Cass. civ., sez. II, sentenza 15/07/2005, n. 15079

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Massime1

In tema di divisione ereditaria, il criterio dell'estrazione a sorte previsto dall'art. 729 cod. civ. nel caso di uguaglianza di quote a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo,può essere derogato soltanto in presenza di ragioni oggettive legate alla condizione dei beni quale risulterebbe dall'applicazione della regola del sorteggio, essendo irrilevante al riguardo la volontà presunta delle parti legata a fattori soggettivi. (Nella specie, è stata cassata la decisione impugnata che, nel derogare al criterio dell'estrazione a sorte, aveva attribuito l'immobile al condividente che già vi risiedeva sul rilievo che altrimenti il medesimo avrebbe potuto essere costretto a lasciare l'abitazione).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 15/07/2005, n. 15079
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15079
Data del deposito : 15 luglio 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P F - Presidente -
Dott. N G - rel. Consigliere -
Dott. B S - Consigliere -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G G, nella qualità di tutrice di Z M, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA DEI MARTIRI DI BELFIORE presso lo studio dell'avvocato U P, difesa dall'avvocato F P PRIZIA, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
Z G, ZAMBON LUIGI;



- intimati -


e sul 2^ ricorso n. 03691/02 proposto da:
Z G, ZAMBON LUIGI, elettivamente domiciliati in ROMA P.ZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, difesi dall'avvocato C M, giusta delega in atti;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
contro
G G nella qualità di tutrice di Z M;

- intimata -
avverso la sentenza n. 673/01 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 24/05/01;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/11/04 dal Consigliere Dott. G N;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO

