeva che detti contributi fossero stati presentati falsamente - secondo l'ipotesi accusatoria - come investiti dalla coltura agraria pascolo, omettendo di segnalare allo stesso ufficio che, in relazione a tali superfici, costituite da boschi per Ha 93, erano stati autorizzati interventi di miglioramento boschivo ai sensi del diverso Regolamento CEE del 30 giugno 1992, n. 2080/1992, in violazione del divieto che prevedeva la fruizione, per le stesse aree, di altri benefici. La vicenda penale (peraltro, conclusasi con il proscioglimento, in appello, degli imputati) induceva la Regione Puglia, come detto, a disporre, nel dicembre del 2003, la già citata verifica, all'esito della quale venne adottato, in data 7 aprile 2004, il provvedimento di decadenza e restituzione dei contributi, motivato - ai sensi dell'art. 5, comma 2, del già citato d.m. n. 159 del 1998 - sul rilievo della "differenza tra superficie dichiarata ed accertata superiore del 20%", oltre che della "mancata salvaguardia, tutela, protezione e conservazione del paesaggio naturale".
2.1. Preso atto di tale provvedimento, la società Sbini adiva il Tribunale di Bari (dopo che il TAR della Puglia, innanzi al quale la società odierna ricorrente lo aveva impugnato, ebbe a dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo) per chiedere la disapplicazione dello stesso e, conseguentemente, accertare e dichiarare la spettanza, in proprio favore, delle somme - rispettivamente - di C 50.823,90, per ciascuna delle annate 1999/2000, 2000/2001 e 2001/2002, e, dunque, della somma complessiva di C 152.471,70. Istruita la causa dal primo giudice, l'attrice società Sbini, in occasione dell'udienza di precisazione delle conclusioni, produceva la sentenza n. 579/09 - recante il timbro di cancelleria, attestante il passaggio in giudicato - con cui la Corte di Appello di Bari mandava assolti l'amministratore della medesima società, e gli altri imputati, dai reati di truffa e falso ideologico. La sentenza penale in questione, in particolare, escludeva la sussistenza di un divieto di cumulabilità dei benefici di cui ai regolamenti CEE n. 2078/1992 e n. 2080/1992, confutando anche il rilievo circa l'inammissibilità del finanziamento di cui al primo dei due regolamenti, evidenziando come la superficie di ha 187, interessata dalla richiesta di contributi da parte della società Sbini, non fosse costituita da un bosco, bensì da un pascolo cespugliato o arborato, e che, in ogni caso, dovessero ritenersi escluse dal premio solo le superfici "imboschite" e non anche i boschi naturali. La decisione intervenuta in sede penale escludeva, infine, che i muretti in relazione ai quali il contributo era stato concesso alla società fossero stati distrutti e poi costruiti "ex novo". Rimessa la causa sul ruolo e rinnovato l'incombente ex art.189 cod. proc. civ., la società Sbini evidenziava l'avvenuta conclusione - in senso a sé favorevole - di altro giudizio da essa radicato, innanzi alla sezione di Altamura del Tribunale di Bari, per l'annullamento del verbale di ordinanza-ingiunzione, n. 216/02, notificatole dal Corpo Forestale dello Stato in relazione agli stessi fatti già oggetto del giudizio penale. Ciò nonostante, evidenzia l'odierna ricorrente, il giudice di prime cure respingeva la domanda da essa proposta contro la Regione Puglia, sul rilievo che la sentenza resa in sede penale non potesse esplicare efficacia nel giudizio civile a norma dell'art. 654 cod. proc. civ., per difetto dei presupposti soggettivi (non essendosi la Regione costituita parte civile ed essendo stata estranea al processo penale la società Sbini), con decisione confermata dal giudice di appello, che respingeva il gravame esperito dall'attrice soccombente.
3. Avverso la sentenza della Corte pugliese ha proposto ricorso per cassazione la società Sbini, sulla base - come detto - di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia - in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., nonché 651, 652, 654 cod. proc. pen., oltre che dell'art. 5 del d.m. 27 marzo 1998, n. 159, nonché omesso esame di un fatto decisivo, ovvero dei fatti e delle circostanze accertate in sede penale con la sentenza n. 57/09 della Corte di Appello di Bari. Si censura la sentenza impugnata "per il palese ed ingiustificato mancato vaglio" - a prescindere dal valore di giudicato della sentenza di assoluzione prodotta - "delle argomentazioni difensive" e di "elementi di fatto" che erano "risultati accertati in sede penale", e ciò quantunque, le une come gli altri, fossero "determinanti nel presente giudizio civile".