Rosario che ha concluso per previa riunione dei due ricorsi, accoglimento del ricorso principale, limitatamente al 1^ motivo, con l'assorbimento o rigetto del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G e L Z, con atto di citazione notificato il 28 novembre 1994, convennero innanzi al Tribunale di Venezia il fratello Marco per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria tra loro instauratasi a seguito della morte dei genitori, Angelo Zambon e Ilda Miatto, che li vedeva compartecipi per quote paritarie. Nella contumacia del convenuto l'adito Tribunale, dichiarato lo scioglimento della comunione ereditaria ed accertata la comoda divisibilità dei beni, assegnò ai coeredi Marco, G e L Z, rispettivamente, i beni di cui ai lotti A, B e C come individuati e descritti nella consulenza tecnica d'ufficio del tecnico incaricato, ponendo, a carico di G Zambon, l'obbligo di versare somma a conguaglio ai due coeredi. Propose appello G G, nella qualità di tutrice del marito M Z, dichiarato interdetto con sentenza 25 giugno 1996 dal Tribunale di Venezia, ma la Corte d'appello di Venezia, con sentenza resa in data 24 maggio 2001, ha rigettato il gravame. Il giudice d'appello ha escluso che il giudizio di primo grado si fosse svolto in violazione del principio del contraddittorio, poiché alla data di notificazione dell'atto introduttivo del giudizio il convenuto, dichiarato interdetto con sentenza del 25 giugno 1996, doveva presumersi capace di intendere e dì volere;
ne' rilevava che in precedenza fosse stato, in via amministrativa, riconosciuto portatore di invalidità nella misura del 100%, poiché le infermità inabilitanti di cui egli all'epoca soffriva non ne menomavano la capacità naturale. La Corte d'Appello ha, altresì, escluso che ricorressero le condizioni richieste dall'art. 294 cod. proc. civ. per la remissione in termini dell'appellante, mancando la prova che egli non avesse avuto conoscenza del processo o che la sua costituzione in giudizio fosse stata impedita la causa a lui non imputabile.
Nel merito, la corte territoriale ha osservato che l'assegnazione all'appellante della sua quota mediante attribuzione, anziché mediante estrazione a sorte, nonostante la paritarietà delle quote, doveva ritenersi correttamente operata, potendosi derogare al principio dell'estrazione a sorte fissato dall'art. 729 cod. civ. quando tale criterio presenti degli inconvenienti, come nel caso in esame, caratterizzato dal fatto che, abitando già l'assegnatario nella porzione d'immobile assegnatagli, in caso di estrazione a sorte avrebbe potuto essere costretto a lasciare l'abitazione. Ed, al riguardo, non rilevarne che successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata l'appellante avesse trasferita altrove la sua abitazione. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso G G, nella dichiarata qualità, affidandosi a tre motivi. Resistono con controricorso G e L Z, i quali, a loro volta, propongono ricorso incidentale, fondato su un unico motivo. MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., i due ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la stessa sentenza. Col primo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 354 cod. proc. civ., adducendo che la Corte d'appello, omettendo di esaminare le cartelle cliniche relative alle infermità di M Z, ha erroneamente respinto la censura da lui svolta sulla regolarità del contraddittorio in primo grado, non avendo, in tal modo, potuto accertare l'incapacità di M Z al momento della notifica dell'atto di citazione.
Osserva la ricorrente che le infermità documentate dalle cartelle cliniche provano l'impossibilità, per il marito, di prendere coscienza del significato e delle conseguenze dell'atto introduttivo del giudizio e della necessità di conferire il mandato difensivo ad un legale. Pertanto, la mancata sua costituzione in giudizio deve ritenersi a lui non imputabile e gli atti processuali compiuti in primo grado son nulli.
La censura è infondata, perché, ai sensi dell'art. 75 cod. proc. civ., le persone che hanno il libero esercizio dei diritti fatti
valere in giudizio hanno la capacità di stare in giudizio. Pertanto, deve ritenersi che Marzo Zambon, alla data di notificazione dell'atto introduttivo del giudizio non ancora dichiarato interdetto, sia stato legittimamente citato in giudizio mediante notificazione personale dell'atto di citazione, dovendosi presumere, in virtù di praesumptio iuris et de iuri, che egli, a quella data, fosse capace di intendere e di volere.
Non rileva che nel corso del giudizio di primo grado sia sopravvenuta sentenza di interdizione, non avendo, tale sentenza, ai sensi dell'art. 421 cod. civ., effetto retroattivo. Quanto, poi, agli effetti della dichiarazione d'interdizione sul successivo corso del processo, è evidente che la contumacia di Marzo Zambon impedì che l'evento interruttivo del processo potesse essere portato a conoscenza di controparte e del giudice nella sola forma prescritta dall'art. 300, co. 1, cod. proc. civ.. Nè, peraltro, risulta che l'evento interruttivo sia stato notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notifica di uno dei provvedimenti di cui all'art. 292 cod. proc. civ., come richiesto dall'ultimo comma dell'art. 300 citato.
Col secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione degli artt. 294, 354, ult. co., e 356 cod. proc. civ., osservando che erroneamente il giudice d'appello ha negato che in primo grado fosse stato violato l'art. 294 cod. proc. civ. e che, conseguentemente, non dovesse essere disposta la rimessione in termini dell'appellante. Al riguardo, la ricorrente richiama quanto dedotto in sede d'appello a dimostrazione dell'assunto che M Z non ebbe mai conoscenza dell'esistenza del giudizio.
Anche questa censura, che si fonda sugli stessi dati di fatto (presunta incapacità naturale del convenuto) sui quali si fonda la tesi dell'incapacità a stare in giudizio, esaminata sub 1), dev'essere ritenuta infondata in conseguenza delle considerazioni già svolte.
Per vero, la presunta capacità processuale del convenuto escludeva che lo stesso potesse non avere avuto conoscenza del processo di cui all'atto di citazione ritualmente notificatogli o che la sua costituzione in giudizio potesse dirsi impedita da causa a lui non imputabile.
Col terzo motivo, dolendosi di violazione dell'art. 729, p.p., cod. civ., la ricorrente principale adduce che il giudice d'appello, al
fine di giustificare l'assegnazione delle quote mediante attribuzione, anziché mediante estrazione a sorte, come prescritto dalla norma citata in epigrafe per le quote uguali, ha dato un'erronea interpretazione della stessa norma, cui è consentito derogare solo nel caso in cui il sorteggio potrebbe provocare un antieconomico frazionamento dei beni, non potendosi attribuire valenza ad una presunta volontà delle parti. La censura va accolta, perché, pur condividendosi l'indirizzo giurisprudenziale meno rigoroso secondo cui è consentito al giudice di derogare, in caso di quote uguali, alla regola dell'estrazione a sorte, posta dall'art. 729 cod. civ. a garanzia della trasparenza delle operazioni
divisionali, contro ogni possibile favoritismo, è evidente che la possibilità di deroga è condizionata all'esistenza di ragioni oggettive, legate alla condizione dei beni quale risulterebbe dall'applicazione della regola dell'estrazione a sorte, (cfr. Cass., n. 4498/'86;
Cass., n. 5947/'96). Giammai tale possibilità potrebbe essere autorizzata dalla volontà presunta delle parti, legata a fattori soggettivi e, peraltro, suscettibile di essere smentita dalle stesse parti, come è accaduto nel caso in esame. L'accoglimento parziale del ricorso principale, impone di ritenere assorbito il ricorso incidentale, che investe solo la statuizione relativa alle spese del giudizio d'appello.
Conclusivamente, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, e la causa va rinviata, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, ad altra Corte d'appello, che si individua in quella di Brescia.

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