ORDINANZA
Ud. 15/6/2022 Adunanza camerale sul ricorso 14813-2019 proposto da: SABINI CA_SF 221-rì persona dell'amministratore pro tempore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, Via Muzio Clementi 19, presso lo studio dell'Avvocato G R, che la rappresenta e difende dall'Avvocato S P;
- ricorrente -
contro
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Barnaba Tortolini 30, presso lo studio del Dott. A P, rappresentata e difesa dall'Avvocato M L A P;
- controricorrente -
Avverso la sentenza n. 1915/2018 della CORTE DI APPELLO di AJ LECCE) depositata il 14/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nell'adunanza camerale del 15/06/2022 dal Consigliere Dott. S G G.
FATTI DI CAUSA
1. La società Sbini a r.l. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 1915/18, del 14 novembre 2018, della Corte di Appello di Bari, che - respingendone il gravame esperito avverso la sentenza n. 2490/14, del 21 maggio 2014, del Tribunale di Bari - ha confermato il rigetto della domanda proposta da detta società, nei confronti della Regione Puglia, volta ad ottenere, previa disapplicazione del provvedimento di decadenza e restituzione premi adottato dalla Regione il 7 aprile 2004, il pagamento della somma complessiva di C 152.471,70, a titolo di contributi previsti dal regolamento CEE del 30 giugno 1992, n. 2078/1992, segnatamente in relazione alle annualità dal 1999 al 2002. 2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente di aver presentato alla Regione Puglia, il 17 settembre 1997 (per il tramite dell'Ispettorato Provinciale Agricoltura), domanda di concessione, per il quinquennio 1997-2002, di un contributo per la ristrutturazione di muretti a secco ambientali, secondo quanto previsto dal citato regolamento CEE n. 2078/1992. Svolta dal competente ufficio regionale l'istruttoria preliminare, la società Sbini veniva ammessa alla fruizione del contributo, del quale beneficiava - previa presentazione di un rendiconto annuale, attestante, anno per anno appunto, la realizzazione dei lavori effettuati e le spese sostenute (e ciò in forza di un impegno, previsto a pena di decadenza, che obbligava la società al completamento delle opere entro cinque anni) - per le due prime annualità, ovvero 1997/98 e 1998/99. Nulla, invece, la società riceveva, quantunque avesse provveduto a rendicontare regolarmente i lavori effettuati, nonché a completarli entro il quinquennio prestabilito, in relazione alle tre successive annualità, avendo la Regione disposto - per effetto della pendenza di un procedimento penale che vedeva imputato l'amministratore della Sbini, G N - una verifica sulla società. Incombente, peraltro, al quale dava corso solo quindici mesi dopo la scadenza del termine all'uopo previsto per l'esecuzione dei controlli in corso di impegno, secondo quanto stabilito dall'art. 4 del d.m. 27 marzo 1998, n. 159, di attuazione del già citato regolamento comunitario. Difatti, il predetto Ninivaggi era stato dapprima indagato e poi imputato, in concorso con altri, per i reati di cui agli artt. 110, 640-bis, 81 cpv., 483, 485 e 479 cod. pen.;
imputazione formulata in relazione all'indebito percepimento, in danno dell'A.G.E.A., dei contributi comunitari corrisposti ai sensi del già più volte citato Reg. CEE n. 2078/1992, richiesti all'IPA di Bari ed assentiti dallo stesso per una superficie di Ha 187. In particolare, si assumeva che detti contributi fossero stati presentati falsamente - secondo l'ipotesi accusatoria - come investiti dalla coltura agraria pascolo, omettendo di segnalare allo stesso ufficio che, in relazione a tali superfici, costituite da boschi per Ha 93, erano stati autorizzati interventi di miglioramento boschivo ai sensi del diverso Regolamento CEE del 30 giugno 1992, n. 2080/1992, in violazione del divieto che prevedeva la fruizione, per le stesse aree, di altri benefici. La vicenda penale (peraltro, conclusasi con il proscioglimento, in appello, degli imputati) induceva la Regione Puglia, come detto, a disporre, nel dicembre del 2003, la già citata verifica, all'esito della quale venne adottato, in data 7 aprile 2004, il provvedimento di decadenza e restituzione dei contributi, motivato - ai sensi dell'art. 5, comma 2, del già citato d.m. n. 159 del 1998 - sul rilievo della "differenza tra superficie dichiarata ed accertata superiore del 20%", oltre che della "mancata salvaguardia, tutela, protezione e conservazione del paesaggio naturale".
2.1. Preso atto di tale provvedimento, la società Sbini adiva il Tribunale di Bari (dopo che il TAR della Puglia, innanzi al quale la società odierna ricorrente lo aveva impugnato, ebbe a dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo) per chiedere la disapplicazione dello stesso e, conseguentemente, accertare e dichiarare la spettanza, in proprio favore, delle somme - rispettivamente - di C 50.823,90, per ciascuna delle annate 1999/2000, 2000/2001 e 2001/2002, e, dunque, della somma complessiva di C 152.471,70. Istruita la causa dal primo giudice, l'attrice società Sbini, in occasione dell'udienza di precisazione delle conclusioni, produceva la sentenza n. 579/09 - recante il timbro di cancelleria, attestante il passaggio in giudicato - con cui la Corte di Appello di Bari mandava assolti l'amministratore della medesima società, e gli altri imputati, dai reati di truffa e falso ideologico. La sentenza penale in questione, in particolare, escludeva la sussistenza di un divieto di cumulabilità dei benefici di cui ai regolamenti CEE n. 2078/1992 e n. 2080/1992, confutando anche il rilievo circa l'inammissibilità del finanziamento di cui al primo dei due regolamenti, evidenziando come la superficie di ha 187, interessata dalla richiesta di contributi da parte della società Sbini, non fosse costituita da un bosco, bensì da un pascolo cespugliato o arborato, e che, in ogni caso, dovessero ritenersi escluse dal premio solo le superfici "imboschite" e non anche i boschi naturali. La decisione intervenuta in sede penale escludeva, infine, che i muretti in relazione ai quali il contributo era stato concesso alla società fossero stati distrutti e poi costruiti "ex novo". Rimessa la causa sul ruolo e rinnovato l'incombente ex art.189 cod. proc. civ., la società Sbini evidenziava l'avvenuta conclusione - in senso a sé favorevole - di altro giudizio da essa radicato, innanzi alla sezione di Altamura del Tribunale di Bari, per l'annullamento del verbale di ordinanza-ingiunzione, n. 216/02, notificatole dal Corpo Forestale dello Stato in relazione agli stessi fatti già oggetto del giudizio penale. Ciò nonostante, evidenzia l'odierna ricorrente, il giudice di prime cure respingeva la domanda da essa proposta contro la Regione Puglia, sul rilievo che la sentenza resa in sede penale non potesse esplicare efficacia nel giudizio civile a norma dell'art. 654 cod. proc. civ., per difetto dei presupposti soggettivi (non essendosi la Regione costituita parte civile ed essendo stata estranea al processo penale la società Sbini), con decisione confermata dal giudice di appello, che respingeva il gravame esperito dall'attrice soccombente.
3. Avverso la sentenza della Corte pugliese ha proposto ricorso per cassazione la società Sbini, sulla base - come detto - di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia - in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., nonché 651, 652, 654 cod. proc. pen., oltre che dell'art. 5 del d.m. 27 marzo 1998, n. 159, nonché omesso esame di un fatto decisivo, ovvero dei fatti e delle circostanze accertate in sede penale con la sentenza n. 57/09 della Corte di Appello di Bari. Si censura la sentenza impugnata "per il palese ed ingiustificato mancato vaglio" - a prescindere dal valore di giudicato della sentenza di assoluzione prodotta - "delle argomentazioni difensive" e di "elementi di fatto" che erano "risultati accertati in sede penale", e ciò quantunque, le une come gli altri, fossero "determinanti nel presente giudizio civile".
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